Questo è un pezzo che se fossi minimamente normale non penserei neppure lontanamente a considerare: è decisamente un progetto troppo ambizioso e il mio lavoro, nonostante la buona volontà, difficilmente riuscirà ad avere anche solo una parvenza di completezza.
Eppure spero almeno di riuscire a dare un'idea generale, per quanto vaga, del problema: mi accontento di gettare un sasso nello stagno. Senza l'arroganza di sviscerare l'idea in ogni suo dettaglio confido comunque di delinearne, magari rozzamente, la sagoma.
Ma qual è questa grande idea così difficile da esprimere e analizzare?
Beh, credo ci sia una differenza sostanziale fra come l'uomo (*1) veda se stesso e come in realtà esso sia. Probabilmente questa intuizione di per sé non è nuova ma quello a cui veramente aspiro non è solo mostrare quali siano queste differenze ma anche evidenziarne alcune delle più gravi conseguenze. Sono infatti convinto che all'origine di molti mali del nostro mondo ci sia la visione equivoca che l'uomo ha di se stesso: tale visione lo porta a scelte errate perché finisce per confidare in qualità che non possiede o che, comunque, sono dote di pochissimi ma non della maggioranza.
In pratica le differenze fra l'Uomo (cioè l'uomo ideale e immaginario) e l'uomo (l'uomo come in realtà è) si riducono ai limiti (vedi titolo) del secondo di cui egli raramente è cosciente.
Ma per poter definire queste presunte differenze è necessario capire quale sia l'essenza di un uomo: senza scendere troppo nel filosofico credo che fondamentali siano la visione e comprensione della realtà e, non le azioni (*2), ma le decisioni che egli prende. È quindi in questi due aspetti essenziali dell'essere umano che cercherò di individuarne i limiti.
Partiamo quindi con un elenco per poi approfondire i vari casi.
I limiti umani
1. Cognitivo
2. Autoinganno
3. Temporale
4. Volitivo
5. Razionale
6. Morale
7. Psicologico e di Resipiscenza
8. Quantificativo
9. Priorità
1. Il limite cognitivo
La complessità della civiltà moderna è tale che la mole di sapere accumulata nel corso degli anni è così grande che un singolo individuo non ha nessuna possibilità di conoscere approfonditamente più di un paio di materie. L'uomo si specializza sempre più e, così facendo, tende a perdere la visione d'insieme.
Ma il problema non è solo il sapere propriamente detto, quello che si impara a scuola e nelle università, ma è la stessa complessità della società a essere già oltre le capacita cognitive dell'individuo. Per complessità della società intendo non solo le interazioni fra le sue varie istituzioni ma anche tutto ciò che ha ripercussioni sul singolo. Qualche esempio: la conoscenza di tutte le iniziative del proprio comune, della propria provincia, della regione; ma anche come funziona un tribunale, quali sono le funzioni, le problematiche e i ruoli di chi ci lavora; la conoscenza del cibo che acquista al supermercato (valore nutrizionale, impatto ecologico, dipendenza economiche, etc...); le caratteristiche delle varie banche e i prodotti che offrono; e l'elenco potrebbe proseguire all'infinito.
In altre parole l'uomo non ha la capacità materiale/biologica di apprendere tutto ciò che necessiterebbe sapere per prendere le decisioni che lo riguardano con cognizione di causa.
Eppure le persone compiono scelte quotidianamente: dalla spesa al supermercato, alla banca da cui servirsi fino alla forza politica che gestirà il proprio comune o Stato.
La soluzione a cui si ricorre per aggirare questa inadeguatezza è quella della semplificazione: per il cibo sappiamo che il biologico è di qualità (e costo!) maggiore e che i prodotti italiani sono superiori agli altri; per le banche sappiamo che sono tutte uguali; poi sappiamo che il politico tizio è un ladro, che Caio è uno stupido e quindi votiamo Sempronio perché è il meno peggio... e infine, per i tribunali, ci limitiamo a sperare di non averne bisogno!
La semplificazione può inoltre prendere varie direzioni di cui, alcune, particolarmente ingannevoli: ma su questo aspetto tornerò in seguito...
2. Il limite dell'autoinganno
Ma l'uomo è biologicamente strutturato per non preoccuparsi troppo della propria ignoranza: se lo fosse sarebbe infatti perennemente incerto e insicuro su come comportarsi.
Anzi, molto spesso, si autoconvince di sapere già tutto quel di cui ha bisogno: vedi alcuni degli esempi del punto precedente...
L'assenza di questa consapevolezza è particolarmente perniciosa perché trattiene l'uomo dal cercare di conoscere nuove idee, di riconoscere i propri limiti, dall'ascoltare con mente aperta chi ne sa di più e dall'approfondire ciò che già sa. E come si può risolvere un problema se non siamo neppure in grado di riconoscerlo come tale?
In definitiva questo limite togliendo la capacità di riconoscere prontamente i propri eventuali errori contribuisce significativamente a perseverare in essi.
Il “sapere di non sapere” socratico dovrebbe accompagnarci costantemente ma, come detto, non è così...
3. Il limite temporale
Ma supponiamo che un individuo ben intenzionato, conscio della propria ignoranza, decida di cercare di informarsi nel dettaglio su tutto ciò che lo riguarda: nonostante la buona volontà, oltre probabilmente all'incapacità biologica, non ne avrebbe neppure il tempo materiale. La quantità di informazioni è tale che dovrebbe comunque accontentarsi di un compromesso: una generica conoscenza superficiale e qualche approfondimento qua e là...
Modificato (12/4/16):
3b. Il limite di attenzione
Questo limite ha molti punti di contatto col precedente. L'uomo è in grado di concentrarsi su un problema usando al massimo le proprie capacità solo per un periodo limitato di tempo.
Questa soglia, oltrepassata tale soglia l'utilità del nostro impegno inizia a diminuire fin quasi ad annullarsi completamente, può essere molto variabile da persona a persona. Probabilmente con l'abitudine e l'esercizio può essere aumentata, ma tutti ne hanno comunque una.
Importante è anche il tipo di problematica che stiamo affrontando: se si tratta di problemi noti (come ad esempio situazioni di lavoro) possiamo procedere col “pilota automatico” senza troppi problemi e per periodo prolungati; se però si tratta di trovare soluzioni nuove ed elusive, dove contano l'intuizione e la fantasia allora bisognerebbe lasciare la mente libera di vagare invece di incatenarla forzatamente al problema. Rimane la conseguenza di questo limite: l'analisi di alcuni problemi può richiedere tempi molto lunghi.
4. Il limite volitivo
Questo limite è fortemente legato ai due precedenti. Spesso l'uomo, magari quando deve prendere una decisione importante, intuisce di non essere sufficientemente informato ma preferisce far finta di niente e voltarsi altrove. Da una parte infatti il tempo libero a propria disposizione è limitato e spesso si preferisce la gratificazione immediata a una vaga e ipotetica proiettata nel futuro: meglio quindi guardare la partita di calcio che, ad esempio, confrontare a tavolino i programmi elettorali dei diversi candidati...
In altre parole l'uomo spesso manca della volontà di migliorarsi: ci si accontenta, ci si dice che comunque va bene così, che non ne vale la pena...
5. Il limite razionale
Una delle maggiori illusioni dell'uomo è quella di essere razionale sebbene, paradossalmente, molto raramente lo sia. L'uomo è guidato nelle sue scelte da pulsioni emotive inconsce e, solo in casi eccezionali, si affida completamente alla propria razionalità.
Basti pensare all'esempio della spesa al supermercato: compriamo tenendo ben in mente il valore nutrizionale di ogni singolo prodotto oppure ci lasciamo condizionare da altre mille fattori, non ultime la fame che si ha in quel momento e la grafica accattivante delle confezioni? Oppure, anche per le decisioni importanti, come ad esempio la scelta di chi votare ci affidiamo alla ragione, o magari dopo aver visto un dibattito in tivvù, ci decidiamo per Tizio invece che Caio semplicemente perché il primo ci ha fatto “un'impressione” migliore?
La ragione ci distingue dagli animali ma non ci viene naturale: dobbiamo fare uno sforzo per dominare le nostre passioni e basarci solo su di essa.
Alla fine ci autoinganniamo (punto 2) anche sull'uso della ragione: spesso confondiamo una scelta emotiva con una razionale e, se qualcuno ce lo fa notare, magari ci arrabbiamo! Talvolta infatti ammettere l'errore avrebbe come conseguenza confrontarsi con le proprie inadeguatezze ma per molte ragioni la nostra volontà (v. punto 4 e 7) è ben diversa.
6. Il limite morale
Invece che dalla ragione l'uomo è più spesso governato da amore, paura, invidia (da cui deriva l'avidità) e, talvolta, lussuria. Può colpire che io abbia accostato l'amore insieme a una suburra di emozioni e passioni meno nobili: però, indipendentemente dalla bontà delle motivazioni, il risultato è lo stesso. L'amore fa prendere decisioni illogiche e talvolta moralmente dubbie: ad esempio il favorire un parente o un amico rispetto a uno sconosciuto, sebbene più qualificato da ogni punto di vista. A cosa non arrivano gli innamorati l'un per l'altro? E le madri per i figli? Non sempre le azioni mosse dall'amore sono giuste e buone.
Resta comunque il fatto che l'uomo nelle sue decisioni non sempre mira a raggiungere dei fini alti e nobili: molto spesso preferisce optare per il tentativo di soddisfare i propri interessi e pulsioni personali: questo non significa che la decisione presa sia obbligatoriamente errata (soprattutto nel breve termine) per il singolo ma spesso sarà contraria al bene della collettività nel suo complesso.
L'Uomo nobile che cerca di percorrere il sentiero più difficile è raro: molto più comune l'uomo meschino ed egoista.
Le ripercussioni di questo limite sono estremamente gravi e numerose probabilmente anche per la cecità collettiva nell'ammettere tale difetto: di nuovo non aiuta la capacità dell'uomo di autoingannarsi (v. punto 2) facendogli pensare di aver scelto il bene e non il male oppure di assolversi con la convinzione di aver fatto “come tutti”.
7. Il limite psicologico e di resipiscenza
Per spiegare questo limite, senza voler troppo anticipare argomenti successivi, devo ora introdurre una delle conseguenze fondamentali dei limiti precedenti (soprattutto dei punti 1 e 2).
Alcune delle semplificazioni a cui l'uomo ricorrere per comprendere la realtà, e riuscire così a prendere decisioni, è quella di ricorrere a miti e, più spesso, protomiti (v. Protomiti e decisioni).
Alcuni di questi miti assumono un'importanza tale per l'individuo da divenire centrali nella costruzione della sua stessa identità. L'uomo sposato al lavoro o al partito ha in moglie un'illusione.
A parte il capovolgimento delle priorità (vedi poi) che tale fattore comporta c'è un altro problema: cosa succede se il mito, usato come strumento per interpretare un aspetto della realtà per renderlo più facilmente accessibile e comprensibile, non svolge il proprio lavoro o magari, col tempo, smette di farlo? La risposta è semplice: le decisioni che vengono prese in base a esso sono tutte errate.
Il limite psicologico è dato dal fatto che l'uomo si attaccherà con pervicacia al mito intorno al quale ha costruito la propria essenza anche quando l'evidenza della sua falsità sarà ovvia: egli si rifiuterà di guardare le prove, si infurierà con chi cerca di indicargli il suo errore, non vorrà ascoltare e, anzi, abbraccerà ancor più strettamente la propria illusione. Il motivo di ciò è psicologico: ammettere che il mito sul quale ha basato la propria esistenza e costruito la propria personalità è un'illusione corrisponde ad ammettere di aver sprecato la propria vita. Non solo: la distruzione di un mito fondamentale per l'individuo comporterebbe la necessità di una ricostruzione, di un cambiamento di visione globale di se stessi e del proprio mondo, una metanoia che in pochi avrebbero non solo la voglia ma anche la forza di intraprendere. Meglio quindi non ascoltare, rifiutarsi di capire, e continuare a illudersi piuttosto che ammettere il proprio errore e ravvedersi...
8. Il limite quantificativo
Questo limite è strettamente legato a quello cognitivo e temporale: anche supponendo una perfetta razionalità, informazioni accurate, disponibilità di tempo per riflettere e la volontà di farlo esiste ancora un problema: valutare il peso dei diversi fattori, spesso non omogenei, relativi alle decisioni da prendere. È facile decidere che, a parità di condizioni, è preferibile acquistare uno stesso oggetto per 5€ piuttosto che per 7€; ma quando si devono confrontare e soppesare elementi fra loro molto diversi, oltretutto avvolti da una fascia di incertezza e probabilità, quantificare il peso di ogni opzione diviene arduo: è meglio ottenere un aumento di XXX€ ma avere YYY ore di tempo libero in meno? È una buona idea cercare di divenire amici di Tizio che è sì uno stronzo ma potrebbe anche esserci utile?
L'uomo, anche volendo, non riesce a giudicare correttamente tutti i fattori di una decisione e questo, talvolta, può essere fatale.
Tutto questo al netto dell'imponderabile: ovvero della sorte che, col suo intervento, potrebbe trasformare una decisione ottima (che, ad esempio, statisticamente avrebbe avuto successo il 99% delle volte) in un errore disastroso o vice versa!
9. Il limite di priorità
Per certi versi analogo al precedente limite vi è quello della priorità: ovvero l'incapacità di riconoscere e ordinare correttamente quali debbano essere i propri obiettivi da raggiungere.
Tutti siamo d'accordo che avere un buon governo che risolvesse i problemi dell'Italia sarebbe più importante del campionato di calcio: eppure il tempo che l'italiano medio impiega nel seguire la cronaca politica e quella sportiva è completamente ribaltato. L'esempio riportato è un caso limite ma questo tipo di errore è frequentissimo (*3).
È simile a quello di quantificazione perché alla fine si tratta comunque di un errore di valutazione anche se ha una sua specifica identità. Se la decisione fosse un viaggio allora l'errore di quantificazione ci farebbe scegliere il percorso errato mentre quello di priorità la meta sbagliata!
In effetti questo limite è forse più grave del precedente perché l'errore che esso comporta lo si comprende molto tardi e, spesso, dopo grandi sforzi.
A cosa è dovuto questo errore? Come al solito le cause sono multiple, non ultima lo scarso tempo a disposizione, ma credo che una parte importante l'abbia la mancanza di disciplina nell'analizzare un problema. Se così fosse sarebbe un bene: a differenza degli altri limiti, intrinseci nell'uomo, questo potrebbe essere superato se si venisse istruiti a farlo (*4).
Modificato (12/4/16):
10. Il limite di focus
Per certi avversi è affine al precedente ma ha però una sua precisa identità: il pensiero umano è lineare, si segue una fila di ragionamenti per volta e la conseguenza è che non si può affrontare più di un solo problema contemporaneamente.
Quale sia il problema su cui decidiamo di concentrarsi lo decidiamo in base alle nostre priorità (v. punto 9) ma rimane il fatto che anche se la nostra scelta fosse ottimale (e spesso non lo è) bisognerebbe comunque non perdere di vista tutte le altre problematiche.
Questo limite potrebbe essere mitigato se si potesse dedicare un po' di tempo a tutte le priorità più alte: ma il tempo è un fattore estremamente limitato (v. punto 3) e di conseguenza nella pratica questo approccio è quasi impossibile.
Come scrissi altrove uno dei miei “divertimenti” era chiedere a un interlocutore quale problema italiano risolverebbe avendo in mano una bacchetta magica: se mi rispondeva “il lavoro” io replicavo “e la criminalità?”, se mi rispondeva “la criminalità” io chiedevo “e la sanità?” e così via... In altre parole anche scegliendo la priorità più importante vi erano poi così tante e ugualmente gravi problematiche che avrebbero quasi vanificato la risoluzione di un problema. Così è questo limite...
Come anticipato questi limiti, di cui spesso l'uomo non si rende conto, portano a delle conseguenze che io credo siano alla base di molti mali della società. Sicuramente bisognerebbe tenerne conto per progettare istituzioni che, in qualche maniera, riuscissero a mitigare questi difetti spesso intrinseci nell'uomo. Ma di questo scriverò in un pezzo futuro...
Conclusione: sono piuttosto soddisfatto del risultato. Credo di essere riuscito a fare una panoramica abbastanza completa della problematica: sicuramente mi sarà sfuggito qualche "limite" ma comunque mi pare un'ottima base di partenza per future riflessioni. In realtà non dovrei congratularmi troppo con me stesso perché le idee più innovative e complesse dovrò spiegarle nel prossimo pezzo di questa serie...
Nota (*1): non è un concetto che mi è nuovo, anzi! Già una ventina di anni fa l'intuii chiaramente tanto che sul mio diario scrissi:
«1. Dio = Uomo
2. uomo = scimmia
La 1° equazione significa che Dio, con le sue infinite qualità, non è altro che l'estremizzazione dell'uomo ideale (Uomo).
La 2° equazione significa che l'homo sapiens sapiens (uomo) nonostante si trastulli con l'idea di essere chissà quale straordinaria creatura semidivina, non è altro che una scimmiaccia...»
Nota (*2): evidentemente risento dello zoroastrismo (v. Valeria Solesin e zoroastro): in particolare le azioni sono dettate dalle decisioni...
Nota (*3): io l'ho notato più e più volte nel gruppo pentastellato col quale ho collaborato: le decisioni di politica locale che prendevamo non seguivano delle priorità prestabilite ma andavano tutte in direzioni diverse. Ovviamente il risultato è stato quello di ottenere poco o nulla.
Nota (*4): in realtà ho in mente gli scacchi: vedi I 16 pregi degli scacchi e, per un esempio “pratico”, Scacchi e pensiero...
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