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giovedì 31 marzo 2022

Indietro su Sartori (7b/??)

[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.9.0 "Dolore").

Premetto che qualche giorno fa ho pensato “e chi…!” e ho ripreso la lettura di “Democrazia cosa è” senza attendere di rimettermi in pari con questa sintesi.
Oltretutto quello che ho iniziato è l’ultimo capitolo ma dopo di esso c’è una corposa appendice che sembra essere interessante: l’idea è quella di concludere questa serie, obiettivamente piuttosto strascicata, col capitolo che sto leggendo. Se poi trovassi degli spunti particolarmente interessanti nelle appendici ci farò allora dei pezzi a parte.

Oggi riprendo dal capitolo XII ma invece di soffermarmi su tutte le mie note mi limiterò ai due o tre passaggi che avevo particolarmente evidenziato. Dovrebbe venirne fuori un pezzo più breve e, spero, interessante.

La prima nota “importante” riguarda una differenza di giudizio sul “mercato” con Sartori.
Sartori afferma che il mercato supera le ineguaglianze di nascita e di ceto: è vero ma non lo vedo come un merito del mercato in quanto tale ma di un’evoluzione della “struttura di base” istituzionale.
Successivamente Sartori spiega che il mercato favorisce il merito e non le uguaglianze: qui bisogna capire da che prospettiva si intende questa affermazione. Se si parla delle aziende che competono fra loro allora, forse, viene premiato il merito (ma subentrano tanti altri fattori che potrebbero distorcere o addirittura ribaltare questa visione semplicistica); se invece ci si riferisce ai consumatori e chi ha più merito ha semplicemente più denaro da spendere allora il limite del sistema è ovvio. Anche semplicemente ricordando che il denaro genera denaro e non può quindi essere considerato una misura equa del merito (*1).
Insomma in questa liquidazione delle critiche al mercato mi pare che Sartori sia un po’ assertivo e semplicistico nelle sue argomentazioni…

La seconda nota evidenziata reca in realtà l’appunto “dovrei rifletterci un po’...” ma ormai riassumo la questione. Nel sottocapitolo intitolato “Individualismo, collettivismo e valore-lavoro” Sartori arriva a un piccolo paradosso: «[…] il paradosso sussiste: Marx è inconsapevolmente individualista, e il mercato è, senza intenderlo, collettivista.» (*2)
Le argomentazioni sono:
1. il mercato sfrutta il lavoratore (pagandolo meno del valore che produce) a beneficio dei consumatori (che pagano meno per i prodotti che acquistano) ed è per questo collettivistico.
2. Marx tutelando i singoli meno abili (puniti invece dal mercato) è individualista (*3).

Ma, che dire, il paradosso è divertente ma mi pare piuttosto forzato: in particolare il mercato sfrutta il lavoratore per massimizzare i profitti piuttosto che per abbassare i prezzi per i consumatori. Sì, a volte la competizione delle varie aziende fra loro può portare benefici ai consumatori ma si tratta di un effetto collaterale e non dell’essenza del mercato. Altrettanto e forse più spesso il grande monopolio si approfitta della propria forza per “spremere” i consumatori il più possibile.
Non conosco abbastanza la teoria di Marx per esprimere un giudizio sul tempo-lavoro-valore ma mi sembra che l’esempio riportato (*3) sia un caso limite: non so, supponendo la stessa abilità per entrambi gli orologiai, verrebbe da pensare che l’orologio prodotto in dieci giorni abbia una qualità maggiore di quello costruito in un singolo giorno e anche questo andrebbe considerato…
Insomma paradosso divertente ma poco significativo.

Avevo poi evidenziato una lunga citazione di Voltaire in cui vengono elencate le libertà naturali: avevo chiaramente in mente di mostrare come queste stiano attualmente venendo erose, intaccate e limitate, spesso con giustificazioni speciose, nelle nostre moderne democrazie.
Chi, come me, esprime le proprie paure è velocemente additato e screditato come un complottista.
Oggi non mi va di ripetere sempre le stesse cose e quindi evito di sprecar tempo riscrivendo ciò che ho già scritto: chi fosse interessato troverà sicuramente del materiale al riguardo in pezzi specifici.

Altra questione interessante: è stato lo sviluppo economico occidentale a portare alla democrazia?
Secondo Sartori non è proprio così: piuttosto lo sviluppo economico è precondizione alla democrazia. Vale infatti il controesempio della Cina dove vi è ricchezza ma non democrazia.
Personalmente credo che sviluppo e democrazia si facilitino a vicenda ma questo solo quando la democrazia non degeneri in qualcosa di diverso: secondo la mia teoria in una società decadente il governo politico si appiattisce facilmente sulle posizioni dei poteri economici con la conseguente degenerazione di tutte le istituzioni, compresa la stessa democrazia (vedi [E] 15 per un trattazione più approfondita) in un circolo vizioso.

Conclusione: l’aspetto più interessante di questo capitolo è la relazione fra economia e democrazia: Sartori riporta varie teorie più o meno credibili ma personalmente vedo il tutto da una prospettiva completamente diversa.
Per me il potere è da sempre in mano a parapoteri, che nel corso del tempo hanno cambiato forma e talvolta natura, e la conseguenza è che il mercato è il mezzo più pratico per aumentare la propria forza (che al giorno d’oggi corrisponde al denaro) e la democrazia un mito necessario a mantenere il controllo della popolazione.

Nota (*1): e oltretutto, vedi Rawls, non è assolutamente detto che si voglia sempre premiare il merito sacrificando l’equità: almeno dal mio punto di vista.
Nota (*2): tratto da “Democrazia cosa è” di Giovanni Sartori, (E.) RCS, 2007, pag. 229.
Nota (*3): l’esempio riportato è quello degli orologiai: se un orologiaio produce un orologio in un giorno e un altro in dieci giorni allora il valore del secondo dovrebbe essere dieci volte maggiore del primo dato che ha richiesto 10 volte tanto tempo per essere prodotto. O magari, più realisticamente, si medierebbe considerando i due orologi prodotti ciascuno in 5 giorni.

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