Ieri sera ho iniziato a leggere La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme di Hannah Arendt, (E) Feltrinelli, 2019, trad. Piero Bernardini.
Ho terminato il primo capitolo e, come al solito, voglio condividere le mie impressioni iniziali a caldo.
Ero un po’ titubante: considerato l’argomento temevo di imbattermi in una noiosa cronaca moralistica del processo a Eichmann. Mi ero poi convinto a comprare il libro scoprendo che la Arendt, che seguiva il processo a Gerusalemme per un quotidiano statunitense, era stata poi espulsa da Israele a causa dei suoi articoli.
Invece, per adesso, l’opera scorre bene: apprezzo il linguaggio semplice e chiaro che va dritto al punto. L’autrice scrive quello che pensa, senza pregiudizi e in maniera sobria ed equilibrata.
Per prima cosa inquadra il processo: parte dall’aspetto più semplice, ovvero dalla descrizione fisica del tribunale stesso. Poi accenna ai tre giudici verso i quali, soprattutto per il loro presidente, spende parole di ammirazione sia per il loro equilibrio e pazienza che, soprattutto, per la loro resistenza a cercare di far rimanere il processo un atto di giustizia e non uno spettacolo per la televisione (*1).
L’imputato, Eichmann, che avrebbe dovuto essere il “protagonista” del processo, è una figura grigia e curva e segue il processo dalla sua gabbia di vetro senza voltarsi mai verso il pubblico. Il suo unico avvocato difensore prende raramente la parola e non pare darsi molto da fare per il proprio cliente: soprattutto l’autrice gli rinfaccia di non aver fatto delle obiezioni ovvie…
Aggiungo che, dopo questa premessa, ero all’inizio di pagina 16, ho pensato “vabbè, questo è un processo politico perché solo così si possono spiegare le stranezze evidenziate dall’autrice”: alla fine di pagina 16 l’Arendt conferma pienamente il mio sospetto e, in poche parole, accusa Ben Gurion (primo ministro di Israele) di aver voluto spettacolarizzare il processo soprattutto per fini politici.
La “stranezza” più grande evidenziata dalla Arendt è infatti che il processo non tratta solo delle azioni compiute da Eichmann ma di tutte le sofferenze del popolo di Israele, a partire da quelle inflitte dal faraone d’Egitto (!). Il pubblico ministero, per l’autrice, è direttamente alle dipendenze di Ben Gurion e ne segue pedissequamente le indicazioni: quindi il PM fa testimoniare in aula sopravvissuti che raccontano le proprie terribile esperienze nei campi di concentramento. Storie vere ma che hanno poco a che fare col processo in sé. Soprattutto per questo l’autrice attacca il difensore di Eichmann che non pone la fondamentale domanda di cosa queste vicende abbiano a che fare con le azioni di Eichmann; sono invece i giudici che cercano continuamente di riportare le testimonianze nell’ambito del processo in corso.
Ma quali sono gli obiettivi politici di Ben Gurion?
All’opinione pubblica mondiale (ma, secondo me, principalmente a quella statunitense) vuole ricordare le sofferenze del popolo ebraico.
All’opinione pubblica interna (magari ai giovani e agli ebrei provenienti da zone dove non vi erano state deportazioni) vuole: 1. far conoscere e ricordare la storia dell’Olocausto; 2. far capire come solo con un Israele forte ed eroico è possibile proteggere gli ebrei.
La Arendt fa poi notare un’altra anomalia: Ben Gurion dice esplicitamente di non avere niente contro un tedesco se questi è degno (cioè se è una brava persona che non ha fatto niente di male) ma non ripete la stessa affermazione nei riguardi degli arabi (*2). L’autrice spiega tutto politicamente: la Germania pagava in risarcimento a Israele molti milioni di dollari e, proprio in quegli anni, si accingeva a concedere a Israele un grosso prestito a lungo termine.
La Arendt sottolinea infatti come gran parte dell’organizzazione pubblica tedesca, a partire dai suoi giudici (5.000 su 11.000) avesse ricoperto gli stessi incarichi anche sotto il nazismo. Nella sua arringa introduttiva il PM aveva ventilato la possibilità di fare il nome di centinaia di personalità tedesche legate al nazismo e che ancora (siamo nel 1963) rivestivano importanti incarichi: ma poi non ne verrà fatto nessuno e l’unica eccezione è invece tirata in ballo dalla difesa che fa il nome di uno stretto collaboratore di Adenauer (cancelliere della Germania Occidentale).
Mi rendo conto che, non essendo dotato dell'abilità dell'autrice nell'amalgamare insieme le varie informazioni, chi legge questo mio pezzo troverà le varie osservazioni sopra riportate scollegate fra loro: è così infatti! L’autrice nel primo capitolo ha solo voluto posizionare tutti gli elementi al loro posto iniziale e, suppongo, nel resto del libro li userà per sostenere le proprie argomentazioni.
Devo aggiungere che mi pare di sentire una notevole affinità col modo di pensare della Arendt: mi sembra di intuire i come e i perché, anche non esplicitati, di ciò che scrive.
Nel complesso ho la sensazione che, attraverso il processo, verrà analizzata la politica di Israele, delineatasi in quegli anni e tuttora attuale. Vedremo se ho ragione.
Va da sé che il processo a Eichmann è secondario: tutti sanno che è già condannato. Si vuole però usare il processo come cassa di risonanza per i motivi politici sopraddetti.
Conclusione: mi scuso per non aver riportato i nomi di tutti i “personaggi” del primo capitolo: è che ho scritto a memoria, senza riaprire il libro o guardare i miei appunti, e per i nomi sono particolarmente negato...
Nota (*1): negli USA un canale televisivo trasmetteva il processo… interrompendolo continuamente con la pubblicità!
Nota (*1): anzi, un altro dei presunti obiettivi del processo sarebbe stato quello di dimostrare le relazioni fra nazisti e varie personalità arabe: ma in questo senso non ci furono novità.
Cioran e il tempo come ascesa verso il non-essere
30 minuti fa
Nessun commento:
Posta un commento