È quasi ridicolo come leggendo appena un paio di pagine di “The framers’ coup” di Klarman mi venga voglia di scriverci un pezzo.
Il fatto è che questo saggio è attualissimo: l’argomento apparente è la cronaca di come la costituzione americana venne scritta e poi ratificata. Però, in realtà, vi è un altro livello: la documentazione minuziosa di tutti i passaggi, comprese lettere private, delle parti in causa dà una comprensione profonda di come funzioni la politica. Come ho già scritto in precedenza è come osservare una partita a poker conoscendo non solo le carte ma anche i ragionamenti dei vari giocatori. Affascinante e molto istruttivo!
Ma veniamo all’esempio odierno.
La situazione è che la costituzione è pronta e, per vari motivi, si è deciso che sarà il Congresso (l’assemblea nata ai tempi della rivoluzione: non la camera definita dalla costituzione in coppia col senato!) a inoltrarla ai singoli stati per la ratifica.
I federalisti (la fazione che ne vuole l’approvazione) pensano che sarebbe utile se il Congresso la inoltrasse con una nota di accompagnamento positiva. Ovviamente gli anti-federalisti (la fazione che non voleva la ratifica della nuova costituzione) erano contrari a ogni forma di sostegno del Congresso a tale documento e, anzi, tentavano di farlo emendare (cosa che in pratica avrebbe svuotato la Costituzione di ogni contenuto o l’avrebbe bloccata a tempo indefinito).
Dopo due giorni di dibattito fu raggiunto un compromesso fra le parti: gli anti-federalisti rinunciavano a tentare di emendare (comunque avrebbero perso) la costituzione ed essa sarebbe stata semplicemente inoltrata alle diverse convenzioni dei diversi stati per la ratifica senza alcuna menzione di approvazione della stessa né riportando l’opposizione della minoranza anti-federalista da parte del Congresso.
I federalisti riuscirono però a inserire nella lettera di accompagnamento alla costituzione del Congresso ai vari stati la parola “all’unanimità”: ovviamente si intendeva che solamente la decisione di inoltrarla era stata presa all’unanimità, NON che tutti i delegati fossero entusiasti di essa!
Un piccolo dettaglio volutamente fuorviante: «Comunque i Federalisti riuscirono poi ad aggiungere la parola “unanimemente” alla risoluzione sulla trasmissione [agli stati]. Lee si lamentò che mentre l’unanimità aveva caratterizzato solo l’atto della trasmissione, i Federalisti speravano “che esso fosse confuso con una approvazione unanime della cosa”.» (*1)
E poi: «...Madison riferì trionfalmente a Washington che “la circostanza dell’unanimità sarà sicuramente favorevole dovunque”» (*1)
E anche: «In risposta Washington rassicurò Madison che un voto unanime, seppure “flebile” del Congresso sulla Costituzione era preferibile a uno con “più forti commenti di approvazione” ma mancante dell’unanimità. Egli era fiducioso che “questa apparente unanimità avrà i suoi effetti. Non tutti hanno le opportunità di sbirciare dietro le quinte; e, poiché la maggioranza giudica dal di fuori, l’apparenza di unanimità in quel corpo [il Congresso cioè], in questa occasione, sarà di grande importanza.”» (*1)
Infine: «Infatti, l’Antifederalista “Sidney” in seguito si lamentò che mentre il Congresso aveva “a malapena” acconsentito a trasmettere la Costituzione agli stati, senza alcun sostegno, i quotidiani avevano riferito “dell’unanime consenso” del Congresso alla Costituzione.» (*1)
Aggiungo che i quotidiani erano per la stragrande maggioranza dalla parte dei Federalisti.
Conclusione: che dire? Non è attuale questo giocare su singole parole? Questa volontà di ingannare l’opinione pubblica contando sulla sua incapacità di andare oltre le apparenze, oltre i titoli dei giornali?
A me pare che questa sia un’altra dimostrazione del cinismo meschino della politica che non si ferma a niente per raggiungere i propri obiettivi. L’ingannare la popolazione è considerata abilità politica, non un qualcosa di cui vergognarsi.
La lezione che se ne dovrebbe apprendere è che, dato che i nostri politici attuali non sono certamente migliori di quelli di fine XVIII secolo, lo scetticismo verso ogni loro iniziativa, soprattutto quando va chiaramente a favorire terze parti, è da considerare con estremo sospetto. Pensare male non è complottismo ma semplice buon senso.
Nota (*1): tradotto al volo da “The framers’ coup” di Michael J. Klarman, (E.) Oxford University Press, 2016, pag. 421.
alla prima stazione
1 ora fa
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