Prima che mi dimentichi ciò che ho letto è bene che scriva questo pezzo, ovvero la conclusione del mio commento alla lettura de I coloni dell’austerity di Ilaria Bifarini, (E.) Altaforte, 2019.
Al riguardo ho già scritto la prima parte in Africa (1/2) e, soprattutto, in Intermezzo africano ho voluto evidenziare a parte un concetto che mi è sembrato molto importante: ma è inutile che mi ripeta, chi è interessato può seguire i collegamenti riportati qui sopra…
Nel quinto capitolo si affronta il recente ruolo della Cina in Africa: ne ero molto interessato perché seguo con grande curiosità la politica estera cinese e su questo specifico argomento non mi era capitato di leggere niente.
In breve, da quanto spiegato dall’autrice, non è chiaro se i paesi africani che collaborano con la Cina caschino dalla padella nella brace ma, sicuramente, non migliorano troppo la propria condizione.
La Cina non avendo un passato coloniale nel continente africano è vista di buon occhio dalla popolazione locale inoltre i prestiti che propone non sono condizionati ad alcuna politica economica: ma l’aspetto positivo di questi investimenti cinesi finisce praticamente qui.
Infatti, alla fine il rapporto economico che si va a instaurare fra paesi africani e Cina è il solito modello: la Cina esporta prodotti finiti in cambio di materie prime; quindi nessun sviluppo per l’industria locale etc…
Molti dei prestiti cinesi hanno lo scopo di realizzare infrastrutture appaltate, ovviamente, ad aziende cinesi che, in genere, usano il proprio personale: in questa maniera la Cina finanzia indirettamente le proprie aziende. Inoltre ci sono forti dubbi sulla sostenibilità per i paesi africani di queste opere spesso molto costose soprattutto considerando che, latitando l’industria locale, non sembrano in grado di essere funzionali allo sviluppo economico delle nazioni coinvolte. Infrastrutture e industrie dovrebbero infatti crescere di pari passo.
Inoltre lo sfruttamento delle risorse è completamente senza regole e senza alcun rispetto per l’ambiente cosa che, indirettamente, provoca grave danno ai paesi africani.
Ovviamente non poteva mancare una presenza militare cinese sul continente: la Francia ci ha insegnato come questa sia utile per “correggere” con la forza la politica locale nel caso che questa vada contro gli interessi delle potenze estere.
Infine, non ne ero a conoscenza, ma c’è anche un vero e proprio flusso migratorio dalla Cina all’Africa. Non ci sono numeri certi ma la stima riportata dalla Bifarini parla di 2 milioni di cinesi!
Ma soprattutto sembra si tratti di una vera e propria tendenza alla colonizzazione: si tratta infatti di cinesi poco istruiti, in genere contadini, ai quali viene proposto di divenire proprietari di aziende agricole locali. Il cibo, magari frutto di coltivazioni intensive, non rimane in Africa ma va ad alimentare il mercato cinese.
Comunque su questo specifico argomento mi piacerebbe saperne di più per comprenderne le reali dimensioni.
Collegato al punto precedente c’è il fenomeno del “land grabbing” in cui terreni pubblici vengono venduti a multinazionali col risultato di privare la popolazione locale di risorse per il proprio sostentamento e, oltretutto, provocando (di nuovo) gravi danni all’ambiente.
Come al solito colpisce l’ipocrisia di istituzioni internazionali come la Banca Mondiale (BM) che spesso, magari attraverso intermediari e a causa della scarsa trasparenza, finisce per finanziare questi progetti manifestamente nocivi per la popolazione e l’economia locale.
Nel capitolo sei si riassumono dei concetti già visti: il neoliberismo ha danneggiato l’economia africana invece di averla fatta crescere; inoltre il finanziamento del debito che diventa irripagabile ricorda il meccanismo dell’usura: al netto dei flussi di denaro, compresi aiuti e finanziamenti, dal continente africano escono più soldi di quanti ne entrano (41 miliardi di dollari nel 2015). È quindi evidente l’ipocrisia di come viene gestita dall’occidente e dalle sue maggiori istituzioni finanziarie la situazione africana.
In questo capitolo c’è poi la parte di cui ho scritto in Intermezzo africano e che non starò qui a ripetere…
Il settimo capitolo tira le conclusioni di cui la più importante è che, a quanto sembra, la stessa strategia neoliberista, fallimentare in Africa, sta venendo pedissequamente replicata in Europa con effetti altrettanto nefasti: l’austerity che non ha funzionato nel continente nero non funziona né funzionerà in Europa.
Questo è ormai, almeno fra gli economisti, risaputo (v. I veri motivi della crisi economica) ed è evidente che l’insistere su questa politica non è casuale, non si tratta di un errore in “buona fede” ma ha altri scopi ben precisi…
Infine una parola sull’editore: qualche settimana fa ho scoperto che Altaforte è proprio l’editore vicino a Casa Pound su cui sono recentemente fioccate le polemiche in relazione alla sua partecipazione alla mostra del libro di Torino.
Che dire? Questo libro fortemente anti neoliberista, fortemente a favore della libertà dell’Africa e fortemente contro il suo sfruttamento NON è certamente razzista. Non c'è quindi motivo, nemmeno arbitrario, di tenerlo fuori dalla manifestazione di Torino dove avrebbe potuto ottenere un po’ di meritata visibilità.
Banalmente NON vale quindi la proprietà transitiva “casa editrice di destra” → “tutti i libri pubblicati hanno contenuti di destra” né vale l’inverso visto che, ad esempio, Feltrinelli ha pubblicato il “Mein Kampf” e nessuno ha protestato.
Insomma non mi pare ci sia una relazione univoca e significativa fra editore, autore e libro e per questo non comprendo bene la ragione di tutte queste polemiche.
Sospetto quindi che l’origine di questo polverone sia solo pretestuosa, in funzione anti-Salvini, visto che questi ha pubblicato con Altaforte la propria biografia: l’idea è forse quella di dare a Salvini del razzista attraverso un’incerta proprietà transitiva fra editore e autore.
Al riguardo rimando all’articolo Censurati per proprietà transitiva di Marcello Veneziani su
www.MarcelloVeneziani.com che analizza in profondità questo paradosso logico.
Conclusione: un buon libro, soprattutto denso di idee fuori dalla narrazione comune. L’avevo comprato per documentarmi sull’immigrazione ma tale argomento non viene trattato direttamente: indirettamente si capisce però che l’immigrazione è l’inevitabile risultato del progressivo depauperamento dell’Africa e dei suoi abitanti. Ancora più significativo è che chi dovrebbe aiutare a far uscire l’Africa dal pozzo della povertà, BM e Fondo Monetario Internazionale, la spingono invece sempre più al suo interno sommergendola con prestiti che non possono essere ripagati.
Stessa ricetta che sta venendo sperimentata in Europa con la complicità di molte forze politiche nazionali coordinate da una EU sempre più lobbizzata.
alla prima stazione
1 ora fa
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