Il caso vuole che in questi giorni io abbia tante idee per dei pezzi ma tutte abbastanza deboli. In genere in questi casi ne estraggo l'essenza facendone dei corti: il problema è che a volte l'essenza non la si può presentare nuda e cruda perché di per sé apparirebbe solo banale mentre veramente interessante sarebbe invece il percorso che si adopera per giungere a essa. Vedi anche Itaca – Cavafy, 1911...
Ieri ho letto l'articolo Mafia, scrisse: “Boss pezzo di m.”. Sentenza sconcertante della Cassazione: annullata assoluzione di Rino Giacalone da IlFattoQuotidiano.it e non sapevo se ridere o piangere: dato il mio carattere mi sono messo a ridere.
La vicenda: in un articolo il giornalista protagonista di questa storia definisce un capo mafia, condannato all'ergastolo per la strage di Capaci, un “pezzo di m.” (ma senza il puntino). La famiglia del capo mafia lo querela per diffamazione. Il processo arriva in Cassazione e qui c'è il colpo di scena: con una motivazione che farà scuola nelle università di giurisprudenza italiane, e magari del mondo vista la sua profondità filosofica e morale, il giornalista viene condannato perché, questo è il succo della sentenza, “non si può paragonare nessuno a un escremento”, neppure un capo mafia.
Prima considerazione leggera: mi fa ridere la pudica scelta di sostituire “merda” con “escremento” perché in questa maniera la frase del giornalista avrebbe perso tutta la sua efficacia espressiva (divenendo un implausibile “pezzo di escremento”) risultando semplicemente ridicola. Contemporaneamente però questo particolare ridicolo, anzi paradossale, sembra anticipare e riassumere bene l'essenza dell'intera sentenza. Ciò mi ha fatto doppiamente ridere: è evidente che il giudice non ha avuto la mia stessa sensazione e non ha il mio stesso senso del buffo (beh, buon per lui).
La precedente riflessione ci porta direttamente alla seconda considerazione.
Talvolta ci sono delle sentenze che fanno discutere perché, almeno apparentemente, sembrano andare contro il buon senso e la comune idea che abbiamo di Giustizia. In questi casi, di solito, il giudice quasi si scusa nella sentenza e in pratica spiega, non senza imbarazzo, come e perché le leggi attuali gli impongano la sua bizzarra decisione e che, quindi, sta a legislatore cambiare le regole per evitare in futuro il ripetersi di quelle che appaiono vere e proprie ingiustizie.
In questo specifico caso invece la situazione sembra essere totalmente opposta. Ovviamente si tratta di una mia sensazione basata sulla lettura dell'articolo e non della sentenza stessa: sono quindi consapevole che la mia impressione potrebbe essere errata. Eppure, leggendo l'articolo, sembra che il giudice della Cassazione sia estremamente soddisfatto e fiero della propria sentenza: come se, grazie alla propria interpretazione della legge, fosse riuscito a rendere Giustizia a un innocente e a raddrizzare un torto.
Ma il giudice ha davvero emesso una sentenza moralmente (*1) giusta?
Non ho letto l'articolo originario da dove è nata tutta la vicenda ma suppongo, e questa è una mia ipotesi, che non si limitasse a elencare degli improperi contro il capo mafioso ma che, invece, volesse esprimere un pensiero ben specifico.
In altre parole il giornalista sotto accusa (anzi colpevole!) non intendeva la frase “pezzo di m.” in senso letterale ma, ovviamente, in senso metaforico. Anche per questo fa sorridere la precisazione contenuta nella sentenza di condanna dove si specifica che “nessun uomo può essere paragonato a un escremento”: infatti ciò sarebbe puramente ridicolo; l'intento del giornalista era invece quello di attribuire al capo mafioso specifiche caratteristiche morali negative e il suo disprezzo per esse: questo è ciò che comunemente si intende con “pezzo di m.”...
In altre parole il giornalista stava solo esprimendo il proprio pensiero e, per farlo, era ricorso a una metafora piuttosto comune: in questo caso quindi la decisione del giudice mi pare una semplice, sebbene gravissima, censura. Perché alla fine, mettendo da una parte gli escrementi, si vuole stabilire quali metafore è possibile usare e quali no: a me questa limitazione, oltretutto arbitraria (*2), pare censura bella e buona. Ovviamente sono nell'ipotesi che l'articolo originale contenesse un pensiero/messaggio e non fosse solo una lista di offese rivolte al capo mafioso. Ovviamente non posso non rimandare anche a Libertà d'opinione (1/2) e Libertà d'opinione (2/2)
Conclusione: rido, scuoto la testa ma non mi stupisco più di tanto. L'Italia è un paese allo sbando, non solo economico e politico, ma anche morale. Non c'è quindi niente di strano che fra le sue istituzioni, in questo caso nella persona del giudice di Cassazione, si prendano in buona fede delle decisioni moralmente dubbie.
Nota (*1): non sapendo niente di giurisprudenza non ho infatti gli strumenti né le conoscenze per valutarla da un punto di vista giuridico.
Nota (*2): perché poi a tale lista di espressione vietate si potrebbero aggiungere altri vocaboli a non finire con il solo criterio del giudizio arbitrario del giudice di turno. E, mia riflessione estemporanea, se il principio precipuo della Giustizia è che la legge deve essere uguale per tutti allora i giudici non dovrebbero neppure rischiare di essere arbitrari poiché, se così fosse, giudici diversi potrebbero emettere sentenze diverse per lo stesso caso.
La prossima pandemia?
1 ora fa
Nessun commento:
Posta un commento