Come per la scorsa puntata (v. OM 6) ormai ho il problema che quando leggo le mie note non è più immediato ricordarmi esattamente tutte le sottigliezze che avevo in mente. Premesso questo vediamo cosa c'è nel “minestrone” oggi!
I miei appunti mi rimandano a un brano evidenziato che ho dovuto rileggere varie volte per capirlo (dopo tutti questi mesi lo stile del Leopardi mi sembra di nuovo involuto) e nel complesso non mi pare nemmeno troppo interessante. Per questo mi evito la fatica di copiarlo e ai lettori di leggerlo.
In breve si afferma che quei giovani del tempo, che fanno la corte alle ricche signore, hanno più spesso che nel passato successo nei loro intenti. D'accordo e allora?
Idem qualche pagina dopo quando il Leopardi si dichiara contrario alle mode o, meglio, a seguirle smodatamente (il pessimo gioco di parole è mio!).
Il seguente paragrafo è invece interessante: «Diciamo e udiamo dire a ogni tratto: i buoni antichi, i nostri buoni antenati; è uomo fatto all'antica, volendo dire uomo dabbene e da potersene fidare. Ciascuna generazione crede dall'una parte, che i passati fossero migliore dei presenti; dall'altra parte, che i popoli migliorino allontanandosi dal loro primo stato ogni giorno più; verso il quale se eglino retrocedessero, che allora senza dubbio alcuno peggiorerebbero»
Si tratta di un paradosso che anch'io avevo notato e discusso con mio zio: leggere almeno la parte iniziale di Deriva morale per notarne le similitudini!
Questo è buffo: avevo evidenziato anche il seguente passaggio: «...Socrate affermava essere al mondo un solo bene, e questo essere la scienza; e un solo male, e questo essere l'ignoranza; disse [non Socrate! un altro personaggio]: della scienza e dell'ignoranza antica non so; ma oggi io volgerei questo detto al contrario.» ma adesso l'unico collegamento che mi viene in mente è con l'Elogio alla follia di Erasmo che però sto finendo di leggere in questi giorni dove, per la cronaca, solo l'ignorante nella sua follia (in senso lato) può essere felice!
Salto un'altra nota che non capisco: cioè la frase in sé la capisco ma non ricordo più cosa vi vedevo io di così interessante da scriverne. Probabilmente si tratta di qualcosa collegato alle pagine precedenti ma non ho voglia di rileggerle...
Viene citato Annone, il famoso esploratore cartaginese (v. Annone) che mi ha sempre affascinato: «...la favola dei paesi narrati da Annone, che la notte erano piene di fiamme, e dei torrenti di fuoco che di là sboccavano nel mare...». Nel testo questa parte del resoconto di Annone è citato come “favola”, cioè non affidabile. Attualmente però si pensa che Annone fosse in realtà giunto sulle coste della Guinea o del Camerun durante un'eruzione vulcanica...
Storia interessante di per sé: «Scrivono gli antichi, come avrai letto o udito, che gli amanti infelici, gittandosi dal sasso di Santa Maura (che allora si diceva di Leucade) giù nella marina, e scampandone; restavano, per grazia di Apollo, liberi dalla passione amorosa.»
Il Leopardi afferma poi che tutto invecchia e infine muore. Mi ha colpito però che abbia esteso questo concetto anche all'universo stesso: «Tempo verrà, che esso universo, e la natura medesima, sarà spenta.»
Probabilmente ci vidi un'idea di entropia ma adesso immagino che non sia altro che la versione dell'autore dell'idea cristiana della fine dei tempi...
E a proposito, di tempo lineare e tempo ciclico, c'è poi un accenno all'apocatastasi (termine un po' strano sul quale, ormai molti anni fa, scrissi il racconto Lapocosa: se lo ritrovo magari lo pubblico) «...i filosofi, così greci come barbari, i quali affermarono dovere alla fine questo presente mondo perire di fuoco».
Le seguenti parole sono messe in bocca al personaggio Eleandro ma non mi stupirei se il Leopardi le riferisse a se stesso: «Sono nato ad amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto può mai cadere in anima viva. Oggi, benché non sono ancora, come vedete, in età naturalmente fredda, né forse anco tiepida; non mi vergogno a dire che non amo nessuno, fuorché me stesso».
Sempre Eleandro dice: «però se gli uomini mi trattassero meglio di quello che fanno, io gli stimerei meno di quel che gli stimo». Che significa? Il Leopardi si riferisce sempre a se stesso?
Non ne sono sicuro ma credo che tale comportamento indichi il massimo disprezzo verso l'umanità: perché altrimenti ripagare l'essere trattato meglio con minore stima?
Forse è la superbia o l'alterigia che parla?
Infine ho tralasciato di segnalare tutta una serie di vocaboli ormai desueti e di cui non sapevo o volevo capire meglio il significato.
Alla prossima (ultima?) puntata!
sabato 2 agosto 2014
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