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lunedì 13 gennaio 2020

Male, male sapore di male

Non voglio rimanere troppo indietro nell’esprimere alcune mie osservazioni rispetto alla lettura de La banalità del male di Arendt. Ne approfitto quindi per buttarne giù qualcuna senza pretesa di un filo conduttore.

Dopo il primo capitolo introduttivo, dove l’autrice si limita a un’ampia panoramica del processo (v. La banalità dell’uomo), si passa poi a ripercorrere la vita di Eichmann (E.) concentrandosi ovviamente sugli anni della guerra.

Ecco, è proprio la descrizione di E. che non mi convince. Lo stile dell’autrice non è quello del saggio: non vi è il continuo ricorso alle fonti per giustificare le proprie opinioni (tipo: “E. pensava questo perché in data XXX scrisse la seguente lettera a YYY”). Piuttosto si segue la voce narrante dell’autrice che descrive E. e, di tanto in tanto, vi sono degli estratti dal processo. Diventa quindi impossibile stabilire cosa sia opinione personale della Arendt e cosa invece appurato e certo.
Il problema è che E. viene descritto come piuttosto stupido (non riesce a finire le superiori a differenza dei suoi fratelli, addirittura si era spacciato come laureato senza esserlo), ignorante (nella sua vita legge solo due libri), narcisista (ama la propria voce e le proprie frasi fatte), labile di mente (con la memoria completamente inaffidabile, precisa solo nel ricordare le tappe della propria carriera), incapace di difendersi al processo (anche grazie all’inadeguatezza del proprio avvocato) e simili.
L’E. descritto dalla Arendt diventa un personaggio patetico, quasi una macchietta, e solo con grande abilità non lo trasforma in una figura comica (cosa da evitare perché avrebbe banalizzato anche il ricordo della tragedia delle vittime dell’olocausto).
Magari E. era davvero come descritto dalla Arendt ma allora andrebbe spiegato bene come abbia fatto ad ascendere nella gerarchia nazista (ci tornerò in seguito) se era così totalmente incapace.
Invece no: l’Arendt mi pare che implicitamente attribuisca al semplice caso le “fortune” di E. e questo non mi convince del tutto (*1).
Ho il dubbio che questa semplificazione negativa di E. sia motivata invece dalla scelta stilistica di arrivare a giustificare il titolo del libro: ovvero che a tanto male non corrisponde una grande figura, per quanto negativa, ma un semplice burocrate che si è ritrovato per caso in tale posizione.
Questa è solo una mia ipotesi per spiegare la “strana” descrizione di E. fornita dall’autrice: ma sono appena a un terzo del libro e magari, nel prosieguo, capirò meglio o diversamente.

Ma nella gerarchia nazista quanto era importante E.?
Domanda vaga e risposta altrettanto difficile da definire: la Arendt si limita a scrivere che E. non aveva mai fatto parte delle “alte sfere” del partito nazista.
Però ci viene fornita un’informazione utile almeno a fare un “gioco”, una stima grossolana di quanti fossero i dirigenti del livello di E.
Abbiamo infatti la catena di comando alla quale rispondeva E.: ovviamente alla base vi era Hitler (la cui parola corrispondeva a legge), poi Himmler, Heydrich (sostituito in seguito da Kaltenbrunner), Müller, un capo senza nome e importanza e poi Eichmann, ovvero a 5 gradi di distanza gerarchica da Hitler.
Sapendo quanti fossero mediamente gli immediati sottoposti di ogni dirigente in questa scala gerarchica sarebbe possibile stimare il numero di “pari grado di E.: ovviamente io non ne ho idea ma mi sembra ragionevole pensare che fossero fra 5 e 10 (*2).
Con questa ipotesi si può stimare che i “pari grado” di E. fossero fra 5^5 e 10^5, ovvero da 3125 a 100.000; mediamo quindi a 51.000. SE la mia stima è corretta allora E. sarebbe stato 1 dirigente nazista fra altri 51.000: poca roba insomma… (*3)

Quello che rese E. “importante” fra tanti burocrati di pari livello era che lui guidava una specifica sezione della RSHA la IV-B-4. La sezione IV diretta da Müller era incaricata di combattere i nemici dello stato, la IV-B si occupava in particolare delle “sette” (cattolici, protestanti, massoni ed ebrei). La sezione IV-B-4, dove a capo vi era E., era proprio quella dedicata agli ebrei.
Poi, ovviamente, vi erano tutte una serie di altre organizzazioni naziste, parallele alla RSHA, su cui E. non aveva alcun controllo, fra i cui compiti vi era quello di sterminare gli ebrei e i potenziali oppositori del regime nazista in genere.
Alla fine la sensazione che si ha è che E. fosse solo un ingranaggio, magari importante, ma non uno dei cervelli che dirigessero la macchina: almeno così l’Arendt mi pare che la pensi. Più volte scrive che E. aveva fatto abbastanza da meritarsi la pena capitale (per sua stessa ammissione) ma che comunque molte colpe non gli fossero direttamente ascrivibili: colpe che avrebbe potuto confutare facilmente durante il processo se il suo avvocato se ne fosse presa la briga.

E qui torniamo alla panoramica del primo capitolo: il processo doveva essere spettacolarizzato per motivi politici e allora il suo protagonista, l’imputato E., doveva essere descritto come una mente e volontà malvagia e non come un burocrate dotato semplicemente di scarsa umanità e morale.

Avrei molte altre note da commentare ma, tutto sommato, quanto scritto fino ad adesso segue un filo conduttore piuttosto omogeneo: preferisco quindi non divagare saltando di palo in frasca ad altri argomenti privi di attinenza con quanto scritto finora…

Conclusione: un libro che scorre sorprendentemente bene considerato l’argomento. Ovviamente io conto molto sulle considerazioni morali dell’autrice che, immagino, siano nella seconda parte dell’opera...

Nota (*1): in verità qua e là anche l’Arendt è costretta a riconoscergli qualche dote, per esempio che E. è bravissimo a “organizzare e negoziare”. Ma sono accenni introdotti per giustificare alcuni passaggi ma poi subito dimenticati e che non modificano la figura di E. sempre presentato come piccolo, banale e mediocre.
Nota (*2): la mia stima si basa solo sull’idea che troppi sottoposti diretti siano difficili da gestire mentre troppo pochi renderebbero la posizione inutile. Sarebbe interessante sapere quanto sia questo valore in un esercito o in una grande azienda.
Nota (*3): anche considerando che E. fosse 1 fra 3125 (più tutti i dirigenti di grado più alto) non sembrerebbe comunque troppo importante...

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