[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.2.1 "Awanagana").
Sono arrivato a più di metà lettura di I coloni dell'austerity di Ilaria Bifarini, (E.) Altaforte, 2019 e credo sia giunto il momento di scrivere un commento sulla prima parte dell'opera in maniera da non ritrovarmi con troppo materiale da analizzare tutto insieme...
A prima vista il libro mi aveva lasciato piuttosto tiepido: i capitoli brevissimi e i caratteri un po' grandi mi avevano dato un'impressione di superficialità preoccupante.
Quando però ho iniziato la lettura vera e propria mi sono trovato bene: l'autrice scrive in maniera chiara e lineare e il contenuto è interessante e utile.
L'unica pecca è che si sente la mancanza di dati precisi, tabelle e grafici: l'autrice spiega infatti l'evoluzione della storia economica dell'Africa post coloniale ma non sempre è evidente quali siano i dati e quali le sue riflessioni.
Ma probabilmente il vero motivo per cui quest'opera mi sta piacendo e che, come al solito, sto trovando delle clamorose conferme a quanto già pensavo e avevo scritto nell'Epitome.
Davvero, lo so che suona sciocco farsi i complimenti da soli, ma anche in questo caso (così com'era avvenuto con Scienza è democrazia di Maria Luisa Villa) tutto, al netto della terminologia, combacia perfettamente con la mia teoria. Ovviamente il suo punto di vista è tutto basato sull'economia dove io, anche nell'Epitome, evito di addentrarmi: per me l'economia è solo il mezzo con cui i parapoteri economici nel mondo odierno cercano di aumentare la propria forza e, quindi, i dettagli specifici del “come” mi interessano relativamente.
Però, e questo è l'importante, tutto il quadro del disastro economico africano dipinto dalla Bifarini coincide perfettamente con la mia teoria sulle democrazie minori ([E] 13.4) e di come queste vengano nella pratica controllate dall'esterno. Come al solito la mia visione è molto più ampia e permette quindi di inquadrare più accuratamente l'intera situazione globale.
La tesi della Bifarini è in realtà piuttosto semplice e, proprio per questo, estremamente credibile.
La maggior parte degli stati africani hanno ottenuto l'indipendenza negli anni '50-'60 ('70 per le colonie portoghesi); nei primi decenni immediatamente successivi questi avevano realizzato una crescita piccola, ma significativa, delle rispettive economie. Il modello economico seguito era quello dell'ISI ovvero si tentava di sostituire le merci importate con la produzione locale: la crescita del PIL era dell'1-2%, cioè lenta, ma che comunque corrispondeva a un miglioramento delle condizioni di vita.
Con le crisi economiche degli anni '70, innescate dall'aumento del prezzo del greggio (non entro nei dettagli affrontati nel libro), e in particolare a causa di quella del 1979, il debito dei paesi africani aumenta vertiginosamente. Così negli anni '80 entrano prepotentemente in gioco la Banca Mondiale (BM) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI): enti in teoria indipendenti ma in realtà politicamente controllati da Washington. Nel corso degli anni, a più riprese, queste istituzioni hanno finanziato i debiti africani condizionandoli però a sempre più significative riforme strutturali.
Sulla carte queste riforme, tutte di stampo neo-liberista (riduzione servizi pubblici, vendita delle risorse a privati, libera circolazione dei capitali, etc...), avrebbero dovuto permettere all'Africa di crescere economicamente e di ridurre così la povertà: tante sigle diverse, utili solo a nascondere il loro fallimento, ma stessa sostanza. Alla fine la ricetta è sempre la stessa: no alle funzioni sociali dello stato, privatizzazioni e libero marcato. Gli stati africani nell'inutile tentativo di ridurre il loro debito tagliano i servizi (scuola, sanità, trasporti), o li affidano ai privati, aumentando così la povertà e l'ineguaglianza sociale; esportano materie prime e importano prodotti finiti senza sviluppare la propria economia.
Ma come mai BM e FMI impongono queste politiche economiche inefficaci e addirittura controproducenti? Lo fanno perché il loro vero obiettivo non è rendere gli africani più ricchi ma, al contrario, renderli più poveri favorendo lo sfruttamento delle risorse naturali del continente da parte delle multinazionali occidentali.
La democrazia in Africa è solo un'apparenza e le élite locali sono complici dei poteri esteri che si arricchiscono a scapito della popolazione: si tratta a tutti gli effetti di una forma di colonialismo mascherato, di un'indipendenza solo simbolica e volta solo a mantenere, a fatica, l'ordine sociale.
Quando poi qualche politico locale che vorrebbe cambiare le cose, nonostante elezioni spesso truccate, riesce ad arrivare al potere ecco che esso viene opportunamente eliminato: al contrario i dittatori più spietati rimangono al potere per decenni perché permettono lo sfruttamento del proprio paese accontentandosi delle briciole.
I passaggi di I coloni dell'austerity che sembrano tratti dalla mia Epitome (in partcolare dalla teoria delle democrazie minori) sono innumerevoli. Ne ripropongo un paio, così per dare un'idea:
«K. Nkrumha, … …, ha riscontrato come essi [cioè gli stati africani] facciano derivare la loro autorità di Governo “non dalla volontà popolare ma dal sostegno dei loro padroni neocoloniali”, poiché, nella maggior oarte dei casi, il sistema economico e la vita politica di questi Stati sono completamente eterodiretti e condizionati dalle potenze straniere.» (p. 31-32)
Poco dopo si specifica di chi siano i veri interessi in gioco: «[Il neocolonialismo indirizza] le politiche dei Governi locali verso gli interessi del capitale finanziario e delle multinazionali dei Paesi ricchi.» (p. 32)
Ah! E, ovviamente, gli africani che emigrano generalmente non lo fanno per scappare dalla guerra né tantomeno dalla fame: essi fuggono invece dalla povertà causata dallo sfruttamento estrero delle risorse del loro continente.
Attenzione perà a non cadere nella trappola dell'autocolpevolizzazione: la colpa dello sfruttamento dell'Africa non è nostra, dove con “noi” intendo la democratastenia ([E] 4.4) europea. Sono infatti i parapoteri ([E] 4.2) economici globali, coadiuvati dai governi di ex potenze coloniali e potenze globali, che sfruttano per il proprio profitto l'Africa. La colpa sarebbe della democratastenia europea se questa fosse consapevole del problema, potesse opporsi a esso e non lo facesse: ma in realtà la democratastenia non ne è consapevole (*1) e, anche se lo fosse, potrebbe fare ben poco poiché anche in Europa le democrazie si stanno trasformando in criptocrazie ([E] 11.5) dove il “potere del popolo” è solo illusorio.
C'è poi tutto un capitolo sul neocolonialismo francese incentrato sulla moneta CAF (Franco del Centro Africa) che ha avuto un po' di risonanza qualche mese fa grazie alle dichiarazioni di Di Battista ma di cui si è rapidamente smesso di parlare (*2). I dettagli sono allucinanti: in pratica i paesi africani del CAF devono consegnare alla Francia il 50% (il 65% fino a poco tempo fa) dei loro introiti in valuta forte semplicemente per poter usare quella che dovrebbe essere la loro moneta.
E i pochi politici africani che si ribellano a questa logica vengono eliminati: si contano ben 40 interventi militari francesi per proteggere i propri interessi economici nella regione.
Sapete cosa stava progettando Gheddafi? Una nuova moneta comune africana diversa dal CAF (*3): pensate che sia stato un caso l'attacco francese?
Lo so: queste teorie possono sembrare facile complottismo quando non fantapolitica: ma il materiale proposto dall'autrice è numeroso e tutta la sua interpretazione socio-economica dei fatti è molto convincente. E poi è completamente compatibile con la mia teoria!
Però quello che più mi ha colpito non riguarda tanto l'Africa quanto il ruolo della BM e del FMI: è evidente che si tratta di organizzazioni completamente incapaci (*4) o, altrimenti, con fini e scopi ben diversi da quelli dichiarati.
Inoltre la tecnica del ricatto finanziario operato in Africa, ovvero dei prestiti in cambio di riforme liberiste, sembra la bozza (ideata negli anni '80) di quanto sta avvenendo in questi anni in Europa e in particolare in Italia (vedi Monti nel 2010): politiche economiche folli che distruggono l'economia e impoveriscono la maggioranza della popolazione imposte col ricatto dello spread e giustificate con argomentazioni speciose da media ed élite (*5) poltiche complici.
Conclusione: ancora una volta l'istinto che mi ha guidato alla scelta del libro si è rivelato corretto: sto trovando materiale interessantissimo e molti spunti. Il prossimo capitolo poi mi interessa particolarmente: il ruolo della Cina in Africa...
Nota (*1): i media, complici dei parapoteri, dipingono una verità molto diversa che vuole nascondere le vere ragioni dell'immigrazione in Europa che, per varie ragioni ([E] 19.2), è ritenuta utile ai parapoteri economici.
Nota (*2): si tratta infatti di una verità scomoda che i media preferiscono evitare...
Nota (*3): in realtà qualunque moneta comune che metta insieme paesi con economie diverse, senza ulteriori aggiustamenti, è destinata ad arricchire alcuni paesei e a impoverirne altri: di certo però la Francia non ci avrebbe guadagnato niente e ci avrebbe rimesso moltissimo...
Nota (*4): e in verità l'incapacità è realmente un fattore riconosciuto da queste stesse organizzazioni: attualmente esse si trovano a dover prendere decisioni socio-politiche senza avere le necessarie competenze nel proprio personale.
Nota (*5): in Italia politici di area di “sinistra” ma, probabilmente, se ci fosse stato al governo Berlusconi avrebbe fatto lo stesso: l'Italia è infatti una criptocrazia come certifica il cosiddetto “populismo” ([E] 12.3).
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