In questi giorni non sto scrivendo molto sul ghiribizzo: sono abbastanza impegnato con la nuova versione dell’Epitome, mercoledì (mi pare!) avevo iniziato a scrivere un nuovo pezzo su un altro livello di Baba che non mi riesce ma, essendo più complesso dei precedenti, non sono riuscito a completarlo: con calma vedrò di finirlo…
E poi ieri (sabato) ho fatto un altro giorno del libro: invece di accendere il calcolatore ho portato avanti le mie letture: noioso ma proficuo. Anzi mi era venuta voglia di scrivere vari commenti a quanto letto ma poi ho deciso che non era prudente accendere il calcolatore anche solo per scrivere e, così, mi sono trattenuto fino a oggi.
In verità sono da mio padre e qui odio scrivere sul suo calcolatore perché non mi ritrovo con la sua tastiera: ogni volta che devo mettere un accento perdo un sacco di tempo e, quindi, il filo del discorso (per non parlare poi delle “macro” che mi sono fatto e che qui non ho disponibili…). Però, siccome è tanto che non pubblico niente, cercherò di scrivere il pezzo che avrei voluto fare ieri…
Come lo scorso sabato ho preferito concentrarmi su “Il tramonto dell’euro” di Alberto Bagnai perché è per me il più impegnativo. Inoltre è un libro che mi riempie di frustrazione poiché fa capire quanto, specialmente nei rapporti con l’UE, i nostri politici siano stati incapaci quando non, addirittura, abbiano coscientemente tradito il proprio popolo.
Mi rendo conto che la parte che sto leggendo adesso è importante ma, personalmente, non la trovo molto interessante: Bagnai ipotizza (scrive nel 2012 mi pare) come l’Italia possa uscire dall’euro da un punto di vista tecnico e legale e quali ne sarebbero le conseguenze.
Sostanzialmente, come per ogni scelta macroeconomica, ci sarebbero dei pro e dei contro: il “contro” principale sarebbe una svalutazione della nuova lira di circa il 10% (ovviamente cambierebbe da moneta a moneta); i “pro” sarebbero invece immensi: l’Italia tornerebbe rapidamente a prosperare invece di depauperarsi come sta avvenendo ormai da quasi vent’anni (cioè dall’adozione del cambio fisso, ovvero l’euro, e dalla perdita della sovranità monetaria).
C’è però un “ma” che, mi pare, Bagnai sottovaluti e che invece ha serie ripercussioni politiche.
Rispetto ad altre svalutazioni da lira in lira, questa volta passeremmo da euro a lira con l’euro che, probabilmente, rimarrebbe in uso in altri stati dell’unione.
Gli italiani si ritroverebbero forzatamente costretti a vedersi convertire i propri euro in nuove lire e, in questo modo, sarebbe fortemente percepibile la perdita di valore dovuta alla svalutazione.
In altre parole tutti gli italiani percepirebbero chiaramente il danno dell’uscita dall’euro mentre i vantaggi sebbene molto più grandi, che inizierebbero a manifestarsi a distanza di pochi anni, sarebbero molto meno evidenti.
Ad esempio le nostre aziende che esportano si ritroverebbero in breve tempo a competere all’estero con prezzi più bassi di un 10% incassando un 10% in più (cifre mie!). Invece di licenziare e chiudere fabbriche si assumerebbero nuovi dipendenti, più denaro circolerebbe nel sistema paese, etc… Anche lo Stato ne beneficerebbe molto recuperando la propria sovranità monetaria ma, di nuovo, il comune cittadino non avvertirebbe immediatamente nessun vantaggio: tutto sarebbe molto indiretto per quanto concreto.
Immaginiamoci poi i media tradizionali che, completamente allineati con i poteri esteri, farebbero continua opera di terrorismo psicologico: trasformerebbero in tragedia ogni segnale negativo e ignorerebbero tutti quelli positivi.
Quello che voglio dire è che politicamente, la forza che portasse l’Italia fuori dall’euro, anche se nel medio lungo periodo avrebbe salvato il paese, nel breve ne pagherebbe pesantemente le conseguenze.
E, siccome i nostri politici pensano e ragionano solo sul breve termine, temo che la salvezza dell’Italia sia più lontana di quanto il Bagnai creda…
E’ buffo pensare a “La banalità del male” della Arendt come a un libro meno “impegnativo” di quello del Bagnai ma per me è così. Certo, il tema trattato dalla Arendt è mille volte più drammatico, ma lei riesce a scriverne in maniera leggera (che non significa banale o divertente, ma scorrevole) con appena un pizzico di ironia che quasi non si nota (come, per esempio, i suoi commenti agli scrupoli “morali” dei nazisti).
Comunque ieri ho letto diverse pagine anche di questo libro…
Uno dei commenti che mi ripromettevo di fare era sul contributo dato ai nazisti dai collaborazionisti ebrei: personalmente, anche se mai mi ero interessato all’olocausto, non ne avevo mai sentito parlare.
Inizialmente pensavo che i casi citati dalla Arendt fossero più unici che rari ma poi, proseguendo nella lettura, questi si sono moltiplicati: era spesso la polizia ebraica che consegnava gli ebrei ai nazisti. Complesso il motivo della loro collaborazione: probabilmente era fondato, ipotizza l’autrice, sul sistema delle “eccezioni”. Per salvare un “ebreo illustre” se ne sacrificavano cento sconosciuti. Per esempio in Ungheria il dottor Kastner, un ebreo di Budapest che collaborò con Eichmann, salvò 1684 persone sacrificandone però 476.000…
Nel complesso però, nonostante le ripetute citazioni della Arendt, non riuscivo a credere alla dimensione e importanza di questo fenomeno. Alla fine mi ero persuaso che il fenomeno del collaborazionismo fra autorità ebraiche e naziste fosse significativo ma non particolarmente determinante.
Poi ho letto questo passaggio: “Ovunque c’erano ebrei, c’erano stati capi ebraici riconosciuti, e questi capi, quasi senza eccezioni, avevano collaborato con i nazisti, in un modo o nell’altro, per una ragione o per l’altra. La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato caos e disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni. Secondo i calcoli di Freudiger, circa la metà si sarebbero potute salvare se non avessero seguito le istruzioni dei Consigli ebraici.” (*1)
Da un punto di vista filosofico credo che l’autrice sia nel giusto (la parafraso): chiedere e accettare un’eccezione equivale ad approvare la regola.
Aggiungo, secondo la teoria della mia Epitome, che per la legge del Confronto i parapoteri, in questo caso i Consigli ebraici e i funzionari nazisti, tendono a collaborare insieme. Se gli ebrei non avessero avuto dei propri rappresentanti con cui i nazisti potettero collaborare si sarebbero ritrovati, con le debite proporzioni e differenze, nella situazione della scienza che, essendo acefala, è difficilmente controllabile dai parapoteri ([E] 9.1) (*2).
Infine, pochi giorni fa, ho terminato il secondo volume di “Tutti i racconti” di Lovecraft e sono stato fortemente tentato di iniziare “Le ragioni psicologiche della diseguaglianza” di Chiara Volpato: il problema è che ai libri impegnativi devo inframmezzare letture leggere e Lovecraft rivestiva questo secondo ruolo…
Allora ho deciso di limitarmi all’introduzione, scritta dalla stessa autrice, e, come libro “leggero” ho scelto “Le cinque teste di Cerbero” di Gene Wolfe: ho il dubbio di averlo letto pochi anni fa ma per adesso non lo ricordo per niente!
Volevo quindi dedicare gran parte di questo pezzo a confrontare le cinque paginette dell’introduzione de “Le ragioni psicologiche della diseguaglianza” con la mia teoria dato che, da quel che ho potuto intuire, le affinità (quando trattiamo gli stessi argomenti: ovviamente io divago in lungo e in largo!) sono tantissime e impressionanti.
A questo punto però, siccome ho già scritto più che abbastanza, rimando questo confronto a un’altra occasione e chiudo qui questo pezzo…
Conclusione: dove sta la verità? Spesso dove preferiamo non guardare.
Nota (*1): da “La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme” di Hannah Arendt, (E.) Feltrinelli, 2019, trad. Piero Bernardini, pag. 147.
Nota (*2): mi cito: “La scienza, come gruppo aperto e subordinato, deve essere considerata un potere debole: però, a differenza della maggioranza di questi, è anche acefala in quanto non ha un potere delegato (in genere chiusi e autonomi) che la rappresenti.
Questa acefalia ha importanti conseguenze: da una parte la mancanza di un suo potere delegato, rende la scienza un gruppo ancora più subordinato perché perde quasi interamente la sua capacità di contrattare con i parapoteri; d'altra parte questo rende la scienza anche difficilmente controllabile nella sua interezza: le decisioni dei parapoteri arrivano agli scienziati indirettamente, per vie traverse, e questo fa sì che esse talvolta possano venire distorte o, addirittura, temporaneamente ignorate.”
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