Premetto che ho iniziato a scrivere questo pezzo esattamente la scorsa settimana, poi l’ho abbandonato perché non mi convinceva. Ma gli eventi degli ultimi giorni continuamente tornano a suggerirmi ciò che avevo intenzione di dire: quindi vedrò di “ripulire” la parte “vecchia” e di aggiungerne una nuova per concludere il tutto.
[Parte vecchia]
Un po' di insonnia.
Ultimamente ho un dubbio: vedo dei politici statunitensi (gli unici che comandano, quelli europei solo obbediscono) che con le loro dichiarazioni sembrano voler coscientemente portare il mondo verso la guerra. Guardando le loro facce non vedo persone stupide ma malvagie: una freddezza, un cinismo, un intento focalizzato. Ecco, sì, è quest'ultimo che percepisco: la volontà ferma, pervicace quasi ossessiva di raggiungere uno scopo. Ci spingono verso la guerra a passi piccoli ma inesorabili.
Non si esita ad aumentare continuamente le provocazioni verso la Russia: ogni due o tre mesi l’occidente fa qualcosa in più rispetto a quanto aveva precedentemente detto di voler fare. E questo nonostante l'innegabile rischio che la situazione sfugga di mano. Durante la guerra fredda più volte si è sfiorata per errore la guerra nucleare per una serie di coincidenze sfortunate. Adesso stiamo correndo lo stesso rischio e, anzi, lo stiamo rendendo cento volte più probabile.
Ora questi politici stanno ipotizzando di fornire all'Ucraina il permesso di usare armi a lungo raggio in grado di colpire obiettivi all'interno della Russia: Putin ha già fatto sapere che in caso di attacco Mosca reagirà rifacendosi su obiettivi interni alla coalizione occidentale. Questo anche perché gli operatori di tali armi non sarebbero ucraini ma NATO: quindi un vero e proprio atto di guerra mascherato sotto il pallio della bandiera ucraina. Putin è serio e ha definito chiaramente che reagirà se tale limite verrà oltrepassato.
Lo stesso siparietto di minacce occidentali c'era stato mesi fa con il Regno Unito, poi era stata la volta delle minacce di Macron: in entrambi i casi la dura risposta di Mosca li aveva zittiti. Adesso però sono i politici americani a riprendere questo copione: ovvero suggerire di alzare il livello del conflitto.
Secondo una "mia" fonte (Alex Christoforou) siamo nella fase in cui questi attacchi sono già stati decisi e le dichiarazioni che stiamo ascoltando servono solo per preparare l'opinione pubblica occidentale. In realtà, per sua stessa ammissione, si tratta solo di una sua intuizione basata sull'osservazione di quanto detto e fatto dall'occidente negli ultimi anni. Il modello in passato è stato questo: quello che sei mesi prima era inconcepibile viene reso via via sempre più accettabile, poi lo si supera, si canta prematuramente vittoria, ma poco dopo se ne riconosce a denti stretti l’inutilità e si passa quindi al prossimo passo.
La domanda è quale sarà la risposta di Mosca: fortunatamente per noi il "folle" Putin non è pazzo e non vuole la guerra con la NATO: ma se fa una minaccia la deve mantenere. In questi anni la sua prudenza è stata scambiata per debolezza. Se non rispondesse a una provocazione a cui ha affermato che avrebbe risposto allora in breve ne subirebbe altre cento!
Io sospetto quindi che la reazione russa sarebbe relativamente moderata ma significativa: qualche missile a centri di comando NATO in Romania o magari in Polonia coinvolti nell'attacco alla Russia. Tale mossa sarebbe interpretata come un attacco o una risposta difensiva? Farebbe scattare l'articolo 5 della NATO, o no?
Bisognerebbe sperare che fra i badanti di Biden prevalga il buon senso: possibilissimo ma anche no.
[Fine parte vecchia]
E in questi giorni il teatrino della propaganda occidentale ha messo insieme un coro di dichiarazioni sempre più minacciose: “giusto che l’Ucraina si difenda come crede sia meglio con le armi che ha a disposizione”. Questa è la tesi proposta: nascondendo, ovviamente, le responsabilità dirette e indirette nell’uso di tali armi che avrebbe l’occidente.
La cosa per me strana è che neppure i parapoteri economici vogliono una vera e propria guerra: va benissimo speculare sulla produzione e vendita delle armi ma nel collasso della società anche la loro forza si ridurrebbe: sarebbe un salto nel buio inaccettabile. Tutti i poteri hanno paura dell'incertezza e del pericolo di perdere forza che essa comporta.
Questo per spiegare che anche nell’occidente ci sono delle forze di buon senso (sebbene interessato e tutto indirizzato verso la protezione dei propri interessi e non certo di quelli della popolazione) e che, forse, proprio per la loro resistenza il cammino verso la guerra è così lento.
Christoforou ipotizza che questi politici non si rendano conto della situazione, o che giunti alla disperazione, vedendo fallire nel successo della Russia tutti i loro piani, siano disposti a prendersi dei rischi spropositati. Che magari credano alle proprie bugie: sembra una sciocchezza ma è un fenomeno psicologico molto umano…
Io invece, eliminando gli scenari oramai non più concepibili, sono giunto a un’ipotesi improbabile: questi politici statunitensi agiscono come se facessero parte di una setta, una setta satanica votata alla distruzione e al sacrificio di una parte significativa dell’umanità.
Politici che agiscono nella convinzione che Lucifero li ricompenserà con potere/denaro/successo etc.
Lo so: sembra una sciocchezza ma al momento mi pare che questa stia divenendo la spiegazione più plausibile per il loro comportamento altrimenti totalmente illogico e controproducente (anche per loro).
Conclusione: ero tentato di aggiungere considerazioni e aggiornamenti sull’andamento della guerra ma non voglio divagare dall’argomento centrale del pezzo.
venerdì 31 maggio 2024
mercoledì 29 maggio 2024
Video orribile
Allora, ho un problema: provo a spiegarlo.
Di solito evito di guardare foto o video troppo truculenti, per esempio della guerra in Ucraina: ne ho già visti abbastanza e non mi piacciono. Del resto ormai ho capito di cosa si tratta e non aggiungono niente alla mia comprensione degli eventi.
Però da qualche giorno girano le immagini del bombardamento della tendopoli di Gaza. Come al solito ho evitato di guardarle ma, da quanto ho sentito da parecchie “fonti” che seguo, si tratta di immagini che esprimono un livello di brutalità e crudeltà molto superiore a quanto normalmente si vede nei video provenienti dall’Ucraina. Per essere chiari ho sentito di bambini palestinesi orribilmente mutilati e bruciati nell’incendio provocato dal bombardamento israeliano.
Credo che non guardando tale video non comprenderei la realtà degli orrori di Gaza: tendo a essere troppo ottimista sulla natura umana ma qui, il cercare di essere oggettivo e longanime, probabilmente, è sbagliato. A volte si deve giudicare con severità per essere giusti.
Va bene, vado a cercare questi video che avevo visto passare in un canale Telegram che seguo.
Niente: sono le 5:00 del mattino e non riesco a ritrovare questi video dato che sono col tablet e il canale che seguo (ri)pubblica quotidianamente oltre un centinaio di pezzi.
Allora mi permetto una riflessione “colta”. Nell’antichità ci furono molti dibattiti fra i teologi sull’interpretazione del passaggio del Vangelo con Gesù al mercato del Tempio: com’è possibile che Dio, che è perfetto, agisca in preda alla rabbia?
La risposta che emerse è che Gesù aveva “finto” di arrabbiarsi e aveva voluto insegnare col proprio esempio che è giusto indignarsi, e agire di conseguenza, quando si osservano azioni esecrabili.
Ecco io, nel mio piccolo, temo di indignarmi/arrabbiarmi ma forse in questo caso ha ragione il Vangelo e sarebbe giusto che accadesse. Cercare di rimanere obiettivi senza farsi influenzare dall’emotività, in rari casi, può non essere umano. Che, volendo, è qualcosa di simile a quanto rinfaccio a Rawls nel suo tentativo di considerare gli individui tutti “troppo” uguali ignorando pregi e difetti insiti in ognuno di noi.
Vabbè, oggi avrò una giornata campale: per questo, ovviamente, non riesco a dormire. Ora provo a tornare a letto per un’oretta con l’idea di rileggere e pubblicare questo pezzo, in effetti un po’ monco, in mattinata.
Conclusione: confermo che, comunque, cercherò di ritrovare questo famigerato video appena possibile, probabilmente domani.
Di solito evito di guardare foto o video troppo truculenti, per esempio della guerra in Ucraina: ne ho già visti abbastanza e non mi piacciono. Del resto ormai ho capito di cosa si tratta e non aggiungono niente alla mia comprensione degli eventi.
Però da qualche giorno girano le immagini del bombardamento della tendopoli di Gaza. Come al solito ho evitato di guardarle ma, da quanto ho sentito da parecchie “fonti” che seguo, si tratta di immagini che esprimono un livello di brutalità e crudeltà molto superiore a quanto normalmente si vede nei video provenienti dall’Ucraina. Per essere chiari ho sentito di bambini palestinesi orribilmente mutilati e bruciati nell’incendio provocato dal bombardamento israeliano.
Credo che non guardando tale video non comprenderei la realtà degli orrori di Gaza: tendo a essere troppo ottimista sulla natura umana ma qui, il cercare di essere oggettivo e longanime, probabilmente, è sbagliato. A volte si deve giudicare con severità per essere giusti.
Va bene, vado a cercare questi video che avevo visto passare in un canale Telegram che seguo.
Niente: sono le 5:00 del mattino e non riesco a ritrovare questi video dato che sono col tablet e il canale che seguo (ri)pubblica quotidianamente oltre un centinaio di pezzi.
Allora mi permetto una riflessione “colta”. Nell’antichità ci furono molti dibattiti fra i teologi sull’interpretazione del passaggio del Vangelo con Gesù al mercato del Tempio: com’è possibile che Dio, che è perfetto, agisca in preda alla rabbia?
La risposta che emerse è che Gesù aveva “finto” di arrabbiarsi e aveva voluto insegnare col proprio esempio che è giusto indignarsi, e agire di conseguenza, quando si osservano azioni esecrabili.
Ecco io, nel mio piccolo, temo di indignarmi/arrabbiarmi ma forse in questo caso ha ragione il Vangelo e sarebbe giusto che accadesse. Cercare di rimanere obiettivi senza farsi influenzare dall’emotività, in rari casi, può non essere umano. Che, volendo, è qualcosa di simile a quanto rinfaccio a Rawls nel suo tentativo di considerare gli individui tutti “troppo” uguali ignorando pregi e difetti insiti in ognuno di noi.
Vabbè, oggi avrò una giornata campale: per questo, ovviamente, non riesco a dormire. Ora provo a tornare a letto per un’oretta con l’idea di rileggere e pubblicare questo pezzo, in effetti un po’ monco, in mattinata.
Conclusione: confermo che, comunque, cercherò di ritrovare questo famigerato video appena possibile, probabilmente domani.
martedì 28 maggio 2024
10 mappe
Da quando sono tornato a casa ne ho approfittato per iniziare un nuovo libro (beh due in realtà ma non complichiamo le cose più del dovuto): Le 10 mappe che spiegano il mondo di Tim Marshall, (E.) Garzanti, 2017, trad. Roberto Merlini.
L’avevo visto sul ghiribizzo Il blog di Andrea e mi era parso interessante.
In realtà dopo aver letto le prime 90 pagine sono “cautamente” deluso: “cautamente” nel senso che non è un giudizio definitivo ma orientativo.
Cosa mi aspettavo: forse suggestionato dalla copertina, in cui si intravede un mosaico di mappe antiche, pensavo fosse l’opera di uno storico che partendo dalla geografia ne traesse delle leggi, o almeno dei principi, che si riflettessero nella storia. Mi aspettavo che partisse dalle grandi pianure fertili dove si sviluppò un’agricoltura efficace e che, quindi, furono la culla della civiltà e cose di questo genere.
In realtà già su Amazon (*1) mi ero accorto che l’autore era un giornalista (brutto segno) ma per vari motivi non ebbi tempo per approfondire e dovendo decidere velocemente non ebbi l’elasticità mentale di esercitare maggior prudenza e procedetti con l’acquisto.
Come sempre ho dato per prima cosa un’occhiata generale al libro e ho letto prefazione e introduzione dell’autore e subito mi sono insospettito. Ho infatti intuito che c’era il rischio concreto che l’autore non partisse dalla geografia per ricavarne principi universali ma che usasse la geografia per spiegare il presente. E questa non è la stessa cosa!
È come quando da bambini si giocava a un gioco da tavolo di un amichetto e questo, via via che si andava avanti, sembrava inventarsi sempre nuove regole che, guarda caso, lo favorivano dandogli qualche imprevedibile vantaggio. Qui temevo qualcosa del genere: regole e principi non assoluti ma usati per spiegare a seconda della bisogna la teoria dell’autore su un certo scenario geopolitico.
Il primo capitolo è sulla Russia ed ero quindi curioso del parere dell’autore visto che aveva scritto il libro nel 2015 ovvero dopo i fatti della Crimea e le prime sanzioni a Mosca.
Subito siamo partiti malino: l’idea base su cui si basa il capitolo è che le grandi pianure hanno bisogno di protezioni naturali per essere difese come grandi fiumi o catene montuose.
Secondo l’autore esiste una “Grande Pianura Europea” che si estende dalla Francia fino agli Urali e proprio questa mancanza di un confine naturale provoca le tensioni strutturali fra Mosca e i suoi più o meno vicini occidentali.
A me l’approssimazione che dalla Francia agli Urali sia un’unica pianura non sta bene: perché gli unni prima e i mongoli poi non si stabilirono in Europa occidentale? Semplicemente perché questi popoli nomadi avevano bisogno di grandi pianure per alimentare le proprie mandrie di cavalli e in Europa questi spazi non c’erano. Ecco cosa succede a non partire dai principi geografici ma ad adattarli a seconda delle esigenze: l’autore voleva spiegare le attuali tensioni fra Parigi, Berlino e Mosca e così ha spianato colline e montagne mettendo queste capitali in un’unica grande pianura che non esiste.
Altra imprecisione che ho notato è l’Albania inserita nel Patto di Varsavia: in realtà vi entrò alla sua fondazione ma già nei primi anni ‘60 il rapporto con Mosca non era buono e ne uscì ufficialmente nel 1968. Vabbè, forse come generalizzazione ci può stare anche se io personalmente non l’avrei inserita nel blocco contrapposto alla NATO.
Qua e là affermazioni generiche che mi sarebbe piaciuto approfondire per le quali però mancano le fonti e si rimane così col dubbio che si tratti solo dell’opinione superficiale dell’autore.
Riguardo il conflitto fra Russia e Ucraina per la Crimea non scrive che questa era stata per secoli russa: cioè lo dice ma cinque o sei pagine (vado a memoria) dopo che ha presentato il conflitto. Cosa cambia direte voi? Beh, si tratta di un fenomeno psicologico chiamato “priming” o “avviamento” (v. Psicosociologia: Cap. 3a): il contesto iniziale influenza fortemente l’interpretazione di un fatto. Se si vuole dare al lettore una visione oggettiva di un fatto allora tutti i fatti importanti su di esso devono essere presentati prima del fatto stesso non dopo quando divengono note a margine facilmente sottovalutate.
Manca poi completamente il ruolo della CIA nella rivoluzione ucraina che portò alla deposizione del governo eletto a favore di uno pro occidentale e che iniziò le discriminazioni verso la minoranza russa del paese. Anzi il ruolo della CIA e della politica estera americana in genere non è menzionato né in questo capitolo né nel successivo sulla Cina: tutto accade solo per la geografia, la politica e gli interessi dell’unica super potenza mondiale non c’entrano niente per Marshall.
Io ho la forte sensazione che almeno per questo capitolo l’autore si sia pesantemente basato sugli studi dei vari “think tank” globalisti e USA centrici.
Lampante a questo proposito è una paginetta (la 44 per la precisione) dove si spiega che l’Europa, poverina, dipende troppo dall’energia a basso costo russa: una situazione “win-win” sarebbe quindi che gli USA vendessero all’Europa il loro gas in eccesso che così diminuirebbe la propria dipendenza da quello russo. Peccato che il gas americano, oltre che largamente insufficiente per le esigenze europee, costa 5 volte tanto l’equivalente russo. Il costo del trasferimento per nave non è infatti equiparabile a quello mediante gasdotto. Una situazione quindi non vincente per USA ed Europa ma solo per gli USA (*2).
Insomma nel complesso il capitolo sulla Russia l’ho trovato approssimativo, non obiettivo e con la semplificazione geografica molto dubbia.
Una pessima partenza in effetti: fortunatamente però il capitolo successivo sulla Cina mi è parso migliore. Forse l’autore conosceva meglio l’argomento e si è quindi basato meno sui documenti dei “think tank”. Poi, volendo, anche qui si trovano delle imprecisioni che fanno sorgere dubbi sull’onestà intellettuale di Marshall.
Per esempio su Taiwan non scrive che anche gli USA ne riconoscono la sovranità di Pechino sebbene contemporaneamente abbiano dichiarato di volerne proteggere l’indipendenza: un’ambiguità che secondo me avrebbe dovuto essere sottolineata per far comprendere meglio la politica cinese.
Comunque, almeno, l’autore non parla di genocidio della popolazione degli uiguri: non so, forse all’epoca non era ancora uno dei cavalli di battaglia della propaganda statunitense contro la Cina.
E poi ho imparato almeno due cose importanti sulla Cina che non sapevo (beh quasi, non sottilizziamo). Ovvero: 1. la non autosufficienza alimentare; 2. la politica di emigrazione verso le regioni controllate (per esempio in Tibet, nella regione dello Xinjiang degli uiguri ma anche in Africa).
Ora sto leggendo il capitolo sul nord America: per adesso un’inutile lezioncina a livello di scuola media sulla storia degli USA. Comunque sarà determinante vedere se l’autore, coerentemente con la propria introduzione dove descrive gli USA come l’unica super potenza mondiale (scrive nel 2015), spiegherà che la sua politica estera influenza pesantemente, e a proprio vantaggio, il resto del mondo (molto più della geografia!). Visto che non lo ha fatto per Russia e Cina dubito che lo ammetterà in questo capitolo ma vediamo…
Conclusione: come spiegato il mio giudizio si sta ancora formando: era molto negativo dopo aver letto il capitolo sulla Russia ma è migliorato con quello sulla Cina mentre è ancora presto per giudicare quello sugli USA.
Nota (*1): Come Amazon? Non vai in libreria? Beh, se Feltrinelli (& C.) non si fosse alienato la mia simpatia facendo pagare i sacchettini di carta (invece di darli gratis) a chi comprava i loro libri probabilmente adesso mi sentirei in colpa: invece ho ancora da smaltire anni di rabbia per quella che mi pareva una stupida ingiustizia (ci scrissi almeno un pezzo, forse due, sull’argomento).
Feltrinelli (& C.) raccoglie ciò che ha seminato: in questo caso la mia frustrazione di cliente.
Nota (*2): Ma i nostri politici (europei) evidentemente dovevano aver letto lo stesso documento su cui si è basato Marshall quando hanno adottato le sanzioni che avrebbero dovuto danneggiare la Russia...
L’avevo visto sul ghiribizzo Il blog di Andrea e mi era parso interessante.
In realtà dopo aver letto le prime 90 pagine sono “cautamente” deluso: “cautamente” nel senso che non è un giudizio definitivo ma orientativo.
Cosa mi aspettavo: forse suggestionato dalla copertina, in cui si intravede un mosaico di mappe antiche, pensavo fosse l’opera di uno storico che partendo dalla geografia ne traesse delle leggi, o almeno dei principi, che si riflettessero nella storia. Mi aspettavo che partisse dalle grandi pianure fertili dove si sviluppò un’agricoltura efficace e che, quindi, furono la culla della civiltà e cose di questo genere.
In realtà già su Amazon (*1) mi ero accorto che l’autore era un giornalista (brutto segno) ma per vari motivi non ebbi tempo per approfondire e dovendo decidere velocemente non ebbi l’elasticità mentale di esercitare maggior prudenza e procedetti con l’acquisto.
Come sempre ho dato per prima cosa un’occhiata generale al libro e ho letto prefazione e introduzione dell’autore e subito mi sono insospettito. Ho infatti intuito che c’era il rischio concreto che l’autore non partisse dalla geografia per ricavarne principi universali ma che usasse la geografia per spiegare il presente. E questa non è la stessa cosa!
È come quando da bambini si giocava a un gioco da tavolo di un amichetto e questo, via via che si andava avanti, sembrava inventarsi sempre nuove regole che, guarda caso, lo favorivano dandogli qualche imprevedibile vantaggio. Qui temevo qualcosa del genere: regole e principi non assoluti ma usati per spiegare a seconda della bisogna la teoria dell’autore su un certo scenario geopolitico.
Il primo capitolo è sulla Russia ed ero quindi curioso del parere dell’autore visto che aveva scritto il libro nel 2015 ovvero dopo i fatti della Crimea e le prime sanzioni a Mosca.
Subito siamo partiti malino: l’idea base su cui si basa il capitolo è che le grandi pianure hanno bisogno di protezioni naturali per essere difese come grandi fiumi o catene montuose.
Secondo l’autore esiste una “Grande Pianura Europea” che si estende dalla Francia fino agli Urali e proprio questa mancanza di un confine naturale provoca le tensioni strutturali fra Mosca e i suoi più o meno vicini occidentali.
A me l’approssimazione che dalla Francia agli Urali sia un’unica pianura non sta bene: perché gli unni prima e i mongoli poi non si stabilirono in Europa occidentale? Semplicemente perché questi popoli nomadi avevano bisogno di grandi pianure per alimentare le proprie mandrie di cavalli e in Europa questi spazi non c’erano. Ecco cosa succede a non partire dai principi geografici ma ad adattarli a seconda delle esigenze: l’autore voleva spiegare le attuali tensioni fra Parigi, Berlino e Mosca e così ha spianato colline e montagne mettendo queste capitali in un’unica grande pianura che non esiste.
Altra imprecisione che ho notato è l’Albania inserita nel Patto di Varsavia: in realtà vi entrò alla sua fondazione ma già nei primi anni ‘60 il rapporto con Mosca non era buono e ne uscì ufficialmente nel 1968. Vabbè, forse come generalizzazione ci può stare anche se io personalmente non l’avrei inserita nel blocco contrapposto alla NATO.
Qua e là affermazioni generiche che mi sarebbe piaciuto approfondire per le quali però mancano le fonti e si rimane così col dubbio che si tratti solo dell’opinione superficiale dell’autore.
Riguardo il conflitto fra Russia e Ucraina per la Crimea non scrive che questa era stata per secoli russa: cioè lo dice ma cinque o sei pagine (vado a memoria) dopo che ha presentato il conflitto. Cosa cambia direte voi? Beh, si tratta di un fenomeno psicologico chiamato “priming” o “avviamento” (v. Psicosociologia: Cap. 3a): il contesto iniziale influenza fortemente l’interpretazione di un fatto. Se si vuole dare al lettore una visione oggettiva di un fatto allora tutti i fatti importanti su di esso devono essere presentati prima del fatto stesso non dopo quando divengono note a margine facilmente sottovalutate.
Manca poi completamente il ruolo della CIA nella rivoluzione ucraina che portò alla deposizione del governo eletto a favore di uno pro occidentale e che iniziò le discriminazioni verso la minoranza russa del paese. Anzi il ruolo della CIA e della politica estera americana in genere non è menzionato né in questo capitolo né nel successivo sulla Cina: tutto accade solo per la geografia, la politica e gli interessi dell’unica super potenza mondiale non c’entrano niente per Marshall.
Io ho la forte sensazione che almeno per questo capitolo l’autore si sia pesantemente basato sugli studi dei vari “think tank” globalisti e USA centrici.
Lampante a questo proposito è una paginetta (la 44 per la precisione) dove si spiega che l’Europa, poverina, dipende troppo dall’energia a basso costo russa: una situazione “win-win” sarebbe quindi che gli USA vendessero all’Europa il loro gas in eccesso che così diminuirebbe la propria dipendenza da quello russo. Peccato che il gas americano, oltre che largamente insufficiente per le esigenze europee, costa 5 volte tanto l’equivalente russo. Il costo del trasferimento per nave non è infatti equiparabile a quello mediante gasdotto. Una situazione quindi non vincente per USA ed Europa ma solo per gli USA (*2).
Insomma nel complesso il capitolo sulla Russia l’ho trovato approssimativo, non obiettivo e con la semplificazione geografica molto dubbia.
Una pessima partenza in effetti: fortunatamente però il capitolo successivo sulla Cina mi è parso migliore. Forse l’autore conosceva meglio l’argomento e si è quindi basato meno sui documenti dei “think tank”. Poi, volendo, anche qui si trovano delle imprecisioni che fanno sorgere dubbi sull’onestà intellettuale di Marshall.
Per esempio su Taiwan non scrive che anche gli USA ne riconoscono la sovranità di Pechino sebbene contemporaneamente abbiano dichiarato di volerne proteggere l’indipendenza: un’ambiguità che secondo me avrebbe dovuto essere sottolineata per far comprendere meglio la politica cinese.
Comunque, almeno, l’autore non parla di genocidio della popolazione degli uiguri: non so, forse all’epoca non era ancora uno dei cavalli di battaglia della propaganda statunitense contro la Cina.
E poi ho imparato almeno due cose importanti sulla Cina che non sapevo (beh quasi, non sottilizziamo). Ovvero: 1. la non autosufficienza alimentare; 2. la politica di emigrazione verso le regioni controllate (per esempio in Tibet, nella regione dello Xinjiang degli uiguri ma anche in Africa).
Ora sto leggendo il capitolo sul nord America: per adesso un’inutile lezioncina a livello di scuola media sulla storia degli USA. Comunque sarà determinante vedere se l’autore, coerentemente con la propria introduzione dove descrive gli USA come l’unica super potenza mondiale (scrive nel 2015), spiegherà che la sua politica estera influenza pesantemente, e a proprio vantaggio, il resto del mondo (molto più della geografia!). Visto che non lo ha fatto per Russia e Cina dubito che lo ammetterà in questo capitolo ma vediamo…
Conclusione: come spiegato il mio giudizio si sta ancora formando: era molto negativo dopo aver letto il capitolo sulla Russia ma è migliorato con quello sulla Cina mentre è ancora presto per giudicare quello sugli USA.
Nota (*1): Come Amazon? Non vai in libreria? Beh, se Feltrinelli (& C.) non si fosse alienato la mia simpatia facendo pagare i sacchettini di carta (invece di darli gratis) a chi comprava i loro libri probabilmente adesso mi sentirei in colpa: invece ho ancora da smaltire anni di rabbia per quella che mi pareva una stupida ingiustizia (ci scrissi almeno un pezzo, forse due, sull’argomento).
Feltrinelli (& C.) raccoglie ciò che ha seminato: in questo caso la mia frustrazione di cliente.
Nota (*2): Ma i nostri politici (europei) evidentemente dovevano aver letto lo stesso documento su cui si è basato Marshall quando hanno adottato le sanzioni che avrebbero dovuto danneggiare la Russia...
lunedì 27 maggio 2024
21. Attrazione elastica
È da almeno venerdì che dovrei pubblicare una nuova puntata di Strabuccinator: stranamente, diversamente dal solito, non ero dell'umore giusto e quindi ho ignorato le mie regole che mi ero dato su quando pubblicare una nuova puntata...
Siamo arrivati alla puntata "21. Attrazione elastica" ma prima il riassunto della precedente:
Strabuccinator, l'avatar controllato da Strabuccino, è alle prese con la bella Pescasoda. Fra i due ci sono delle incomprensione: lei pensa che Strabuccinator sia il sostituto mandatole dal suo allenatore personale; Strabuccino pensa di star giocando a FhF ed è tutto impegnato a prendere appunti per il proprio video/recensione.
Nello specifico Pescasoda crede che Strabuccinator sia un po' esibizionista mostrandole il proprio vigoroso apprezzamento e, quindi, decide di mostrargli a sua volta la forza e coordinazione dei propri muscoli allenati: di particolari muscoli di solito non così forti e coordinati...
Come ormai sappiamo Strabuccino ha una demo del gioco FhF perché la versione originale a 20€ è troppo cara: anche per questo ha grossi problemi a controllare il proprio personaggio e spesso sbaglia comandi.
Per questo invece di cercare di afferrare Pescasoda, probabilmente senza riuscirci considerata la sua agilità, decide di giocare di astuzia ed escogita quindi un sordido piano per ingannare la fanciulla.
Ovviamente le cose non vanno esattamente come programmato da Strabuccino...
Vedo che ci sono un paio di citazioni: il solito D'Annunzio e un più difficile da riconoscere Biden per chi, all'epoca, non vide l'inquietante video in cui parlò di una sua infermiera...
Da un punto di vista stilistico la scena è mostrata da due punti di vista diversi: quello di Pescasoda e quello di Strabuccino. Entrambi non capiscono cosa dice l'altro a causa della limitazione del demo di FhF.
Nel complesso una puntata corta e interlocutoria: un'altra di quelle puntate che lette isolatamente non dicono niente. In effetti dovrei sempre consigliare di rileggere almeno una o due puntate precedenti per calarsi nella giusta atmosfera...
Voto EF? Bo, diciamo 7/10. La situazione inconsueta mi sembra abbastanza erotica per quanto assurda e improbabile...
Siamo arrivati alla puntata "21. Attrazione elastica" ma prima il riassunto della precedente:
Strabuccinator, l'avatar controllato da Strabuccino, è alle prese con la bella Pescasoda. Fra i due ci sono delle incomprensione: lei pensa che Strabuccinator sia il sostituto mandatole dal suo allenatore personale; Strabuccino pensa di star giocando a FhF ed è tutto impegnato a prendere appunti per il proprio video/recensione.
Nello specifico Pescasoda crede che Strabuccinator sia un po' esibizionista mostrandole il proprio vigoroso apprezzamento e, quindi, decide di mostrargli a sua volta la forza e coordinazione dei propri muscoli allenati: di particolari muscoli di solito non così forti e coordinati...
Come ormai sappiamo Strabuccino ha una demo del gioco FhF perché la versione originale a 20€ è troppo cara: anche per questo ha grossi problemi a controllare il proprio personaggio e spesso sbaglia comandi.
Per questo invece di cercare di afferrare Pescasoda, probabilmente senza riuscirci considerata la sua agilità, decide di giocare di astuzia ed escogita quindi un sordido piano per ingannare la fanciulla.
Ovviamente le cose non vanno esattamente come programmato da Strabuccino...
Vedo che ci sono un paio di citazioni: il solito D'Annunzio e un più difficile da riconoscere Biden per chi, all'epoca, non vide l'inquietante video in cui parlò di una sua infermiera...
Da un punto di vista stilistico la scena è mostrata da due punti di vista diversi: quello di Pescasoda e quello di Strabuccino. Entrambi non capiscono cosa dice l'altro a causa della limitazione del demo di FhF.
Nel complesso una puntata corta e interlocutoria: un'altra di quelle puntate che lette isolatamente non dicono niente. In effetti dovrei sempre consigliare di rileggere almeno una o due puntate precedenti per calarsi nella giusta atmosfera...
Voto EF? Bo, diciamo 7/10. La situazione inconsueta mi sembra abbastanza erotica per quanto assurda e improbabile...
La propaganda secondo un esperto degli anni '30 e primi anni '40
Ormai è un po' tardi ma voglio almeno iniziare a scrivere un pezzo su Huxley.
Ero arrivato al capitolo "La propaganda sotto la dittatura" del saggio "Ritorno al mondo nuovo" e, sebbene l'argomento mi interessi, dubitavo di trovarvi idee nuove.
Non ricordavo che il libro è del 1958 e, quindi, la seconda guerra mondiale era finita da appena 12 anni: è come oggi scrivere di cosa è successo nel 2012: per chi ha più di 30 anni è più o meno ieri...
Questo per dire che la dittatura che Huxley ha in mente è quella della Germania nazista mentre il dittatore è Adolf Hitler.
Senza entrare nei dettagli, secondo Huxley, Hitler aveva le idee piuttosto confuse e lacunose sulla maggior parte degli argomenti ma su uno era invece straordinariamente ferrato: la propaganda.
In particolare i dittatori del passato non potevano comunicare direttamente con la popolazione ma dovevano servirsi di altri individui come intermediari: il nazismo invece sfruttò la tecnologia per raggiungere e persuadere l'intera popolazione.
Scrive Huxley: "Il principio primo da cui Hitler partì era un giudizio di valore: le masse sono estremamente spregevoli, incapaci di pensiero astratto, disinteressate a ogni evento che stia oltre l'esperienza immediata. Il loro comportamento è determinato non dalla conoscenza e dalla ragione, ma da sentimenti e da impulsi inconsci. Proprio in questi sentimenti, in questi impulsi 'si devono piantare le radici dei loro atteggiamenti, positivi e negativi'. Per giungere al successo il propagandista deve saper manipolare istinti e sentimenti." (*1)
Niente di nuovo qui (e nei paragrafi seguenti in cui si ritrovano elementi di psicosociologia ormai ben noti), piuttosto stupisce come questi principi fossero intuitivamente già chiarissimi al dittatore tedesco.
La maggioranza della popolazione è quindi un gregge, sostanzialmente irrazionale e mosso invece da emozioni e sentimenti. Ma "fortunatamente" ci sono gli intellettuali: questi sì che si basano sui fatti!
Scrive Huxley: "A differenza delle masse, gli intellettuali hanno il gusto del razionale, e si interessano ai fatti. Grazie al loro abito mentale critico, resistono a questo tipo di propaganda che funziona tanto bene con la maggioranza degli uomini." ma poche righe dopo aggiunge "[...] gli intellettuali si sbandano a destra e a manca, come galline su un'aia." (*2)
Chioso io: le galline sono notoriamente coraggiose e intelligenti e così la maggioranza degli intellettuali. Non si dovrebbe confondere il sapere con l'intelligenza e il buon senso eppure...
"'La propaganda efficace' scriveva Hitler 'deve limitarsi a poche semplici necessità, e quindi esprimerle in poche formule stereotipate.' Queste formule stereotipate vanno ripetute continuamente, perché 'solo la ripetizione costante riuscirà alla fine a imprimere un concetto nella memoria di una folla'. La filosofia ci insegna a non essere mai sicuri delle cose che paiono di per sé evidenti. La propaganda all'opposto ci insegna ad accettare come assiomatiche certe cose su cui ragione vorrebbe che si sospendesse il giudizio, e intervenisse il dubbio." (*2)
Inutile (spero) che riproponga gli esempi recenti e attuali di come ha lavorato l'informazione occidentale durante la pandemia e ora con la guerra in Ucraina. Sembrerebbe che le frasi di Huxley/Hitler non potrebbero descriverla meglio... e invece no!
Sentite qualche paragrafo dopo: "Il propagandista demagogico deve quindi essere sempre un dogmatico. Ogni sua affermazione sarà priva di sfumature. Nel suo quadro del mondo non ci sarà posto per il grigio. Tutto è diabolicamente nero o celestialmente bianco. Secondo Hitler il propagandista deve fare suo 'un atteggiamento sistematicamente unilaterale, rispetto a ogni problema che affronti.' Non deve ammettere di potersi sbagliare, o che possa avere in parte ragione chi non la pensa come lui. Con gli avversari non si discute; si grida, si aggredisce, e se danno troppo fastidio si liquidano. L'intellettuale, che moralmente è schizzinoso, si turberà a sentire queste cose. Ma le masse son perfettamente convinte che 'la ragione sta dalla parte dell'aggressore'". (*3)
Bo... non so che scrivere... 70 anni fa si era già capito tutto di come funzionano e si controllano le masse. Il buon Carl Rogers, più o meno in quegli anni, ottimisticamente sperava che il potere avrebbe usato la psicologia per rendere la popolazione più autonoma, matura e responsabile: mi sembra evidente che si sia andati nella direzione opposta.
Poi non sono stato a citarlo ma Huxley afferma che i mezzi del tempo (1958) sono già molto più potenti e pervasivi di quanto non fossero vent'anni prima: per non dire di oggi quando, grazie ai telefonini intelligenti, ci facciamo volontariamente sorvegliare anche in bagno!
Ci sarebbero da fare tante altre considerazioni ma non voglio deprimermi insistendo sulla stupidità ovina del genere umano. Voglio chiudere invece con un parallelo che nasce da uno spunto datomi dall'affermazione di Huxley secondo cui Hitler, in pratica, ci capiva solo di propaganda ed ecco quindi che il dittatore trascinò la Germania e il resto del mondo nel baratro della seconda guerra mondiale.
E i politici di oggi? Davvero hanno una minima visione del futuro, un progetto concreto per le problematiche del nostro tempo? Secondo me no: secondo me sono solo esperti di propaganda, anzi prodotti, confezionati e pubblicizzati dalla propaganda per piacere alla maggioranza degli elettori. Ma se la loro unica reale capacità è quella di apparire, di distorcere i fatti, di far propaganda insomma, allora è così insensato pensare che essi, proprio con la loro incapacità, ci porteranno verso una nuova guerra mondiale? Temo di no...
Conclusione: tanto per dire mi sono segnato almeno quattro e forse più potenziali epigrafi in queste poche paginette...
Ah! ci sarebbe anche da parlare della conclusione del capitolo di Huxley secondo cui la salvezza per l'umanità sarebbe nel potenziare le individualità mentre invece andiamo verso l'accentuazione del conformismo e dell'uniformità: e guarda caso questo è un mio recente pallino ma, forse, ne scriverò in un'altra occasione...
Nota (*1): tratto da "Il mondo nuovo - Ritorno al nuovo mondo" di Aldous Huxley, (E.) Mondadori, 2023, trad. Lorenzo Gigli e Luciano Bianciardi, pag. 286.
Nota (*2): ibidem, pag. 288.
Nota (*3): ibidem, pag. 288-289.
Ero arrivato al capitolo "La propaganda sotto la dittatura" del saggio "Ritorno al mondo nuovo" e, sebbene l'argomento mi interessi, dubitavo di trovarvi idee nuove.
Non ricordavo che il libro è del 1958 e, quindi, la seconda guerra mondiale era finita da appena 12 anni: è come oggi scrivere di cosa è successo nel 2012: per chi ha più di 30 anni è più o meno ieri...
Questo per dire che la dittatura che Huxley ha in mente è quella della Germania nazista mentre il dittatore è Adolf Hitler.
Senza entrare nei dettagli, secondo Huxley, Hitler aveva le idee piuttosto confuse e lacunose sulla maggior parte degli argomenti ma su uno era invece straordinariamente ferrato: la propaganda.
In particolare i dittatori del passato non potevano comunicare direttamente con la popolazione ma dovevano servirsi di altri individui come intermediari: il nazismo invece sfruttò la tecnologia per raggiungere e persuadere l'intera popolazione.
Scrive Huxley: "Il principio primo da cui Hitler partì era un giudizio di valore: le masse sono estremamente spregevoli, incapaci di pensiero astratto, disinteressate a ogni evento che stia oltre l'esperienza immediata. Il loro comportamento è determinato non dalla conoscenza e dalla ragione, ma da sentimenti e da impulsi inconsci. Proprio in questi sentimenti, in questi impulsi 'si devono piantare le radici dei loro atteggiamenti, positivi e negativi'. Per giungere al successo il propagandista deve saper manipolare istinti e sentimenti." (*1)
Niente di nuovo qui (e nei paragrafi seguenti in cui si ritrovano elementi di psicosociologia ormai ben noti), piuttosto stupisce come questi principi fossero intuitivamente già chiarissimi al dittatore tedesco.
La maggioranza della popolazione è quindi un gregge, sostanzialmente irrazionale e mosso invece da emozioni e sentimenti. Ma "fortunatamente" ci sono gli intellettuali: questi sì che si basano sui fatti!
Scrive Huxley: "A differenza delle masse, gli intellettuali hanno il gusto del razionale, e si interessano ai fatti. Grazie al loro abito mentale critico, resistono a questo tipo di propaganda che funziona tanto bene con la maggioranza degli uomini." ma poche righe dopo aggiunge "[...] gli intellettuali si sbandano a destra e a manca, come galline su un'aia." (*2)
Chioso io: le galline sono notoriamente coraggiose e intelligenti e così la maggioranza degli intellettuali. Non si dovrebbe confondere il sapere con l'intelligenza e il buon senso eppure...
"'La propaganda efficace' scriveva Hitler 'deve limitarsi a poche semplici necessità, e quindi esprimerle in poche formule stereotipate.' Queste formule stereotipate vanno ripetute continuamente, perché 'solo la ripetizione costante riuscirà alla fine a imprimere un concetto nella memoria di una folla'. La filosofia ci insegna a non essere mai sicuri delle cose che paiono di per sé evidenti. La propaganda all'opposto ci insegna ad accettare come assiomatiche certe cose su cui ragione vorrebbe che si sospendesse il giudizio, e intervenisse il dubbio." (*2)
Inutile (spero) che riproponga gli esempi recenti e attuali di come ha lavorato l'informazione occidentale durante la pandemia e ora con la guerra in Ucraina. Sembrerebbe che le frasi di Huxley/Hitler non potrebbero descriverla meglio... e invece no!
Sentite qualche paragrafo dopo: "Il propagandista demagogico deve quindi essere sempre un dogmatico. Ogni sua affermazione sarà priva di sfumature. Nel suo quadro del mondo non ci sarà posto per il grigio. Tutto è diabolicamente nero o celestialmente bianco. Secondo Hitler il propagandista deve fare suo 'un atteggiamento sistematicamente unilaterale, rispetto a ogni problema che affronti.' Non deve ammettere di potersi sbagliare, o che possa avere in parte ragione chi non la pensa come lui. Con gli avversari non si discute; si grida, si aggredisce, e se danno troppo fastidio si liquidano. L'intellettuale, che moralmente è schizzinoso, si turberà a sentire queste cose. Ma le masse son perfettamente convinte che 'la ragione sta dalla parte dell'aggressore'". (*3)
Bo... non so che scrivere... 70 anni fa si era già capito tutto di come funzionano e si controllano le masse. Il buon Carl Rogers, più o meno in quegli anni, ottimisticamente sperava che il potere avrebbe usato la psicologia per rendere la popolazione più autonoma, matura e responsabile: mi sembra evidente che si sia andati nella direzione opposta.
Poi non sono stato a citarlo ma Huxley afferma che i mezzi del tempo (1958) sono già molto più potenti e pervasivi di quanto non fossero vent'anni prima: per non dire di oggi quando, grazie ai telefonini intelligenti, ci facciamo volontariamente sorvegliare anche in bagno!
Ci sarebbero da fare tante altre considerazioni ma non voglio deprimermi insistendo sulla stupidità ovina del genere umano. Voglio chiudere invece con un parallelo che nasce da uno spunto datomi dall'affermazione di Huxley secondo cui Hitler, in pratica, ci capiva solo di propaganda ed ecco quindi che il dittatore trascinò la Germania e il resto del mondo nel baratro della seconda guerra mondiale.
E i politici di oggi? Davvero hanno una minima visione del futuro, un progetto concreto per le problematiche del nostro tempo? Secondo me no: secondo me sono solo esperti di propaganda, anzi prodotti, confezionati e pubblicizzati dalla propaganda per piacere alla maggioranza degli elettori. Ma se la loro unica reale capacità è quella di apparire, di distorcere i fatti, di far propaganda insomma, allora è così insensato pensare che essi, proprio con la loro incapacità, ci porteranno verso una nuova guerra mondiale? Temo di no...
Conclusione: tanto per dire mi sono segnato almeno quattro e forse più potenziali epigrafi in queste poche paginette...
Ah! ci sarebbe anche da parlare della conclusione del capitolo di Huxley secondo cui la salvezza per l'umanità sarebbe nel potenziare le individualità mentre invece andiamo verso l'accentuazione del conformismo e dell'uniformità: e guarda caso questo è un mio recente pallino ma, forse, ne scriverò in un'altra occasione...
Nota (*1): tratto da "Il mondo nuovo - Ritorno al nuovo mondo" di Aldous Huxley, (E.) Mondadori, 2023, trad. Lorenzo Gigli e Luciano Bianciardi, pag. 286.
Nota (*2): ibidem, pag. 288.
Nota (*3): ibidem, pag. 288-289.
domenica 26 maggio 2024
Festamenza (*2)
Avrei da scrivere un pezzo su Huxley (e anche altri impegnati) e magari più tardi lo farò... ma ora voglio partire da qualcosa di più leggero...
Lunedì scorso ho visto un corto e ieri sera (sabato) mi è tornato in mente. Buffo come funziona la mente: io ho la sensazione di accumulare le informazioni più disparate senza considerarle troppo in una specie di cantina che è la mia memoria e poi, di tanto in tanto, scendo a dare un'occhiata e ritorno su con dei ricordi presi a casaccio!
La prima volta che l'ho visto (cioè lunedì) l'avrò guardato 2 o 3 volte (dura pochi secondi) pensando "carino" e via.
Sabato invece mi è tornato a mente ed era rimasta nella mia memoria un'impressione di grande allegria ed energia: così mi è presa la smania di ricontrollare il video e, fortunatamente, ho scoperto che la cronologia di YouTube ha una sua propria ricerca altrimenti dubito che lo avrei ritrovato!
Il video mostra la "periferia" di un grande raduno di musica "rave". "Periferia" perché il grosso della folla è altrove e appena si intravede in lontananza. In primo piano, ma a una distanza tale che non si riconoscono i dettagli del volto, si vedono due giovani amiche che, sotto dei getti d'acqua, scherzano fra loro ballando, beh muovendosi, a tempo con la musica. Fra le due c'è una grande intesa ed eccitazione: prima conculcano (*1) avvicinandosi fra loro e poi saltellano felici verso il palco (che non si vede) mentre il pubblico canta tutto insieme e le due insieme al pubblico.
Ho voluto provare a descrivere il video ma fate prima a guardarlo: Rave Besties
L'altro aspetto che mi affascina è il comportamento delle due giovani perché mi è totalmente alieno: è evidente anche a me, nonostante la mia debole sensibilità, che le ragazze sono perse nella musica e nel divertimento e che riescono a esprimere le loro emozioni saltellando allegramente insieme.
Io non riuscirei mai a esprimermi in maniera così totalmente istintiva come loro, ma nemmeno lontanamente! In realtà non pensavo neppure fosse possibile qualcosa del genere tanto mi è lontana tale spontaneità.
Però è un tassello importante: mi fa capire un po' di più come funzionano le persone estroverse quando proiettano il proprio io verso l'esterno (mentre il mio è di solito talmente ben barricato dentro la fortezza della razionalità che neppure "me" lo conosco troppo bene!)
Conclusione: potrei dilungarmi, cercare di sezionare le sensazioni che il video mi provoca ma credo che non ne valga la pena: l'essenza sono riuscito, credo, a passarvela. Ecco semmai sarebbe interessante l'opinione di UUiC, esperto di ballo, che forse potrebbe trovarvi delle analogie col tango, chissà...
Nota (*1): leggendo i commenti al video ho scoperto che le due facevano "stomping" e così ho felicemente preso l'occasione di usare una di quelle parole che imparo a memoria per esercizio e che dubitavo di usare mai: "conculcare" significa infatti battere i piedi con forza. In effetti non è proprio la stessa cosa dato che ho la sensazione che "to stomp" implichi anche il movimento mentre "conculacare" no. Ma almeno l'ho usato una volta!
Nota (*2): e nel titolo sono riuscito a usare anche "amenza" per "rave" creando il cretinismo "festamenza" per "rave party"... eh! eh!
Lunedì scorso ho visto un corto e ieri sera (sabato) mi è tornato in mente. Buffo come funziona la mente: io ho la sensazione di accumulare le informazioni più disparate senza considerarle troppo in una specie di cantina che è la mia memoria e poi, di tanto in tanto, scendo a dare un'occhiata e ritorno su con dei ricordi presi a casaccio!
La prima volta che l'ho visto (cioè lunedì) l'avrò guardato 2 o 3 volte (dura pochi secondi) pensando "carino" e via.
Sabato invece mi è tornato a mente ed era rimasta nella mia memoria un'impressione di grande allegria ed energia: così mi è presa la smania di ricontrollare il video e, fortunatamente, ho scoperto che la cronologia di YouTube ha una sua propria ricerca altrimenti dubito che lo avrei ritrovato!
Il video mostra la "periferia" di un grande raduno di musica "rave". "Periferia" perché il grosso della folla è altrove e appena si intravede in lontananza. In primo piano, ma a una distanza tale che non si riconoscono i dettagli del volto, si vedono due giovani amiche che, sotto dei getti d'acqua, scherzano fra loro ballando, beh muovendosi, a tempo con la musica. Fra le due c'è una grande intesa ed eccitazione: prima conculcano (*1) avvicinandosi fra loro e poi saltellano felici verso il palco (che non si vede) mentre il pubblico canta tutto insieme e le due insieme al pubblico.
Ho voluto provare a descrivere il video ma fate prima a guardarlo: Rave Besties
L'altro aspetto che mi affascina è il comportamento delle due giovani perché mi è totalmente alieno: è evidente anche a me, nonostante la mia debole sensibilità, che le ragazze sono perse nella musica e nel divertimento e che riescono a esprimere le loro emozioni saltellando allegramente insieme.
Io non riuscirei mai a esprimermi in maniera così totalmente istintiva come loro, ma nemmeno lontanamente! In realtà non pensavo neppure fosse possibile qualcosa del genere tanto mi è lontana tale spontaneità.
Però è un tassello importante: mi fa capire un po' di più come funzionano le persone estroverse quando proiettano il proprio io verso l'esterno (mentre il mio è di solito talmente ben barricato dentro la fortezza della razionalità che neppure "me" lo conosco troppo bene!)
Conclusione: potrei dilungarmi, cercare di sezionare le sensazioni che il video mi provoca ma credo che non ne valga la pena: l'essenza sono riuscito, credo, a passarvela. Ecco semmai sarebbe interessante l'opinione di UUiC, esperto di ballo, che forse potrebbe trovarvi delle analogie col tango, chissà...
Nota (*1): leggendo i commenti al video ho scoperto che le due facevano "stomping" e così ho felicemente preso l'occasione di usare una di quelle parole che imparo a memoria per esercizio e che dubitavo di usare mai: "conculcare" significa infatti battere i piedi con forza. In effetti non è proprio la stessa cosa dato che ho la sensazione che "to stomp" implichi anche il movimento mentre "conculacare" no. Ma almeno l'ho usato una volta!
Nota (*2): e nel titolo sono riuscito a usare anche "amenza" per "rave" creando il cretinismo "festamenza" per "rave party"... eh! eh!
venerdì 24 maggio 2024
Jung, Strabuccinator e Hobsbawm
Anche oggi un pezzo di "dovere" con però un pizzico di piacevole autoreferenzialità...
Ormai da un mesetto o forse più sono in debito di un aggiornamento su "Tipi psicologici" di Jung.
In realtà dopo un capitolo piacevole e comprensibile sono alle prese con uno alquanto difficile e, diciamocelo, fuffoso. Probabilmente è a me che pare fuffa perché mi mancano le conoscenze per capire a fondo il pensiero di Jung ma è anche un limite del libro che, per tutti i motivi che ho più volte elencato in passato, fatica a farsi capire da chi già non conosce discretamente la teoria dell'autore.
Diciamo quindi che leggo e capisco/intuisco un 50% delle idee di Jung: non molto ma meglio di niente.
Un elemento interessante è la teoria della libido che, come al solito, non è spiegata passo passo ma l'ho intuita (magari fraintendendola) indirettamente.
La libido io l'ho capita come una specie di energia nervosa, suppongo sovrapponibile agli impulsi sessuali ma non limitata a essi, che è una componente essenziale della nostra psiche. La sua "posizione" nella nostra mente è fra l'inconscio e il conscio in base al nostro tipo psicologico: l'estroverso la proietta all'esterno, sull'oggetto, l'introverso all'interno su se stesso.
Però la libido è anche un'energia, una motivazione, una voglia che permette di fare. Interessanti le analogie con l'atto riproduttivo che porta alla creazione per eccellenza: una nuova vita.
A seconda della sua "posizione" nella nostra psiche la libido può essere sublimata, cioè reindirizzata, verso altri scopi creativi che richiedono energia.
Jung spiega con numerosi esempi vari tipi di trasformazione di questa energia ma non sarei sincero dicendo che sono chiari e comprensibili! Io, nel mio piccolo, li capisco come trasferimenti di energia (in senso lato: voglia di fare, volontà, fantasia, creatività etc.) nella nostra mente.
Quando capii (o pensai di farlo!) questa teoria di Jung non potei fare a meno di pensare alla genesi del mio racconto di Strabuccinator che sto pubblicando sul ghiribizzo Strabuccino Noccioloduro. Come nel più trito degli stereotipi, nell'estate del 2022, presi una cotta paurosa per una ragazza con, a occhio, la metà dei miei anni. Fortunatamente non riuscivo neppure a immaginarmi uno scenario realistico, per quanto improbabile, che vedesse intrecciarsi le nostre vite. E io ho una buona fantasia: molto buona quando voglio!
Che fare quindi: come superare la lacerazione interiore, questa sì reale, che mi tormentava e frustrava?
Ebbene ebbi la felice intuizione, che Jung sicuramente avrebbe approvato (*1), di crearmi una storia di fantasia, palesemente di fantasia, in cui il mio brutto e sfortunato alter ego, Strabuccino, vivesse una felice e lieta storia d'amore con l'alter ego di tale ragazza: la bellissima Zozzapanna, la protagonista della seconda parte del mio racconto!
Ecco che sostenuto dalle ali della mia libido, più o meno inconscia, sono riuscito a creare un'opera che, anche se sicuramente non sarà apprezzata come merita a causa del suo argomento troppo esplicito, è a mio avviso estremamente brillante e meritevole.
E l'esperimento funzionò: riuscii a trasferire tutta questa mia energia che non avevo la possibilità di esprimere costruttivamente nel mondo reale in questa mia opera di fantasia: in questa maniera riuscii a superare quello che era un vero e proprio patimento interiore. In realtà ogni tanto il pensiero/ricordo di Zozzapanna riemerge più o meno intensamente ma ora ho capito che fare e, quando il desiderio si fa più struggente, penso a un seguito per Strabuccinator.
Anzi se la motivazione fosse sufficiente, ma non lo è neppure lontanamente, avrei già abbastanza materiale e idee per iniziare a scrivere un seguito!
E Hobsbawm che c'entra?
Beh, con Strabuccino/Strabuccinator niente! Il collegamento è con Jung...
Di Hobsbawm ho letto un nuovo capitolo sulla "donna" di fine XIX e inizio XX secolo, di cui forse scriverò a parte, e ho iniziato oggi un capitolo sull'arte dello stesso periodo.
Le mie obiezioni sono le stesse che feci a suo tempo per il capitolo equivalente ne "Il secolo breve": cosa c'entra l'arte con la storia?
Un'arte che poi, oltretutto, si distacca sempre più, a partire proprio dall'inizio del XX secolo, dal comune sentire.
Ebbene Jung mi dà la risposta che forse era sfuggita anche allo stesso Hobsbawm. Ho scritto "forse" perché lo storico non spiega esplicitamente il valore e la funzione di questo capitolo sull'arte nel suo percorso di interpretazione storica di un'epoca; ma è però possibile che lo abbia fatto altrove e che qui lo dia semplicemente per scontato. Magari sono io così lontano dall'arte da non essere stato in grado di comprenderne autonomamente il significato storico...
Ebbene secondo Jung l'artista attinge le proprie immagini, quelle che poi vengono trasformate in opere d'arte, dal proprio inconscio: ma si tratta di immagini (in senso lato, quindi idee o intuizioni) non prettamente sue ma che sono comuni alla psiche collettiva. La psiche collettiva è una specie di mente comune dove pensieri e opinioni sono condivise dalla popolazione: sono, in altre parole, l'anima del tempo di una certa società. Nella mia terminologia si tratta di epomiti.
In altre parole l'arte permette di accedere all'inconscio della popolazione coeva all'artista: di capirne, o almeno di intuirne, non i pensieri consci (che vengono espressi esplicitamente nei testi del tempo) ma quelli inconsci: come le paure, le speranze recondite o i fatti che più ci turbano...
Questo è il valore dell'arte per lo storico: lo studio delle opere d'arte gli permette di intuire (perché l'inconscio non si può capire con la ragione ma solo intuire col cuore) l'anima del tempo.
Se questa mia interpretazione è corretta allora quando l'arte viene compresa solo parzialmente dalla popolazione significa che essa non attinge più dall'inconscio collettivo. Ciò è sicuramente avvenuto per alcune forme d'arte moderna, come la pittura o la scultura, ma il XX secolo ci ha portato il cinema e sono proprio le pellicole cinematografiche, più di altri tipi di opere d'arte classiche, le creazioni che si rivolgono al grande pubblico e che, proprio per questo, maggiormente risuonano degli aneliti e dei sospiri dell'anima dell'uomo moderno.
Certo, anche della cinematografia ne esistono tante declinazione: c'è l'opera rivolta a un pubblico globale e che, proprio per questo, attingerà ai desideri più superficiali e diffusi dell'uomo moderno: il successo in tutte le sue forme, in genere economico e di potere per gli uomini, romantico per le donne. Ma poi ci sono le opere più di nicchia che comunque anche se apprezate da un pubblico più ristretto riflettono comunque il sentire di una fascia significativa di popolazione.
Insomma la relazione fra arte e storia esiste ma, diciamo nell'ultimo secolo, il legame è divenuto più sottile: spesso l'opera pensata per la massa, come alcuni film o serie televisive, non vuole esprimerne i sentimenti ma spingerla a un conformismo degli ideali proponendo ed esaltando quelli accettabili all'uomo moderno. Insomma l'arte diviene uno strumento di propaganda...
Conclusione: sono a casa e sto dormendo tanto: mi sembra che questa maggiore tranquillità si possa leggere anche in ciò che scrivo, vero? Eventuali errori ortografici dipendono invece dal fatto che scrivo su Notepad di Windows e che vedo male lo schermo!
Nota (*1): in realtà scherzo! Suppongo però che Jung avrebbe trovato il mio "caso" interessante...
Ormai da un mesetto o forse più sono in debito di un aggiornamento su "Tipi psicologici" di Jung.
In realtà dopo un capitolo piacevole e comprensibile sono alle prese con uno alquanto difficile e, diciamocelo, fuffoso. Probabilmente è a me che pare fuffa perché mi mancano le conoscenze per capire a fondo il pensiero di Jung ma è anche un limite del libro che, per tutti i motivi che ho più volte elencato in passato, fatica a farsi capire da chi già non conosce discretamente la teoria dell'autore.
Diciamo quindi che leggo e capisco/intuisco un 50% delle idee di Jung: non molto ma meglio di niente.
Un elemento interessante è la teoria della libido che, come al solito, non è spiegata passo passo ma l'ho intuita (magari fraintendendola) indirettamente.
La libido io l'ho capita come una specie di energia nervosa, suppongo sovrapponibile agli impulsi sessuali ma non limitata a essi, che è una componente essenziale della nostra psiche. La sua "posizione" nella nostra mente è fra l'inconscio e il conscio in base al nostro tipo psicologico: l'estroverso la proietta all'esterno, sull'oggetto, l'introverso all'interno su se stesso.
Però la libido è anche un'energia, una motivazione, una voglia che permette di fare. Interessanti le analogie con l'atto riproduttivo che porta alla creazione per eccellenza: una nuova vita.
A seconda della sua "posizione" nella nostra psiche la libido può essere sublimata, cioè reindirizzata, verso altri scopi creativi che richiedono energia.
Jung spiega con numerosi esempi vari tipi di trasformazione di questa energia ma non sarei sincero dicendo che sono chiari e comprensibili! Io, nel mio piccolo, li capisco come trasferimenti di energia (in senso lato: voglia di fare, volontà, fantasia, creatività etc.) nella nostra mente.
Quando capii (o pensai di farlo!) questa teoria di Jung non potei fare a meno di pensare alla genesi del mio racconto di Strabuccinator che sto pubblicando sul ghiribizzo Strabuccino Noccioloduro. Come nel più trito degli stereotipi, nell'estate del 2022, presi una cotta paurosa per una ragazza con, a occhio, la metà dei miei anni. Fortunatamente non riuscivo neppure a immaginarmi uno scenario realistico, per quanto improbabile, che vedesse intrecciarsi le nostre vite. E io ho una buona fantasia: molto buona quando voglio!
Che fare quindi: come superare la lacerazione interiore, questa sì reale, che mi tormentava e frustrava?
Ebbene ebbi la felice intuizione, che Jung sicuramente avrebbe approvato (*1), di crearmi una storia di fantasia, palesemente di fantasia, in cui il mio brutto e sfortunato alter ego, Strabuccino, vivesse una felice e lieta storia d'amore con l'alter ego di tale ragazza: la bellissima Zozzapanna, la protagonista della seconda parte del mio racconto!
Ecco che sostenuto dalle ali della mia libido, più o meno inconscia, sono riuscito a creare un'opera che, anche se sicuramente non sarà apprezzata come merita a causa del suo argomento troppo esplicito, è a mio avviso estremamente brillante e meritevole.
E l'esperimento funzionò: riuscii a trasferire tutta questa mia energia che non avevo la possibilità di esprimere costruttivamente nel mondo reale in questa mia opera di fantasia: in questa maniera riuscii a superare quello che era un vero e proprio patimento interiore. In realtà ogni tanto il pensiero/ricordo di Zozzapanna riemerge più o meno intensamente ma ora ho capito che fare e, quando il desiderio si fa più struggente, penso a un seguito per Strabuccinator.
Anzi se la motivazione fosse sufficiente, ma non lo è neppure lontanamente, avrei già abbastanza materiale e idee per iniziare a scrivere un seguito!
E Hobsbawm che c'entra?
Beh, con Strabuccino/Strabuccinator niente! Il collegamento è con Jung...
Di Hobsbawm ho letto un nuovo capitolo sulla "donna" di fine XIX e inizio XX secolo, di cui forse scriverò a parte, e ho iniziato oggi un capitolo sull'arte dello stesso periodo.
Le mie obiezioni sono le stesse che feci a suo tempo per il capitolo equivalente ne "Il secolo breve": cosa c'entra l'arte con la storia?
Un'arte che poi, oltretutto, si distacca sempre più, a partire proprio dall'inizio del XX secolo, dal comune sentire.
Ebbene Jung mi dà la risposta che forse era sfuggita anche allo stesso Hobsbawm. Ho scritto "forse" perché lo storico non spiega esplicitamente il valore e la funzione di questo capitolo sull'arte nel suo percorso di interpretazione storica di un'epoca; ma è però possibile che lo abbia fatto altrove e che qui lo dia semplicemente per scontato. Magari sono io così lontano dall'arte da non essere stato in grado di comprenderne autonomamente il significato storico...
Ebbene secondo Jung l'artista attinge le proprie immagini, quelle che poi vengono trasformate in opere d'arte, dal proprio inconscio: ma si tratta di immagini (in senso lato, quindi idee o intuizioni) non prettamente sue ma che sono comuni alla psiche collettiva. La psiche collettiva è una specie di mente comune dove pensieri e opinioni sono condivise dalla popolazione: sono, in altre parole, l'anima del tempo di una certa società. Nella mia terminologia si tratta di epomiti.
In altre parole l'arte permette di accedere all'inconscio della popolazione coeva all'artista: di capirne, o almeno di intuirne, non i pensieri consci (che vengono espressi esplicitamente nei testi del tempo) ma quelli inconsci: come le paure, le speranze recondite o i fatti che più ci turbano...
Questo è il valore dell'arte per lo storico: lo studio delle opere d'arte gli permette di intuire (perché l'inconscio non si può capire con la ragione ma solo intuire col cuore) l'anima del tempo.
Se questa mia interpretazione è corretta allora quando l'arte viene compresa solo parzialmente dalla popolazione significa che essa non attinge più dall'inconscio collettivo. Ciò è sicuramente avvenuto per alcune forme d'arte moderna, come la pittura o la scultura, ma il XX secolo ci ha portato il cinema e sono proprio le pellicole cinematografiche, più di altri tipi di opere d'arte classiche, le creazioni che si rivolgono al grande pubblico e che, proprio per questo, maggiormente risuonano degli aneliti e dei sospiri dell'anima dell'uomo moderno.
Certo, anche della cinematografia ne esistono tante declinazione: c'è l'opera rivolta a un pubblico globale e che, proprio per questo, attingerà ai desideri più superficiali e diffusi dell'uomo moderno: il successo in tutte le sue forme, in genere economico e di potere per gli uomini, romantico per le donne. Ma poi ci sono le opere più di nicchia che comunque anche se apprezate da un pubblico più ristretto riflettono comunque il sentire di una fascia significativa di popolazione.
Insomma la relazione fra arte e storia esiste ma, diciamo nell'ultimo secolo, il legame è divenuto più sottile: spesso l'opera pensata per la massa, come alcuni film o serie televisive, non vuole esprimerne i sentimenti ma spingerla a un conformismo degli ideali proponendo ed esaltando quelli accettabili all'uomo moderno. Insomma l'arte diviene uno strumento di propaganda...
Conclusione: sono a casa e sto dormendo tanto: mi sembra che questa maggiore tranquillità si possa leggere anche in ciò che scrivo, vero? Eventuali errori ortografici dipendono invece dal fatto che scrivo su Notepad di Windows e che vedo male lo schermo!
Nota (*1): in realtà scherzo! Suppongo però che Jung avrebbe trovato il mio "caso" interessante...
mercoledì 22 maggio 2024
Pensiero sui pensieri
Da qualche tempo ho iniziato la lettura di "Colloqui con se stesso (Ricordi e pensieri)" di Marco Aurelio (*1).
Non male ma neppure eccezionale: non vi ho trovato quell'eccellenza che caraterizza in genere i classici dell'antichità in cui ogni singola frase ha grande valore. Qui i vari pensieri (che variano in lunghezza da poche righe a una paginetta) sono di qualità variabile. Marco Aurelio non metteva nero su bianco l'essenza più raffinata e meditata del proprio pensiero ma piuttosto una riflessione del giorno. Qualcosa, immagino io, che aveva pensato durante la giornata e che a sera decide di mettere per iscritto.
In questa maniera il livello medio della riflessione è molto variabile: un po' come il bloggatore che scrive quotidianamente o quasi quello che gli frulla per la testa!
Insomma Marco Aurelio non mi pare un grande ma un buon filosofo. Ecco, tipo un ottimo professore universitario di filosofia: qualcuno che conosce bene la materia ma che vi ha contribuito poco con idee sue proprie. Ovviamente questa è la mia pedantesca sensazione superficiale di non filosofo!
Molte riflessioni sono incentrate sul tempo, sull'importanza di fare il proprio meglio, agire per il bene collettivo, nel tempo di vita che si ha a propria disposizione.
Mi ha colpito tutta questa insistenza e credo abbia origine psicologica.
Una persona comune cosa può fare per la propria comunità? Sì, si dice che se ognuno fa il "proprio dovere" la comunità prospera. Ma quello che voglio dire è che il lavoro di un contadino può essere sostituito da quello di un altro contadino, quello di sellaio da un altro sellaio, quello di un muratore da un altro muratore. Il singolo non fa la differenza: conta più la volontà di cooperare con gli altri che poi ciò che si realizza in pratica. Da questo punto di vista se un giorno ci sentiamo malati è inutile fare uno sforzo extra per vincere la malattia e lavorare comunque: alla comunità cambia poco o nulla.
Ma Marco Aurelio era l'imperatore: tutto quello che faceva aveva il potenziale per cambiare la vita di milioni di persone, di cambiare la storia.
Il suo fare non era importante solamente nella propensione a cercare di realizzare il bene dell'Impero in senso astratto ma anche, e nel suo caso, concretamente: ogni sua azione era significativa, ogni secondo del suo lavoro era significativo.
In questa situazione una persona responsabile può sentirsi sopraffatta dalle responsabilità e dagli obblighi che la carica di imperatore impone. Ecco allora che la filosofia che Marco Aurelio ha adottato mi sembra che abbia l'obiettivo di rassicurarlo: fai quello che puoi nel tempo che hai, opera per il bene, e non avrai rimpianti per ciò che non hai potuto realizzare. Insomma mi pare che la sua filosofia sia una forma di sofisticata giustificazione per risolvere una nobile dissonanza cognitiva: il conciliare quello che si riesce effettivamente a fare con tutto quello che si vorrebbe fare.
Fatta questa lunga premessa voglio presentare un pensiero molto breve che ho letto ieri e che mi ha dato da pensare (e che non c'entra niente con la brevità della vita e simili di cui ho scritto sopra!).
"IL PIACERE
"34. Quanto sono grandi i piaceri di cui godono gli assassini, gli scostumati, i parricidi, i tiranni!" (*2)
Che ne pensate? Che significa questa frase? È forse ironia?
Una nota spiega: "Per dire che il piacere, se oggetto di esperienza per sí fatta gente, non deve essere considerato nel novero delle cose buone." (*3)
Sicuramente l'interpretazione della nota sarà corretta ma mi chiedevo se ci sia di più. Perché esprimere questo concetto in forma così contorta, quasi ironica?
In genere Marco Aurelio scrive chiaramente ciò che pensa...
Io credo che l'ultima parola, "tiranni", sia significativa: sospetto che esprima la tentazione dell'imperatore di non agire secondo giustizia ma di imporre la propria volontà. Poi vi aggiunge anche gli altri termini che danno il senso indicato dalla nota alla frase ma quello importante per Marco Aurelio è l'ultimo.
È molto umano lottare contro le proprie debolezze, contro ciò che sappiamo ingiusto ma che ci renderebbe tutto più facile. Le scorciatoie per raggiungere il proprio fine chiudendo un occhio sul mezzo...
Conclusione: insomma lettura interessante che alterno volentieri alle altre.
Nota (*1): da quando introdussi le epigrafi nell'Epitome ne uso una sua e, come sapete, mi piace usare epigrafi tratte effettivamente da libri che ho letto...
Nota (*2): tratto da "Colloqui con se stesso (Ricordi e pensieri)" di MArco Aurelio Antonino, (E.) Rizzoli, 1953, trad. Francesco Lulli, pag. 92.
Nota (*3): ibidem, pag. 225.
Non male ma neppure eccezionale: non vi ho trovato quell'eccellenza che caraterizza in genere i classici dell'antichità in cui ogni singola frase ha grande valore. Qui i vari pensieri (che variano in lunghezza da poche righe a una paginetta) sono di qualità variabile. Marco Aurelio non metteva nero su bianco l'essenza più raffinata e meditata del proprio pensiero ma piuttosto una riflessione del giorno. Qualcosa, immagino io, che aveva pensato durante la giornata e che a sera decide di mettere per iscritto.
In questa maniera il livello medio della riflessione è molto variabile: un po' come il bloggatore che scrive quotidianamente o quasi quello che gli frulla per la testa!
Insomma Marco Aurelio non mi pare un grande ma un buon filosofo. Ecco, tipo un ottimo professore universitario di filosofia: qualcuno che conosce bene la materia ma che vi ha contribuito poco con idee sue proprie. Ovviamente questa è la mia pedantesca sensazione superficiale di non filosofo!
Molte riflessioni sono incentrate sul tempo, sull'importanza di fare il proprio meglio, agire per il bene collettivo, nel tempo di vita che si ha a propria disposizione.
Mi ha colpito tutta questa insistenza e credo abbia origine psicologica.
Una persona comune cosa può fare per la propria comunità? Sì, si dice che se ognuno fa il "proprio dovere" la comunità prospera. Ma quello che voglio dire è che il lavoro di un contadino può essere sostituito da quello di un altro contadino, quello di sellaio da un altro sellaio, quello di un muratore da un altro muratore. Il singolo non fa la differenza: conta più la volontà di cooperare con gli altri che poi ciò che si realizza in pratica. Da questo punto di vista se un giorno ci sentiamo malati è inutile fare uno sforzo extra per vincere la malattia e lavorare comunque: alla comunità cambia poco o nulla.
Ma Marco Aurelio era l'imperatore: tutto quello che faceva aveva il potenziale per cambiare la vita di milioni di persone, di cambiare la storia.
Il suo fare non era importante solamente nella propensione a cercare di realizzare il bene dell'Impero in senso astratto ma anche, e nel suo caso, concretamente: ogni sua azione era significativa, ogni secondo del suo lavoro era significativo.
In questa situazione una persona responsabile può sentirsi sopraffatta dalle responsabilità e dagli obblighi che la carica di imperatore impone. Ecco allora che la filosofia che Marco Aurelio ha adottato mi sembra che abbia l'obiettivo di rassicurarlo: fai quello che puoi nel tempo che hai, opera per il bene, e non avrai rimpianti per ciò che non hai potuto realizzare. Insomma mi pare che la sua filosofia sia una forma di sofisticata giustificazione per risolvere una nobile dissonanza cognitiva: il conciliare quello che si riesce effettivamente a fare con tutto quello che si vorrebbe fare.
Fatta questa lunga premessa voglio presentare un pensiero molto breve che ho letto ieri e che mi ha dato da pensare (e che non c'entra niente con la brevità della vita e simili di cui ho scritto sopra!).
"IL PIACERE
"34. Quanto sono grandi i piaceri di cui godono gli assassini, gli scostumati, i parricidi, i tiranni!" (*2)
Che ne pensate? Che significa questa frase? È forse ironia?
Una nota spiega: "Per dire che il piacere, se oggetto di esperienza per sí fatta gente, non deve essere considerato nel novero delle cose buone." (*3)
Sicuramente l'interpretazione della nota sarà corretta ma mi chiedevo se ci sia di più. Perché esprimere questo concetto in forma così contorta, quasi ironica?
In genere Marco Aurelio scrive chiaramente ciò che pensa...
Io credo che l'ultima parola, "tiranni", sia significativa: sospetto che esprima la tentazione dell'imperatore di non agire secondo giustizia ma di imporre la propria volontà. Poi vi aggiunge anche gli altri termini che danno il senso indicato dalla nota alla frase ma quello importante per Marco Aurelio è l'ultimo.
È molto umano lottare contro le proprie debolezze, contro ciò che sappiamo ingiusto ma che ci renderebbe tutto più facile. Le scorciatoie per raggiungere il proprio fine chiudendo un occhio sul mezzo...
Conclusione: insomma lettura interessante che alterno volentieri alle altre.
Nota (*1): da quando introdussi le epigrafi nell'Epitome ne uso una sua e, come sapete, mi piace usare epigrafi tratte effettivamente da libri che ho letto...
Nota (*2): tratto da "Colloqui con se stesso (Ricordi e pensieri)" di MArco Aurelio Antonino, (E.) Rizzoli, 1953, trad. Francesco Lulli, pag. 92.
Nota (*3): ibidem, pag. 225.
martedì 21 maggio 2024
È divisibile per 7?
Premetto che sto iniziando a scrivere questo pezzo alle 2:30 di notte: non sono riuscito a raffreddare la camera. Aveva piovuto e pensavo fosse fresco ma non è così, semmai è afoso. Se vado altrove sarò mangiato dalle zanzare poi… vabbè non vi voglio annoiare con le mie lamentele…
Tempo (mesi?) fa trovai su Il blog della Curiosona (*1) un meme che riassumeva vari metodi per verificare la divisibilità per numerosi numeri interi. Mi soffermai sul metodo per il 7 che non conoscevo: in pratica si deve prendere il numero di decine e sottrarre il doppio delle unità. Se il numero risultante è divisibile per 7 allora lo è anche quello originario. Ovviamente si può ripetere questo metodo più volte fino ad arrivare a numeri sufficientemente piccoli da capire immediatamente se sono divisibili per 7.
Più complicato a dirsi che a farsi, facciamo qualche esempio:
80923 è divisibile per 7?
Il numero di decine è 8092, le unità sono 3 quindi si deve verificare se 8092-6=8086 è divisibile per 7. Siccome è un numero troppo grosso riapplico il metodo.
Adesso le decine sono 808 a cui devo sottrarre 12 ottenendo 796. Riapplico: 79-12=67 che evidentemente non è divisibile per 7.
Proviamo con 80927.
8092-14=8078
807-16=791
79-2 = 77 e sì, questo è divisibile per 7…
Così mi venne la bella idea, dopo tanti rompicapi logici, di capire come funzionava questo trucco matematico. Anzi decisi che avrei descritto passo passo il processo logico che mi avrebbe portato alla soluzione (ero molto fiducioso). Così mi misi davanti al calcolatore e iniziai a scrivere. Il problema fu che per descrivere un’idea pensata in 30 secondi mi occorrevano 5 minuti. Questo interrompere continuamente il flusso dei miei pensieri poi mi impediva di concentrarmi. Ben presto l’esperimento iniziò a divenire frustrante: io mi ero già stufato di scrivere e non ero ancora approdato a nulla.
Rimasi talmente schifato dall’esperienza che per settimane non ci pensai più. Qualche giorno fa però sono uscito per una breve passeggiata a piedi e ho così deciso di trastullarmici un poco.
In pratica arrivai alla seguente “equazione”: (D*10 + U) % 7 = (D – 2*U) % 7
Dove con “%” intendo l’operazione di modulo; con D il numero di decine e con U le unità.
Pensai anche che tornato a casa avrei potuto farmi una tabella su LibreCalc con le colonne D%7 e U%7 combinando tutti i possibili accoppiamenti (in pratica 49 righe) e, accanto, le varie operazione dell’“equazione” scritta qui sopra.
Pensavo che, vedendo i numeri in azione, avrei forse capito come funzionava il metodo.
Una volta tornato a casa inizio a scrivere il relativo foglio di calcolo ma… una volta terminato mi accorgo che l’equazione non è tale: per esempio (D*10 + U) % 7 mi dava 1 mentre (D – 2*U) % 7 mi dava 5…
Siccome mi ero già stufato a riempire la tabella lasciai perdere col dubbio di aver sbagliato qualcosa nella logica delle varie operazioni con modulo 7.
Arriviamo così a stasera verso le 1:00 dopo aver letto qualche pagina di Jung. Non avevo particolare voglia di leggere altro e, ricordandomi di questo problemino matematico, mi sono messo a scrivere qualche formula e annotazioni. Come ho già spiegato io mi diverto a risolvere i rompicapi mentre passeggio ma do il massimo quando mi posso aiutare con un quaderno a quadretti da 4mm (quelli da 5mm sono orribilmente grossi!).
Per prima cosa faccio qualche prova con numeri in carne e ossa (se così si può dire!) e verifico che la famigerata equazione non è tale ma funziona solo quando il %7 è pari a zero. In realtà avevo già fatto questa ipotesi all’epoca del foglio di calcolo (dopo averlo chiuso altrimenti sarebbe stato facile verificare) ma la ritenevo improbabile…
Poi decido che è più semplice capire cosa succede al modulo passando dal numero più piccolo a quello più grande che non il viceversa.
Scelgo il numero originario (No) 26 (dato da D – 2*U): quali numeri derivati (Nd) posso ottenere? Ovviamente dipende da D e da U. Siccome U può prendere solo i valori fra 0 e 9 è facile calcolare il relativo D.
Con D e U, usando la formula D*10 + U, ottengo il numero derivato.
Per esempio:
con U=0 D sarà 26 e quindi Nd 26*10 + 0 = 260
con U=1 D sarà 28 e quindi Nd 28*10 + 1 = 281
con U=2 D sarà 30 e quindi Nd 30*10 + 2 = 302
Notate lo schema? la differenza fra i vari Nd è 21. Siccome 21 è multiplo di 7 allora i vari Nd avranno tutti lo stesso modulo 7.
Questo ci è utile: per studiare il rapporto esistente fra No e Nd potremo scegliere il più semplice degli Nd ovvero No*10.
E cosa succede quando si moltiplica un modulo 7 per 10? Beh, ci sono solo 7 casi vediamoli tutti:
1 → 10 → 3
2 → 20 → 6
3 → 30 → 2
4 → 40 → 5
5 → 50 → 1
6 → 60 → 4
0 → 0 → 0
Ecco quindi chiarito l’arcano se No è divisibile per 7 allora lo saranno anche tutti i 10 possibili Nd: negli altri casi invece le operazioni portano a cambiamenti nel valore del modulo: comunque se No non era divisibile per 7 nemmeno Nd lo sarà.
Resta da chiarire perché la differenza fra i vari Nd è esattamente 21.
Da No=D-2*U ottengo D=No+2*U
Sostituendo questo valore di D nell’altro membro dell’equazione ottengo:
Nd=D*10 + U andando a sostituire D si ha:
Nd=(No+2*U)*10+U ovvero 10*No+20*U+U = 10*No+21*U
In pratica il trucco funziona perché il modulo 7 di 10*No rimane 0 quando era 0 e 21*U non lo modifica perché 21%7 è a sua volta zero. Chiaro? Vi ho convinti? Poco?
Allora proviamo a modificare il metodo: se le cose stanno come dico io allora se invece che 21 avessimo un altro numero divisibile per 7 funzionerebbe ugualmente. E questo numero (divisibile per 7) dovrà essere, per costruzione N*10 + 1. Qual è quindi un altro numero divisibile per 7 e terminante in 1 (dopo 21)? Facile: 91.
Quindi un altro metodo analogo per verificare se un numero è divisibile per 7 è prendere le decine e sottrarre 9 volte le unità.
Proviamo con 80927 come avevamo fatto prima:
8092 – 7*9 = 8092 – 63 = 8029
802 – 9*9 = 802 – 81 = 721
72 – 9*1 = 63 che, come sappiamo, è divisibile per 7.
Rendiamo quindi il metodo ancora più veloce: che valori usare se volessi usare il numero delle centinaia invece che delle decine?
Nd%7=(100*No)%7 continuerà a essere 0 se No%7 è zero: qui non ci sono problemi.
Dobbiamo però trovare un numero N*100+1 che sia divisibile per 7. Vediamo cosa abbiamo:
101 no (avanza 3)
201 no (avanza 5)
301 perfetto è divisibile per 7!
Quindi per verificare se un numero è divisibile per 7 possiamo prendere il numero delle sue centinaia e togliere 3 volte le decine + le unità.
Solito esempio con 80927:
809-27*3=809-81=728
Siccome il numero è già piccolo conviene qui usare il metodo originale o la precedente modifica:
72-8*2=56 è divisibile!
o
72-8*9=0 è divisibile!
Ma comunque anche l’ultimo metodo funziona (ovviamente!):
7-28*3= 7-84 = -77 è divisibile!
Conclusione: bo, spero di essere stato chiaro… del resto sono quasi le 4:00 e inizio ad avere un po’ sonno nonostante il caldo e le zanzare…
Nota (*1): il nome del ghiribizzo è un po’ fuorviante: non tratta di pettegolezzi ma, piuttosto, di curiosità… In effetti avrebbe forse dovuto chiamarlo “Il blog delle curiosità”!
PS: di seguito la scansione dal mio quadernino. Me la sono cavata in appena due pagine dopo aver imboccato una sola falsa pista (vedi in alto a sinistra)…
Tempo (mesi?) fa trovai su Il blog della Curiosona (*1) un meme che riassumeva vari metodi per verificare la divisibilità per numerosi numeri interi. Mi soffermai sul metodo per il 7 che non conoscevo: in pratica si deve prendere il numero di decine e sottrarre il doppio delle unità. Se il numero risultante è divisibile per 7 allora lo è anche quello originario. Ovviamente si può ripetere questo metodo più volte fino ad arrivare a numeri sufficientemente piccoli da capire immediatamente se sono divisibili per 7.
Più complicato a dirsi che a farsi, facciamo qualche esempio:
80923 è divisibile per 7?
Il numero di decine è 8092, le unità sono 3 quindi si deve verificare se 8092-6=8086 è divisibile per 7. Siccome è un numero troppo grosso riapplico il metodo.
Adesso le decine sono 808 a cui devo sottrarre 12 ottenendo 796. Riapplico: 79-12=67 che evidentemente non è divisibile per 7.
Proviamo con 80927.
8092-14=8078
807-16=791
79-2 = 77 e sì, questo è divisibile per 7…
Così mi venne la bella idea, dopo tanti rompicapi logici, di capire come funzionava questo trucco matematico. Anzi decisi che avrei descritto passo passo il processo logico che mi avrebbe portato alla soluzione (ero molto fiducioso). Così mi misi davanti al calcolatore e iniziai a scrivere. Il problema fu che per descrivere un’idea pensata in 30 secondi mi occorrevano 5 minuti. Questo interrompere continuamente il flusso dei miei pensieri poi mi impediva di concentrarmi. Ben presto l’esperimento iniziò a divenire frustrante: io mi ero già stufato di scrivere e non ero ancora approdato a nulla.
Rimasi talmente schifato dall’esperienza che per settimane non ci pensai più. Qualche giorno fa però sono uscito per una breve passeggiata a piedi e ho così deciso di trastullarmici un poco.
In pratica arrivai alla seguente “equazione”: (D*10 + U) % 7 = (D – 2*U) % 7
Dove con “%” intendo l’operazione di modulo; con D il numero di decine e con U le unità.
Pensai anche che tornato a casa avrei potuto farmi una tabella su LibreCalc con le colonne D%7 e U%7 combinando tutti i possibili accoppiamenti (in pratica 49 righe) e, accanto, le varie operazione dell’“equazione” scritta qui sopra.
Pensavo che, vedendo i numeri in azione, avrei forse capito come funzionava il metodo.
Una volta tornato a casa inizio a scrivere il relativo foglio di calcolo ma… una volta terminato mi accorgo che l’equazione non è tale: per esempio (D*10 + U) % 7 mi dava 1 mentre (D – 2*U) % 7 mi dava 5…
Siccome mi ero già stufato a riempire la tabella lasciai perdere col dubbio di aver sbagliato qualcosa nella logica delle varie operazioni con modulo 7.
Arriviamo così a stasera verso le 1:00 dopo aver letto qualche pagina di Jung. Non avevo particolare voglia di leggere altro e, ricordandomi di questo problemino matematico, mi sono messo a scrivere qualche formula e annotazioni. Come ho già spiegato io mi diverto a risolvere i rompicapi mentre passeggio ma do il massimo quando mi posso aiutare con un quaderno a quadretti da 4mm (quelli da 5mm sono orribilmente grossi!).
Per prima cosa faccio qualche prova con numeri in carne e ossa (se così si può dire!) e verifico che la famigerata equazione non è tale ma funziona solo quando il %7 è pari a zero. In realtà avevo già fatto questa ipotesi all’epoca del foglio di calcolo (dopo averlo chiuso altrimenti sarebbe stato facile verificare) ma la ritenevo improbabile…
Poi decido che è più semplice capire cosa succede al modulo passando dal numero più piccolo a quello più grande che non il viceversa.
Scelgo il numero originario (No) 26 (dato da D – 2*U): quali numeri derivati (Nd) posso ottenere? Ovviamente dipende da D e da U. Siccome U può prendere solo i valori fra 0 e 9 è facile calcolare il relativo D.
Con D e U, usando la formula D*10 + U, ottengo il numero derivato.
Per esempio:
con U=0 D sarà 26 e quindi Nd 26*10 + 0 = 260
con U=1 D sarà 28 e quindi Nd 28*10 + 1 = 281
con U=2 D sarà 30 e quindi Nd 30*10 + 2 = 302
Notate lo schema? la differenza fra i vari Nd è 21. Siccome 21 è multiplo di 7 allora i vari Nd avranno tutti lo stesso modulo 7.
Questo ci è utile: per studiare il rapporto esistente fra No e Nd potremo scegliere il più semplice degli Nd ovvero No*10.
E cosa succede quando si moltiplica un modulo 7 per 10? Beh, ci sono solo 7 casi vediamoli tutti:
1 → 10 → 3
2 → 20 → 6
3 → 30 → 2
4 → 40 → 5
5 → 50 → 1
6 → 60 → 4
0 → 0 → 0
Ecco quindi chiarito l’arcano se No è divisibile per 7 allora lo saranno anche tutti i 10 possibili Nd: negli altri casi invece le operazioni portano a cambiamenti nel valore del modulo: comunque se No non era divisibile per 7 nemmeno Nd lo sarà.
Resta da chiarire perché la differenza fra i vari Nd è esattamente 21.
Da No=D-2*U ottengo D=No+2*U
Sostituendo questo valore di D nell’altro membro dell’equazione ottengo:
Nd=D*10 + U andando a sostituire D si ha:
Nd=(No+2*U)*10+U ovvero 10*No+20*U+U = 10*No+21*U
In pratica il trucco funziona perché il modulo 7 di 10*No rimane 0 quando era 0 e 21*U non lo modifica perché 21%7 è a sua volta zero. Chiaro? Vi ho convinti? Poco?
Allora proviamo a modificare il metodo: se le cose stanno come dico io allora se invece che 21 avessimo un altro numero divisibile per 7 funzionerebbe ugualmente. E questo numero (divisibile per 7) dovrà essere, per costruzione N*10 + 1. Qual è quindi un altro numero divisibile per 7 e terminante in 1 (dopo 21)? Facile: 91.
Quindi un altro metodo analogo per verificare se un numero è divisibile per 7 è prendere le decine e sottrarre 9 volte le unità.
Proviamo con 80927 come avevamo fatto prima:
8092 – 7*9 = 8092 – 63 = 8029
802 – 9*9 = 802 – 81 = 721
72 – 9*1 = 63 che, come sappiamo, è divisibile per 7.
Rendiamo quindi il metodo ancora più veloce: che valori usare se volessi usare il numero delle centinaia invece che delle decine?
Nd%7=(100*No)%7 continuerà a essere 0 se No%7 è zero: qui non ci sono problemi.
Dobbiamo però trovare un numero N*100+1 che sia divisibile per 7. Vediamo cosa abbiamo:
101 no (avanza 3)
201 no (avanza 5)
301 perfetto è divisibile per 7!
Quindi per verificare se un numero è divisibile per 7 possiamo prendere il numero delle sue centinaia e togliere 3 volte le decine + le unità.
Solito esempio con 80927:
809-27*3=809-81=728
Siccome il numero è già piccolo conviene qui usare il metodo originale o la precedente modifica:
72-8*2=56 è divisibile!
o
72-8*9=0 è divisibile!
Ma comunque anche l’ultimo metodo funziona (ovviamente!):
7-28*3= 7-84 = -77 è divisibile!
Conclusione: bo, spero di essere stato chiaro… del resto sono quasi le 4:00 e inizio ad avere un po’ sonno nonostante il caldo e le zanzare…
Nota (*1): il nome del ghiribizzo è un po’ fuorviante: non tratta di pettegolezzi ma, piuttosto, di curiosità… In effetti avrebbe forse dovuto chiamarlo “Il blog delle curiosità”!
PS: di seguito la scansione dal mio quadernino. Me la sono cavata in appena due pagine dopo aver imboccato una sola falsa pista (vedi in alto a sinistra)…
lunedì 20 maggio 2024
20. La lattina di “Toro Selvaggio Scatenato” si scatena
Se tutto va bene domani torno a casa per qualche settimana: mi anticipo quindi con Strabuccinator anche se questa volta, spero, riuscirò a seguire un po’ meglio il mio ghiribizzo senza abbandonarlo per giorni…
Riassunto puntata precedente:
Nello scorso episodio c’è stato il primo contatto fra Pescasoda e Strabuccinator e abbiamo seguito la scena dagli occhi di Pescasoda e da quelli, anzi dallo schermo, di Strabuccino.
Pescasoda è nella palestra della propria villa e si sta riscaldando per poi allenarsi: crede anzi che Strabuccinator sia il sostituto inviatole dal proprio allenatore personale misteriosamente finito in ospedale il giorno prima...
In questa puntata osserveremo come Strabuccino e Pescasoda vedano il loro incontro in maniera totalmente diversa e che poi l’IA-fungo-senziente ci metta il suo zampino nel complicare il tutto: più o meno…
Nel complesso la seguente puntata mi pare ben riuscita giocando sul duplice equivoco: Pescasoda pensa che Strabuccinator sia il suo istruttore sostituto mentre Strabuccino crede di essere all’interno del gioco per adulti FhF. Chiaramente le situazioni divengono sempre più paradossali e assurde e richiedono che il lettore non stia a riflettere troppo sul realismo di questo o quello.
All’epoca, nell’estate del 2022 (incredibile: già due anni!), avevo scoperto le lattine Monsters e si discuteva della potenza dei sistemi HIMARS americani che avrebbero ribaltato le sorti della guerra a favore dell’Ucraina. Ecco quindi che dei riflessi di questi eventi scivolarono nella mia storia. Soprattutto, come si capisce dal titolo, la lattina vi scivolò dentro…
Poi, onestamente, non c’è altro che possa aggiungere senza svelare troppo della trama: la scena si svolge in un unico ambiente ed è affrontata da due punti di vista. Ma quello che effettivamente succede è piuttosto lineare e semplice da seguire…
Che punteggio dare alla puntata? Difficile stabilirlo: sono di parte ma mi sembra già discreta: 6½/10
Ah! mi sono appena accorto che mi ero dimenticato di assegnare il relativo punteggio alla puntata precedente: così, senza rifletterci troppo, direi 2/10 dato che c’era solo Pescasoda che correva sul tappeto scorrevole...
Riassunto puntata precedente:
Nello scorso episodio c’è stato il primo contatto fra Pescasoda e Strabuccinator e abbiamo seguito la scena dagli occhi di Pescasoda e da quelli, anzi dallo schermo, di Strabuccino.
Pescasoda è nella palestra della propria villa e si sta riscaldando per poi allenarsi: crede anzi che Strabuccinator sia il sostituto inviatole dal proprio allenatore personale misteriosamente finito in ospedale il giorno prima...
In questa puntata osserveremo come Strabuccino e Pescasoda vedano il loro incontro in maniera totalmente diversa e che poi l’IA-fungo-senziente ci metta il suo zampino nel complicare il tutto: più o meno…
Nel complesso la seguente puntata mi pare ben riuscita giocando sul duplice equivoco: Pescasoda pensa che Strabuccinator sia il suo istruttore sostituto mentre Strabuccino crede di essere all’interno del gioco per adulti FhF. Chiaramente le situazioni divengono sempre più paradossali e assurde e richiedono che il lettore non stia a riflettere troppo sul realismo di questo o quello.
All’epoca, nell’estate del 2022 (incredibile: già due anni!), avevo scoperto le lattine Monsters e si discuteva della potenza dei sistemi HIMARS americani che avrebbero ribaltato le sorti della guerra a favore dell’Ucraina. Ecco quindi che dei riflessi di questi eventi scivolarono nella mia storia. Soprattutto, come si capisce dal titolo, la lattina vi scivolò dentro…
Poi, onestamente, non c’è altro che possa aggiungere senza svelare troppo della trama: la scena si svolge in un unico ambiente ed è affrontata da due punti di vista. Ma quello che effettivamente succede è piuttosto lineare e semplice da seguire…
Che punteggio dare alla puntata? Difficile stabilirlo: sono di parte ma mi sembra già discreta: 6½/10
Ah! mi sono appena accorto che mi ero dimenticato di assegnare il relativo punteggio alla puntata precedente: così, senza rifletterci troppo, direi 2/10 dato che c’era solo Pescasoda che correva sul tappeto scorrevole...
domenica 19 maggio 2024
La borghesia (2/2)
Non ne ho molta voglia ma siccome sono un bloggatore diligente ho deciso di scrivere il seguito di La Borghesia (1/2)…
Riprendo, più o meno, da dove avevo lasciato, il quarto sottocapitolo.
4. Provo a riassumere ma non è semplice. La borghesia ha un problema di identità: i super ricchi se ne stanno staccando, nuovi ricchi aspirano a entrarvi arrivando dal basso. La crescita della popolazione delle città accentua il problema di conoscersi e identificarsi. Per questo si inizia a inseguire un particolare stile di vita che caratterizzi come borghesi chi l’adotta.
Uno di questi segni di riconoscimento è il tempo libero: chi è ricco non ha bisogno di lavorare e lo dimostra dedicandosi a nuove attività per il piacere di compierle.
In questo senso si sviluppano vari sport: ma è importante che chi li pratica non sia pagato per farlo altrimenti vi potrebbero competervi anche i lavoratori.
Così Hobsbawm spiega la sottolineatura del dilettantismo nella riedizione delle olimpiadi moderne: gli unici dilettanti che avevano abbastanza tempo libero per eccellere in un dato sport dovevano inevitabilmente essere ricchi.
Il golf fu coscientemente inventato per escludere i meno ricchi che non potevano permettersi di accedere ai suoi campi.
Hobsbawm sottolinea anche l’importanza socializzatrice di queste attività che mettevano insieme persone della stessa fascia sociale, sia uomini che donne.
Come sappiamo alcune attività sportive, come il calcio, appassionarono anche le classi lavoratrici. Qui lo scopo, aggiungo io, non era tanto aggregare insieme quanto distrarre...
5. Ancora sul tempo libero: altri suoi usi. Beneficenza e filantropismo; competizione fra super ricchi; la ricchezza porta a sviluppo cultura e arte.
Bastava relativamente poco per vita agiata.
6. Ho la sensazione che parte delle incertezze della borghesia fossero frutto anche dei rapidi progressi: nuove tecnologie modificano la vita quotidiana e questa, come sappiamo, alla lunga determina la morale. Ovvero causa il ricambio e l’evoluzione di epomiti ed equimiti.
La borghesia della Germania, gigante economico e scientifico, era meno liberale di quella francese e inglese.
Interessante un altro accenno: il liberalismo entra in crisi con la Grande Depressione: il suo posto viene preso dal conservatorismo e poi da sinistra e destra.
Mi chiedo: vi è una relazione fra ricchezza e libertà? Meno ricchezza porta a meno libertà anche sul piano giuridico e sociale?
Le crisi economiche di inizio XXI secolo farebbero pensare così: paradossalmente chi è troppo impegnato a sopravvivere ha meno tempo per interessarsi e difendere i propri diritti e libertà.
Tutto qui: decisamente la prima parte del capitolo era più interessante: qui sostanzialmente si ripetono più volte gli stessi concetti approfondendo questo e quello. Nelle mie note c’era un solo [B] con cui indico gli spunti utili per il ghiribizzo che però poi, ricontrollandolo, non mi è più parso sufficientemente interessante.
Conclusione: pezzo anodino oggi ma ha di buono che me lo sono tolto. Comunque nel frattempo ero andato avanti nella lettura del capitolo successivo sulle donne e l’emancipazione femminile. Fenomeno su cui, in realtà, non si sa moltissimo: nel senso che le femministe provenivano praticamente tutte dalle classi medie e alte e non sappiamo quindi quali fossero i pensieri della stragrande maggioranza delle donne. La sensazione di Hobsbawm, se interpreto bene le sue caute parole, era che queste fossero più interessate ai problemi della vita quotidiana che a questioni percepite di scarso impatto pratico come poteva essere il voto politico. Le “femministe” in effetti, avevano tutte la servitù che badava alla loro casa e questo doveva evidentemente provocare un distacco con le necessità e bisogni delle donne comuni. Un altro esempio di come la ricchezza permetta un uso innovativo del tempo libero.
Riprendo, più o meno, da dove avevo lasciato, il quarto sottocapitolo.
4. Provo a riassumere ma non è semplice. La borghesia ha un problema di identità: i super ricchi se ne stanno staccando, nuovi ricchi aspirano a entrarvi arrivando dal basso. La crescita della popolazione delle città accentua il problema di conoscersi e identificarsi. Per questo si inizia a inseguire un particolare stile di vita che caratterizzi come borghesi chi l’adotta.
Uno di questi segni di riconoscimento è il tempo libero: chi è ricco non ha bisogno di lavorare e lo dimostra dedicandosi a nuove attività per il piacere di compierle.
In questo senso si sviluppano vari sport: ma è importante che chi li pratica non sia pagato per farlo altrimenti vi potrebbero competervi anche i lavoratori.
Così Hobsbawm spiega la sottolineatura del dilettantismo nella riedizione delle olimpiadi moderne: gli unici dilettanti che avevano abbastanza tempo libero per eccellere in un dato sport dovevano inevitabilmente essere ricchi.
Il golf fu coscientemente inventato per escludere i meno ricchi che non potevano permettersi di accedere ai suoi campi.
Hobsbawm sottolinea anche l’importanza socializzatrice di queste attività che mettevano insieme persone della stessa fascia sociale, sia uomini che donne.
Come sappiamo alcune attività sportive, come il calcio, appassionarono anche le classi lavoratrici. Qui lo scopo, aggiungo io, non era tanto aggregare insieme quanto distrarre...
5. Ancora sul tempo libero: altri suoi usi. Beneficenza e filantropismo; competizione fra super ricchi; la ricchezza porta a sviluppo cultura e arte.
Bastava relativamente poco per vita agiata.
6. Ho la sensazione che parte delle incertezze della borghesia fossero frutto anche dei rapidi progressi: nuove tecnologie modificano la vita quotidiana e questa, come sappiamo, alla lunga determina la morale. Ovvero causa il ricambio e l’evoluzione di epomiti ed equimiti.
La borghesia della Germania, gigante economico e scientifico, era meno liberale di quella francese e inglese.
Interessante un altro accenno: il liberalismo entra in crisi con la Grande Depressione: il suo posto viene preso dal conservatorismo e poi da sinistra e destra.
Mi chiedo: vi è una relazione fra ricchezza e libertà? Meno ricchezza porta a meno libertà anche sul piano giuridico e sociale?
Le crisi economiche di inizio XXI secolo farebbero pensare così: paradossalmente chi è troppo impegnato a sopravvivere ha meno tempo per interessarsi e difendere i propri diritti e libertà.
Tutto qui: decisamente la prima parte del capitolo era più interessante: qui sostanzialmente si ripetono più volte gli stessi concetti approfondendo questo e quello. Nelle mie note c’era un solo [B] con cui indico gli spunti utili per il ghiribizzo che però poi, ricontrollandolo, non mi è più parso sufficientemente interessante.
Conclusione: pezzo anodino oggi ma ha di buono che me lo sono tolto. Comunque nel frattempo ero andato avanti nella lettura del capitolo successivo sulle donne e l’emancipazione femminile. Fenomeno su cui, in realtà, non si sa moltissimo: nel senso che le femministe provenivano praticamente tutte dalle classi medie e alte e non sappiamo quindi quali fossero i pensieri della stragrande maggioranza delle donne. La sensazione di Hobsbawm, se interpreto bene le sue caute parole, era che queste fossero più interessate ai problemi della vita quotidiana che a questioni percepite di scarso impatto pratico come poteva essere il voto politico. Le “femministe” in effetti, avevano tutte la servitù che badava alla loro casa e questo doveva evidentemente provocare un distacco con le necessità e bisogni delle donne comuni. Un altro esempio di come la ricchezza permetta un uso innovativo del tempo libero.
sabato 18 maggio 2024
Il suo credo, il suo pensiero
Sto rimanendo indietro sui pezzi che DOVREI scrivere: ovvero che scrivo, soprattutto per me stesso, che mi aiutano a memorizzare quanto leggo. In particolare avrei Huxley e Hobsbawm…
Invece voglio cambiare un po’ e scrivere del mio libro su Gandhi: Il mio credo, il mio pensiero di Gandhi, (E.) Newton, 1992, trad. Lucio Angelini.
Come ho già spiegato ne sono abbastanza deluso: si tratta di una vasta collezione di dichiarazioni di Gandhi, in genere lunghe al massimo mezza pagina, su vari argomenti che, evidentemente, gli stavano a cuore: la non violenza, la fede, la verità, l’India e simili.
Tempo fa sono arrivato alla conclusione che Gandhi fosse un mistico e che, se fosse nato in un’altra epoca, avrebbe potuto essere il fondatore di una religione.
A questa riflessione ne è seguita un’altra: i mistici hanno poi bisogno di un organizzatore razionale che metta coerenza e giustifichi le inevitabili incoerenze multiple disseminate dal primo (*1)!
Altrimenti il mistico rischia di sembrare superficiale e ingenuo.
Comunque questa è la mia sensazione: evidentemente Gandhi è una figura ammirevole che impressiona per i suoi principi e forza di carattere. Contemporaneamente trovo però le sue idee superficiali, talvolta banali. Sì, lo so: probabilmente al lettore occasionale sembrerò presuntuoso…
In parecchie situazioni Gandhi non riesce a spiegare le sue motivazioni ma si limita a un “sentire”: percepisce che Dio è verità, che è bontà e simili; oppure che alcune verità sono inintelligibili e fuori dalla portata umana. Insomma spesso rimango insoddisfatto da quanto leggo (*2).
Comunque ieri sera ho trovato una serie di pensieri che mi sono piaciuti.
Gandhi cerca di spiegare come mai dio, che come accennato corrisponde a bontà, permetta il male nel mondo. Ovviamente Gandhi, non analizza il problema come sarebbe piaciuto a me e, come al solito, si ritira in un’affermazione del tipo che non ha la presunzione di capire quale sia la volontà di Dio. Ma fortunatamente aggiunge anche una precisazione importante e utile: «Dire che Dio permette il male in questo mondo può non essere piacevole per l’orecchio. Ma se Lo si ritiene responsabile del bene, ne segue che dev’essere responsabile anche del male. […] Forse, la causa profonda della perplessità sorge da una mancanza di reale comprensione di ciò che Dio è. Dio non è una persona. Egli trascende ogni definizione. È il Legislatore, la Legge e l’Esecutore.» (*3)
Ecco, credo che la tendenza di pensare a Dio non solo in forma antropomorfica ma anche di attribuirgli pensieri e razionalità umana sia molto primitiva. Da altri pensieri mi è parso di capire che Gandhi veda Dio non come un’entità ma come un’essenza assoluta. Una forza che obbedisce alle proprie leggi non ossessionata dall’Uomo, nel senso che non l'ha posto al centro di niente.
Tutto qui…
Tanto per dare un po’ più di spessore a questo pezzo aggiungo qualche considerazione sulla visione di Gandhi delle altre religioni, principalmente cristiana e musulmana.
Beh, Gandhi pur essendo convinto fedele induista si dichiara molto tollerante verso le altre religioni.
Io credo dipenda in parte al suo carattere liberale e in parte alla tolleranza tipica dei politeismi: alla fine ho la sensazione che Gandhi consideri il Dio cristiano e musulmano come particolari rappresentazioni dell’unica essenza divina, forse di Atman o di Brahman: come se, per esempio, la Trinità cristiana fosse un’altra maniera di considerare la Trimurti (Brahma (*4), Vishnu e Shiva).
Curiosamente non accenna al sikhismo…
Ricordo che un mio amico sikh non aveva una buona opinione di Gandhi: però non indagai… Mi sembra che accennò a un cattivo trattamento verso i sikh. Ipotizzo che i sikh fossero più vicini agli inglesi e, quindi, in opposizione all’idea di indipendenza indiana pensata da Gandhi.
Fatemi indagare…
Uhm… parecchie cause, principalmente politiche e religiose… ah! e, diversamente da quanto avevo sospettato, ci fu un massacro inglese dove perirono molti sikh che Gandhi non condannò “abbastanza”…
La mia sensazione è che Gandhi antepose gli interessi politici dell’India a quelli della comunità dei sikh.
Conclusione: ho sempre la speranza che il libro divenga più interessante quando/se verranno affrontati dei temi più concreti/politici e meno filosofici/religiosi.
Nota (*1): Tipo San Paolo per Gesù…
Nota (*2): Su cento pagine che ho letto ho trovato solo una potenziale epigrafe! Beh, anche perché, come detto, tratta argomenti filosofici/religiosi che poco hanno a che fare con la mie Epitome…
Nota (*3): Tratto da Il mio credo, il mio pensiero di Gandhi, (E.) Newton, 1992, trad. Lucio Angelini, pag. 100.
Nota (*4): Attenzione! Brahman e Brahma sono due concetti diversi dove il secondo è parte del primo che, a sua volta, si sovrappone all’anima universale Atman.
Invece voglio cambiare un po’ e scrivere del mio libro su Gandhi: Il mio credo, il mio pensiero di Gandhi, (E.) Newton, 1992, trad. Lucio Angelini.
Come ho già spiegato ne sono abbastanza deluso: si tratta di una vasta collezione di dichiarazioni di Gandhi, in genere lunghe al massimo mezza pagina, su vari argomenti che, evidentemente, gli stavano a cuore: la non violenza, la fede, la verità, l’India e simili.
Tempo fa sono arrivato alla conclusione che Gandhi fosse un mistico e che, se fosse nato in un’altra epoca, avrebbe potuto essere il fondatore di una religione.
A questa riflessione ne è seguita un’altra: i mistici hanno poi bisogno di un organizzatore razionale che metta coerenza e giustifichi le inevitabili incoerenze multiple disseminate dal primo (*1)!
Altrimenti il mistico rischia di sembrare superficiale e ingenuo.
Comunque questa è la mia sensazione: evidentemente Gandhi è una figura ammirevole che impressiona per i suoi principi e forza di carattere. Contemporaneamente trovo però le sue idee superficiali, talvolta banali. Sì, lo so: probabilmente al lettore occasionale sembrerò presuntuoso…
In parecchie situazioni Gandhi non riesce a spiegare le sue motivazioni ma si limita a un “sentire”: percepisce che Dio è verità, che è bontà e simili; oppure che alcune verità sono inintelligibili e fuori dalla portata umana. Insomma spesso rimango insoddisfatto da quanto leggo (*2).
Comunque ieri sera ho trovato una serie di pensieri che mi sono piaciuti.
Gandhi cerca di spiegare come mai dio, che come accennato corrisponde a bontà, permetta il male nel mondo. Ovviamente Gandhi, non analizza il problema come sarebbe piaciuto a me e, come al solito, si ritira in un’affermazione del tipo che non ha la presunzione di capire quale sia la volontà di Dio. Ma fortunatamente aggiunge anche una precisazione importante e utile: «Dire che Dio permette il male in questo mondo può non essere piacevole per l’orecchio. Ma se Lo si ritiene responsabile del bene, ne segue che dev’essere responsabile anche del male. […] Forse, la causa profonda della perplessità sorge da una mancanza di reale comprensione di ciò che Dio è. Dio non è una persona. Egli trascende ogni definizione. È il Legislatore, la Legge e l’Esecutore.» (*3)
Ecco, credo che la tendenza di pensare a Dio non solo in forma antropomorfica ma anche di attribuirgli pensieri e razionalità umana sia molto primitiva. Da altri pensieri mi è parso di capire che Gandhi veda Dio non come un’entità ma come un’essenza assoluta. Una forza che obbedisce alle proprie leggi non ossessionata dall’Uomo, nel senso che non l'ha posto al centro di niente.
Tutto qui…
Tanto per dare un po’ più di spessore a questo pezzo aggiungo qualche considerazione sulla visione di Gandhi delle altre religioni, principalmente cristiana e musulmana.
Beh, Gandhi pur essendo convinto fedele induista si dichiara molto tollerante verso le altre religioni.
Io credo dipenda in parte al suo carattere liberale e in parte alla tolleranza tipica dei politeismi: alla fine ho la sensazione che Gandhi consideri il Dio cristiano e musulmano come particolari rappresentazioni dell’unica essenza divina, forse di Atman o di Brahman: come se, per esempio, la Trinità cristiana fosse un’altra maniera di considerare la Trimurti (Brahma (*4), Vishnu e Shiva).
Curiosamente non accenna al sikhismo…
Ricordo che un mio amico sikh non aveva una buona opinione di Gandhi: però non indagai… Mi sembra che accennò a un cattivo trattamento verso i sikh. Ipotizzo che i sikh fossero più vicini agli inglesi e, quindi, in opposizione all’idea di indipendenza indiana pensata da Gandhi.
Fatemi indagare…
Uhm… parecchie cause, principalmente politiche e religiose… ah! e, diversamente da quanto avevo sospettato, ci fu un massacro inglese dove perirono molti sikh che Gandhi non condannò “abbastanza”…
La mia sensazione è che Gandhi antepose gli interessi politici dell’India a quelli della comunità dei sikh.
Conclusione: ho sempre la speranza che il libro divenga più interessante quando/se verranno affrontati dei temi più concreti/politici e meno filosofici/religiosi.
Nota (*1): Tipo San Paolo per Gesù…
Nota (*2): Su cento pagine che ho letto ho trovato solo una potenziale epigrafe! Beh, anche perché, come detto, tratta argomenti filosofici/religiosi che poco hanno a che fare con la mie Epitome…
Nota (*3): Tratto da Il mio credo, il mio pensiero di Gandhi, (E.) Newton, 1992, trad. Lucio Angelini, pag. 100.
Nota (*4): Attenzione! Brahman e Brahma sono due concetti diversi dove il secondo è parte del primo che, a sua volta, si sovrappone all’anima universale Atman.
venerdì 17 maggio 2024
19. Il sostituto irregolare
Sono già passati 5 giorni ed è quindi giunto il momento di una nuova puntata di Strabuccinator!
Premetto che mi ero dimenticato di segnalare che con la puntata 17. Tripla Gaffe mi era scattato qualcosa, come se avessi superato un blocco nella mia fantasia. Perché in verità le prime quindici (circa) puntate non brillavano (relativamente) per originalità nella parte erotica.
Ecco, nelle prossime puntate, mi pare, di essere riuscito a liberare maggiormente la mia immaginazione…
Voglio poi iniziare a riassumere le parti precedenti: ovviamente oggi sarà un po’ particolare dato che devo sintetizzare 18 puntate in pochi paragrafi…
La storia inizia in un’anonima sala riunioni dello SHITS, un’agenzia governativa statunitense a cui vengono affidati i casi più difficili e misteriosi: non per nulla il suo personale proviene da diverse agenzie e corpi militari.
A capo della squadra dello SHITS c’è il colonnello Kack: un uomo duro, risoluto, forse impulsivo e di sicuro iracondo.
Alla squadra è stato affidato un caso straordinario: una creatura misteriosa sta approfittandosi di varie giovani donne che immancabilmente rimangono incinte di bimbi composti di materia fecale e fungosa.
Inizialmente la squadra indaga la vicenda delle tre sorelle Packman ma successivamente si aggiungono i casi di Cavolina Fushan e di Baccabriciola Buzzurro. Per questo terzo episodio vi è addirittura un video completo che riprende l’intera orribile vicenda.
Veniamo così a conoscere dei nuovi agenti oltre al colonnello: il bello ma silenzioso capitano Scott Jr. Mac Burgerein, il vizioso Ingegnere, il loquace padre Rucola e altri. Ma soprattutto emerge la figura della bellissima dottoressa von Krausslofter: non solo fornita di 3 o 4 lauree ma anche bionda e tenera. La dottoressa, come unica donna (biologica) della squadra sente un po’ la pressione e non sempre riesce a soddisfare le aspettative del colonnello col quale sviluppa un difficile rapporto (di lavoro). Si sviluppa anche una romanticissima storia d’amore fra il capitano Mac Burgerein e la dottoressa Saltenberg. Una donna dalla personalità non priva di ombre e dall’infanzia non facile, forse all’origine dei suoi lati caratteriali più scuri: per adesso è emersa una certa passionale intraprendenza di cui l’Ingegnere cade vittima, una tendenza a mentire per raggiungere i propri scopi e a usare il proprio aspetto per cercare di manipolare (inutilmente) il direttore della squadra, il colonnello Snurf.
Delle tre sorelle Packman, di Cavolina e Baccabriciola non starò a ripetere niente perché comunque il loro ruolo nella storia è praticamente esaurito. Del terribile mostro, il verdastro Strabuccinator, non sappiamo molto: ha una forza terribile, resiste alle ferite, produce spore allucinogene, sa dire solo poche parole e sembra indifferente alla sofferenza che provoca, desideroso solo di saziare le sue indicibili voglie carnali.
Nella scorsa puntata però si inizia a capire qualcosa di più: ha fatto finalmente la sua comparsa Strabuccino. Si è capito che Strabuccino sta giocando a un nuovo gioco per adulti con numerosi accessori per la realtà virtuale prodotti da terze parti: il problema è che Strabuccino non è un uomo come gli altri e ha infettato il proprio calcolatore, e chissà quanti altri elaboratori in giro per il mondo, con una specie di virus fungino che ha dato vita a un micelio virtuale intelligente distribuito su più calcolatori il cui scopo primario è quello di soddisfare i desideri del suo ignaro creatore, Strabuccino appunto.
Un’altra difficoltà è che Strabuccino, dopo aver speso diverse migliaia di euro per i diversi accessori, non ha intenzione di pagare ben 20€ per il gioco completo e quindi si limita a usare una versione dimostrativa che però ha parecchie limitazioni...
La puntata finisce con Strabuccino che si appresta a registrare una propria partita: ha finalmente raggiunto l’abitazione di Pescasoda che, come sappiamo, sposò il Cavaliere Furbo (*1).
Vediamo cosa posso anticipare delle nuova puntata…
Beh, si tratta di un episodio interlocutorio e piuttosto corto: come ho già ripetuto più volto il motivo è che ho tagliato il racconto con l’accetta per farne diverse parti da pubblicare a puntate ma idealmente i capitoli sarebbero stati molto più lunghi.
I punti di vista stavolta sono due: quello di Pescasoda e quello di Strabuccino. Come ormai sappiamo Strabuccino è convinto di stare giocando a un gioco per adulti.
Indirettamente si capiscono parecchie stranezze di Strabuccinator come le difficoltà nei movimenti e le strane frasi sempre uguali…
Nota (*1): Ecco le varie puntate dell’avventura con Strabuccino e Pescasoda:
http://parole-sante.blogspot.com/2013/09/lo-strabuccino-azzurro-14.html
http://parole-sante.blogspot.com/2013/09/lo-strabuccino-azzurro-24.html
http://parole-sante.blogspot.com/2013/09/lo-strabuccino-azzurro-34.html
http://parole-sante.blogspot.com/2013/09/lo-strabuccino-azzurro-44.html
Premetto che mi ero dimenticato di segnalare che con la puntata 17. Tripla Gaffe mi era scattato qualcosa, come se avessi superato un blocco nella mia fantasia. Perché in verità le prime quindici (circa) puntate non brillavano (relativamente) per originalità nella parte erotica.
Ecco, nelle prossime puntate, mi pare, di essere riuscito a liberare maggiormente la mia immaginazione…
Voglio poi iniziare a riassumere le parti precedenti: ovviamente oggi sarà un po’ particolare dato che devo sintetizzare 18 puntate in pochi paragrafi…
La storia inizia in un’anonima sala riunioni dello SHITS, un’agenzia governativa statunitense a cui vengono affidati i casi più difficili e misteriosi: non per nulla il suo personale proviene da diverse agenzie e corpi militari.
A capo della squadra dello SHITS c’è il colonnello Kack: un uomo duro, risoluto, forse impulsivo e di sicuro iracondo.
Alla squadra è stato affidato un caso straordinario: una creatura misteriosa sta approfittandosi di varie giovani donne che immancabilmente rimangono incinte di bimbi composti di materia fecale e fungosa.
Inizialmente la squadra indaga la vicenda delle tre sorelle Packman ma successivamente si aggiungono i casi di Cavolina Fushan e di Baccabriciola Buzzurro. Per questo terzo episodio vi è addirittura un video completo che riprende l’intera orribile vicenda.
Veniamo così a conoscere dei nuovi agenti oltre al colonnello: il bello ma silenzioso capitano Scott Jr. Mac Burgerein, il vizioso Ingegnere, il loquace padre Rucola e altri. Ma soprattutto emerge la figura della bellissima dottoressa von Krausslofter: non solo fornita di 3 o 4 lauree ma anche bionda e tenera. La dottoressa, come unica donna (biologica) della squadra sente un po’ la pressione e non sempre riesce a soddisfare le aspettative del colonnello col quale sviluppa un difficile rapporto (di lavoro). Si sviluppa anche una romanticissima storia d’amore fra il capitano Mac Burgerein e la dottoressa Saltenberg. Una donna dalla personalità non priva di ombre e dall’infanzia non facile, forse all’origine dei suoi lati caratteriali più scuri: per adesso è emersa una certa passionale intraprendenza di cui l’Ingegnere cade vittima, una tendenza a mentire per raggiungere i propri scopi e a usare il proprio aspetto per cercare di manipolare (inutilmente) il direttore della squadra, il colonnello Snurf.
Delle tre sorelle Packman, di Cavolina e Baccabriciola non starò a ripetere niente perché comunque il loro ruolo nella storia è praticamente esaurito. Del terribile mostro, il verdastro Strabuccinator, non sappiamo molto: ha una forza terribile, resiste alle ferite, produce spore allucinogene, sa dire solo poche parole e sembra indifferente alla sofferenza che provoca, desideroso solo di saziare le sue indicibili voglie carnali.
Nella scorsa puntata però si inizia a capire qualcosa di più: ha fatto finalmente la sua comparsa Strabuccino. Si è capito che Strabuccino sta giocando a un nuovo gioco per adulti con numerosi accessori per la realtà virtuale prodotti da terze parti: il problema è che Strabuccino non è un uomo come gli altri e ha infettato il proprio calcolatore, e chissà quanti altri elaboratori in giro per il mondo, con una specie di virus fungino che ha dato vita a un micelio virtuale intelligente distribuito su più calcolatori il cui scopo primario è quello di soddisfare i desideri del suo ignaro creatore, Strabuccino appunto.
Un’altra difficoltà è che Strabuccino, dopo aver speso diverse migliaia di euro per i diversi accessori, non ha intenzione di pagare ben 20€ per il gioco completo e quindi si limita a usare una versione dimostrativa che però ha parecchie limitazioni...
La puntata finisce con Strabuccino che si appresta a registrare una propria partita: ha finalmente raggiunto l’abitazione di Pescasoda che, come sappiamo, sposò il Cavaliere Furbo (*1).
Vediamo cosa posso anticipare delle nuova puntata…
Beh, si tratta di un episodio interlocutorio e piuttosto corto: come ho già ripetuto più volto il motivo è che ho tagliato il racconto con l’accetta per farne diverse parti da pubblicare a puntate ma idealmente i capitoli sarebbero stati molto più lunghi.
I punti di vista stavolta sono due: quello di Pescasoda e quello di Strabuccino. Come ormai sappiamo Strabuccino è convinto di stare giocando a un gioco per adulti.
Indirettamente si capiscono parecchie stranezze di Strabuccinator come le difficoltà nei movimenti e le strane frasi sempre uguali…
Nota (*1): Ecco le varie puntate dell’avventura con Strabuccino e Pescasoda:
http://parole-sante.blogspot.com/2013/09/lo-strabuccino-azzurro-14.html
http://parole-sante.blogspot.com/2013/09/lo-strabuccino-azzurro-24.html
http://parole-sante.blogspot.com/2013/09/lo-strabuccino-azzurro-34.html
http://parole-sante.blogspot.com/2013/09/lo-strabuccino-azzurro-44.html
mercoledì 15 maggio 2024
Superorganizzazione 2
Sarò bravo visto che mi sono tolto il peso di aver completato la nuova versione “Gnomica” dell’Epitome adesso ne approfitto per scrivere un po’ di “Ritorno al mondo nuovo” di Huxley: veramente anche troppo ricco di spunti!
Devo finire di commentare il capitolo sulla Superorganizzazione (v. l’omonimo Superorganizzazione).
Oramai ho perso un po’ il filo delle argomentazioni di Huxley quindi mi limiterò a commentare le mie note: vengono pezzi frammentari ma non necessariamente brutti…
A pochi mesi dall’inizio della pandemia, nella primavera del 2020, cominciai a riflettere sulle disposizioni di quarantena: in sintesi le trovavo eccessive nel senso che sembravano considerare la popolazione come composta da bambini irresponsabili e che quindi, per prevenire il comportamento sconsiderato di pochi, si ordinavano regole draconiane che colpivano tutti.
All’epoca non ero contrario alla quarantena (le ricerche che dimostrarono la sua sostanziale inutilità arrivarono molto dopo così come la confutazione di quelle basate su “modelli” (*1)) ma piuttosto alla sua rigidità che non lasciava spazio al buon senso individuale.
Arrivai alla conclusione che la popolazione non avrebbe dovuto essere obbligata ma resa più responsabile.
Il mio punto di partenza era: “Mettere insieme questi tre elementi (la libertà individuale, il valore intrinseco della libertà e l’esigenza di non diffondere la malattia) non è facile. La mia sensazione è che adesso, almeno in Italia, si stia eccedendo nella limitazione della libertà individuale: in parte per ragioni politiche, ovvero per nascondere lo scarso successo della quarantena criminalizzando i cittadini, e in parte, suppongo, in buona fede non sapendo che altro fare.”
La mia ricetta sarebbe stata dare più responsabilità alla popolazione: “Probabilmente io sarei per concedere più libertà, e quindi responsabilità, ai cittadini.”
E poi facevo un esempio: “Vuoi andare a trovare la fidanzata o i genitori che vivono altrove? Va bene: purché si sia pienamente consapevoli, da ambo le parti, dei rischi: ovvero se tu o loro avete avuto sintomi influenzali anche lievi nelle ultime due settimane potreste essere infetti e mettere quindi a rischio la salute dei rispettivi nuclei familiari. Ma se tu, la fidanzata e i genitori (e i rispettivi nuclei familiari) ne siete consapevoli allora ci dovrebbe essere la libertà di incontrarsi.
È evidente che, per leggerezza o errori di valutazioni, avremmo dei contagi e anche morti in più ma personalmente lo riterrei un prezzo equo per il valore della libertà.”
Il pezzo in questione è Libertà e salute ma ho la forte sensazione di essere poi ritornato più specificamente sulla relazione fra libertà e responsabilità.
Tornando a Huxley, che lo ripeto scrive nel 1958, la tendenza che avverte nella società occidentale è invece diversa: meno libertà individuale e più uniformità. Scrive «Ma la vita nelle grandi città non dà luogo alla salute mentale (ecco infatti la più alta incidenza della schizofrenia si ha proprio nei formicai dei quartieri urbani poveri); né sollecita quel tipo di libertà responsabile entro un gruppo capace di autogovernarsi, che è la condizione prima della democrazia effettiva.» (*2)
Ormai più lucidamente ho capito, e la gestione della pandemia mi è stata particolarmente istruttiva, che la tendenza è quella di ridurre la libertà e, di conseguenza, la responsabilità individuale.
Togliere la facoltà di scegliere equivale infatti a eliminare la necessità di essere responsabili: nessuna decisione significativa ci viene lasciata, dobbiamo limitarci a ubbidire. Contemporaneamente ci vengono date libertà illusorie e irrilevanti come scegliere il proprio pronome.
La pandemia ha solo esasperato ed evidenziato questo fenomeno.
Secondo Huxley (1958) si va formando una nuova etica le cui parole chiave sono: «adeguamento, adattamento, condotta socialmente orientata, appartenenza, acquisizione di capacità sociali, lavoro di squadra, vita di gruppo, lealtà di gruppo, dinamica di gruppo, pensiero di gruppo, creatività di gruppo.» (*3)
E poco dopo spiega: «il complesso sociale ha maggiore importanza e significato delle parti individuali; le differenze biologiche innate debbono sacrificarsi all’uniformità culturale» (*3).
E aggiungo che adesso siamo giunti perfino al paradosso di negare la realtà delle differenze biologiche individuali: ovvero la negazione della razionalità, il ritorno a un fideismo antiscientifico.
Perfetta questa sintesi: «Evidentemente l’odierna etica sociale altro non è se non una giustificazione a posteriori di alcuni effetti indesiderabili della superorganizzazione. È un pietoso tentativo di fare di necessità virtù, di trarre un valore positivo da un dato di fatto quanto mai negativo. È un sistema etico assai poco realistico, e quindi assai pericoloso.» (*4)
La ciliegina sulla torta è una considerazione filosofica che chiaramente ricalca il pensiero di Kant: «Mettere l’organizzazione davanti alla persona significa subordinare il fine al mezzo.» (*4)
Kant scrive nel XVIII secolo: questa è l’essenza dell’illuminismo, l’uomo è il fine non il mezzo, che ci ha portato alle libertà individuali. Ma ora, nella nostra gretta mentalità utilitaristica, nell’era del profittismo ([E] 14.4), il fine è divenuto il denaro e l’uomo il mezzo.
Così Huxley spiega il futuro distopico della propria visione: un potere apparentemente benevolo che non usa la violenza ma una persuasione occulta, subliminale e pervasiva: «Sotto le ben più efficienti dittature di domani ci sarà probabilmente meno violenza che sotto Hitler o Stalin. I soggetti di queste dittature saranno irregimentati, senza dolore, da squadre di addestratissimi ingegneri sociali.» (*5)
Ma, si potrebbe obiettare, gli intellettuali non tradiranno i propri principi etici, denunceranno eventuali abusi della scienza se questa è impiegata contro la popolazione. Più in generale chi informa la popolazione quando la scienza viene abusata?
Sfortunatamente abbiamo visto, sebbene in campo medico e non sociale/psicologico, che i principi degli scienziati si sciolgono come neve al sole quando avrebbero il dovere di combattere contro gli abusi da parte del potere della loro scienza.
Ma Huxley non è un idealista ingenuo quanto me: «Alla domanda “Quis custodiet custodes?”, cioè chi farà la guardia ai guardiani, chi regolerà l’ingegno agli ingegneri?, si risponde, con un blando sorriso, che non occorrono supervisori. Commovente la convinzione che pare diffusa fra i professori di sociologia: cioè che i professori di sociologia non si lasceranno mai corrompere dal potere.» (*5)
Conclusione: vorrei divorare rapidamente questo saggio ma la necessità di memorizzarne le idee mi fa procedere come una lumaca...
Nota (*1): nella mia modesta esperienza di simulazioni sono arrivato a concludere che le possiamo considerare equivalenti alle statistiche nel senso che è facile fargli dire tutto e il suo contrario. Dipende tutto dalla volontà di chi decide le impostazioni del modello…
Sembra che in media 9 su 10 di quelli usati durante la pandemia (spesso usati per giustificare la quarantena) fossero sballati.
Nota (*2): tratto da "Il mondo nuovo – Ritorno al mondo nuovo" di Aldous Huxley, (E.) Mondadori, 2023, trad. Lorenzo Gigli e Luciano Bianciardi, pag. 270.
Nota (*3): ibidem, pag. 271.
Nota (*4): ibidem, pag. 273.
Nota (*5): ibidem, pag. 274.
Devo finire di commentare il capitolo sulla Superorganizzazione (v. l’omonimo Superorganizzazione).
Oramai ho perso un po’ il filo delle argomentazioni di Huxley quindi mi limiterò a commentare le mie note: vengono pezzi frammentari ma non necessariamente brutti…
A pochi mesi dall’inizio della pandemia, nella primavera del 2020, cominciai a riflettere sulle disposizioni di quarantena: in sintesi le trovavo eccessive nel senso che sembravano considerare la popolazione come composta da bambini irresponsabili e che quindi, per prevenire il comportamento sconsiderato di pochi, si ordinavano regole draconiane che colpivano tutti.
All’epoca non ero contrario alla quarantena (le ricerche che dimostrarono la sua sostanziale inutilità arrivarono molto dopo così come la confutazione di quelle basate su “modelli” (*1)) ma piuttosto alla sua rigidità che non lasciava spazio al buon senso individuale.
Arrivai alla conclusione che la popolazione non avrebbe dovuto essere obbligata ma resa più responsabile.
Il mio punto di partenza era: “Mettere insieme questi tre elementi (la libertà individuale, il valore intrinseco della libertà e l’esigenza di non diffondere la malattia) non è facile. La mia sensazione è che adesso, almeno in Italia, si stia eccedendo nella limitazione della libertà individuale: in parte per ragioni politiche, ovvero per nascondere lo scarso successo della quarantena criminalizzando i cittadini, e in parte, suppongo, in buona fede non sapendo che altro fare.”
La mia ricetta sarebbe stata dare più responsabilità alla popolazione: “Probabilmente io sarei per concedere più libertà, e quindi responsabilità, ai cittadini.”
E poi facevo un esempio: “Vuoi andare a trovare la fidanzata o i genitori che vivono altrove? Va bene: purché si sia pienamente consapevoli, da ambo le parti, dei rischi: ovvero se tu o loro avete avuto sintomi influenzali anche lievi nelle ultime due settimane potreste essere infetti e mettere quindi a rischio la salute dei rispettivi nuclei familiari. Ma se tu, la fidanzata e i genitori (e i rispettivi nuclei familiari) ne siete consapevoli allora ci dovrebbe essere la libertà di incontrarsi.
È evidente che, per leggerezza o errori di valutazioni, avremmo dei contagi e anche morti in più ma personalmente lo riterrei un prezzo equo per il valore della libertà.”
Il pezzo in questione è Libertà e salute ma ho la forte sensazione di essere poi ritornato più specificamente sulla relazione fra libertà e responsabilità.
Tornando a Huxley, che lo ripeto scrive nel 1958, la tendenza che avverte nella società occidentale è invece diversa: meno libertà individuale e più uniformità. Scrive «Ma la vita nelle grandi città non dà luogo alla salute mentale (ecco infatti la più alta incidenza della schizofrenia si ha proprio nei formicai dei quartieri urbani poveri); né sollecita quel tipo di libertà responsabile entro un gruppo capace di autogovernarsi, che è la condizione prima della democrazia effettiva.» (*2)
Ormai più lucidamente ho capito, e la gestione della pandemia mi è stata particolarmente istruttiva, che la tendenza è quella di ridurre la libertà e, di conseguenza, la responsabilità individuale.
Togliere la facoltà di scegliere equivale infatti a eliminare la necessità di essere responsabili: nessuna decisione significativa ci viene lasciata, dobbiamo limitarci a ubbidire. Contemporaneamente ci vengono date libertà illusorie e irrilevanti come scegliere il proprio pronome.
La pandemia ha solo esasperato ed evidenziato questo fenomeno.
Secondo Huxley (1958) si va formando una nuova etica le cui parole chiave sono: «adeguamento, adattamento, condotta socialmente orientata, appartenenza, acquisizione di capacità sociali, lavoro di squadra, vita di gruppo, lealtà di gruppo, dinamica di gruppo, pensiero di gruppo, creatività di gruppo.» (*3)
E poco dopo spiega: «il complesso sociale ha maggiore importanza e significato delle parti individuali; le differenze biologiche innate debbono sacrificarsi all’uniformità culturale» (*3).
E aggiungo che adesso siamo giunti perfino al paradosso di negare la realtà delle differenze biologiche individuali: ovvero la negazione della razionalità, il ritorno a un fideismo antiscientifico.
Perfetta questa sintesi: «Evidentemente l’odierna etica sociale altro non è se non una giustificazione a posteriori di alcuni effetti indesiderabili della superorganizzazione. È un pietoso tentativo di fare di necessità virtù, di trarre un valore positivo da un dato di fatto quanto mai negativo. È un sistema etico assai poco realistico, e quindi assai pericoloso.» (*4)
La ciliegina sulla torta è una considerazione filosofica che chiaramente ricalca il pensiero di Kant: «Mettere l’organizzazione davanti alla persona significa subordinare il fine al mezzo.» (*4)
Kant scrive nel XVIII secolo: questa è l’essenza dell’illuminismo, l’uomo è il fine non il mezzo, che ci ha portato alle libertà individuali. Ma ora, nella nostra gretta mentalità utilitaristica, nell’era del profittismo ([E] 14.4), il fine è divenuto il denaro e l’uomo il mezzo.
Così Huxley spiega il futuro distopico della propria visione: un potere apparentemente benevolo che non usa la violenza ma una persuasione occulta, subliminale e pervasiva: «Sotto le ben più efficienti dittature di domani ci sarà probabilmente meno violenza che sotto Hitler o Stalin. I soggetti di queste dittature saranno irregimentati, senza dolore, da squadre di addestratissimi ingegneri sociali.» (*5)
Ma, si potrebbe obiettare, gli intellettuali non tradiranno i propri principi etici, denunceranno eventuali abusi della scienza se questa è impiegata contro la popolazione. Più in generale chi informa la popolazione quando la scienza viene abusata?
Sfortunatamente abbiamo visto, sebbene in campo medico e non sociale/psicologico, che i principi degli scienziati si sciolgono come neve al sole quando avrebbero il dovere di combattere contro gli abusi da parte del potere della loro scienza.
Ma Huxley non è un idealista ingenuo quanto me: «Alla domanda “Quis custodiet custodes?”, cioè chi farà la guardia ai guardiani, chi regolerà l’ingegno agli ingegneri?, si risponde, con un blando sorriso, che non occorrono supervisori. Commovente la convinzione che pare diffusa fra i professori di sociologia: cioè che i professori di sociologia non si lasceranno mai corrompere dal potere.» (*5)
Conclusione: vorrei divorare rapidamente questo saggio ma la necessità di memorizzarne le idee mi fa procedere come una lumaca...
Nota (*1): nella mia modesta esperienza di simulazioni sono arrivato a concludere che le possiamo considerare equivalenti alle statistiche nel senso che è facile fargli dire tutto e il suo contrario. Dipende tutto dalla volontà di chi decide le impostazioni del modello…
Sembra che in media 9 su 10 di quelli usati durante la pandemia (spesso usati per giustificare la quarantena) fossero sballati.
Nota (*2): tratto da "Il mondo nuovo – Ritorno al mondo nuovo" di Aldous Huxley, (E.) Mondadori, 2023, trad. Lorenzo Gigli e Luciano Bianciardi, pag. 270.
Nota (*3): ibidem, pag. 271.
Nota (*4): ibidem, pag. 273.
Nota (*5): ibidem, pag. 274.
martedì 14 maggio 2024
Gnomica
Didascalica, sentenziosa, gnomica… comunque la si voglia chiamare è pronta!
Finalmente ho aggiornato tutte le epigrafi dell’Epitome aggiungendone anche per i sottocapitoli.
L’associazione fra capitoli/sottocapitoli ed epigrafi l’ho fatta col mio programmino Java e, mi pare, il risultato sia stato discreto: probabilmente ancora sarei riuscito a sceglierle da solo ottenendo un risultato uguale se non migliore a quello del programma, ma siamo un po’ al limite perché il materiale fra cui scegliere è decisamente aumentato. Diciamo che avrei avutro il grande vantaggio di essere perfettamente in accordo col mio proprio gusto (!) mentre il calcolatore deve usare le valutazioni che gli ho inserito e agire di conseguenza.
Comunque siamo passati a 534 pagine dalle 522 precedenti: e questo anche se ho usato un carattere decisamente più piccolo per le epigrafi.
Di altre modifiche non ne ho fatte (praticamente): ho leggermente modificato il titolo di un sottocapitolo e una definizione del glossario su cui mi era cascato l’occhio.
Per questo la nuova versione diviene la 1.12.1…
Comunque è stata un’impresa: tutto quello che poteva andare storto l’ha fatto. Ho corretto strani bachi, ho cancellato per sbaglio (ben due volte) l’associazione migliore trovata. Ho cambiato il codice, ho introdotto nuovi errori, li ho corretti, ho dovuto modificare manualmente degli archivi JSON…
Ma ci sono stato un sacco di tempo!
Per il futuro ho deciso di introdurre nuove epigrafi via via: tutte insieme come stavolta è troppo laborioso e complesso.
Ah! Ogni capitolo ha tre epigrafi, sottocapitoli e appendici solo una. Gli autori più “abusati” sono Aristotele e Hobsbawm con sei epigrafi ciascuno e Rawls e Machiavelli con cinque.
I sottocapitoli senza epigrafi sono appena cinque: in realtà per uno di questi un’epigrafe ci sarebbe ma viene usata per un altro sottocapitolo…
Comunque col tempo ne aggiungerò altre e il punteggio relativo (attualmente 774,8252) salirà sempre di più. Proprio ieri sera ne ho trovata una buona di Gandhi!
Non so perché le epigrafi mi piacciano così tanto: sospetto che dipenda dal fatto che, sebbene indirettamente, autori importanti confermino quanto ho scritto. Talvolta la somiglianza è notevolissima sebbene il 99% delle volte ho trovato/letto l’epigrafe dopo aver scritto il mio pensiero. Alcune le ho inserite invece perché buffe. Ma la maggior parte tendono a sottolineare quanto ho scritto. Volendo poi queste epigrafi rappresentano una sorta di piccola (e incompleta) bibliografia dell’Epitome. Non completa perché solo negli ultimi anni ho iniziato a tener traccia e copiarmi a parte le varie epigrafi: quelle più vecchie le ho recuperate da questo ghiribizzo ma sono poca roba...
Conclusione: ah! per il nome in codice ho scelto “gnomica”...
Finalmente ho aggiornato tutte le epigrafi dell’Epitome aggiungendone anche per i sottocapitoli.
L’associazione fra capitoli/sottocapitoli ed epigrafi l’ho fatta col mio programmino Java e, mi pare, il risultato sia stato discreto: probabilmente ancora sarei riuscito a sceglierle da solo ottenendo un risultato uguale se non migliore a quello del programma, ma siamo un po’ al limite perché il materiale fra cui scegliere è decisamente aumentato. Diciamo che avrei avutro il grande vantaggio di essere perfettamente in accordo col mio proprio gusto (!) mentre il calcolatore deve usare le valutazioni che gli ho inserito e agire di conseguenza.
Comunque siamo passati a 534 pagine dalle 522 precedenti: e questo anche se ho usato un carattere decisamente più piccolo per le epigrafi.
Di altre modifiche non ne ho fatte (praticamente): ho leggermente modificato il titolo di un sottocapitolo e una definizione del glossario su cui mi era cascato l’occhio.
Per questo la nuova versione diviene la 1.12.1…
Comunque è stata un’impresa: tutto quello che poteva andare storto l’ha fatto. Ho corretto strani bachi, ho cancellato per sbaglio (ben due volte) l’associazione migliore trovata. Ho cambiato il codice, ho introdotto nuovi errori, li ho corretti, ho dovuto modificare manualmente degli archivi JSON…
Ma ci sono stato un sacco di tempo!
Per il futuro ho deciso di introdurre nuove epigrafi via via: tutte insieme come stavolta è troppo laborioso e complesso.
Ah! Ogni capitolo ha tre epigrafi, sottocapitoli e appendici solo una. Gli autori più “abusati” sono Aristotele e Hobsbawm con sei epigrafi ciascuno e Rawls e Machiavelli con cinque.
I sottocapitoli senza epigrafi sono appena cinque: in realtà per uno di questi un’epigrafe ci sarebbe ma viene usata per un altro sottocapitolo…
Comunque col tempo ne aggiungerò altre e il punteggio relativo (attualmente 774,8252) salirà sempre di più. Proprio ieri sera ne ho trovata una buona di Gandhi!
Non so perché le epigrafi mi piacciano così tanto: sospetto che dipenda dal fatto che, sebbene indirettamente, autori importanti confermino quanto ho scritto. Talvolta la somiglianza è notevolissima sebbene il 99% delle volte ho trovato/letto l’epigrafe dopo aver scritto il mio pensiero. Alcune le ho inserite invece perché buffe. Ma la maggior parte tendono a sottolineare quanto ho scritto. Volendo poi queste epigrafi rappresentano una sorta di piccola (e incompleta) bibliografia dell’Epitome. Non completa perché solo negli ultimi anni ho iniziato a tener traccia e copiarmi a parte le varie epigrafi: quelle più vecchie le ho recuperate da questo ghiribizzo ma sono poca roba...
Conclusione: ah! per il nome in codice ho scelto “gnomica”...
domenica 12 maggio 2024
Origine della guerra in Ucraina
In genere mi trovo d’accordo con quanto scrive e pensa UUiC con però una significativa eccezione: la lettura della situazione in Ucraina e, a rimorchio, della Russia.
In genere io, per carattere, non ho problemi con le opinioni diverse dalle mie: valuto se posso prenderne “pezzi” per migliorare la mia interpretazione del fatto/cosa e, semplicemente, ne prendo atto. Non sento cioè il bisogno di cercare di imporre la mia particolare visione: del resto, in genere, ho già spiegato quello che penso altrove ed è inutile che mi ripeta. Chi vuole convincersi di qualcosa lo farà mentre chi non vuole non lo farà: io posso condividere le mie argomentazioni ma è totalmente inutile insistere.
In questo caso però ho il dubbio di aver espresso il mio pensiero in maniera troppo frammentaria, magari su più pezzi e/o in risposta a qualche commento.
Mi sembra quindi possa valer la pena riassumere qui le mie argomentazioni sulla faccenda.
Ma quali sono i dettagli di questa “faccenda”?
Prendiamo il suo ultimo commento al pezzo Pericolo crescente: “Le nuvole all’orizzonte [...]”
Elenco le sue affermazioni:
1. Russi non immacolati né completamente dalla parte della ragione.
2. Ucraini hanno il diritto all’autodeterminazione.
3. Ucraini hanno subito gravi torti dai sovietici ed è naturale che non vogliano avere a che fare con i russi.
4. Che Putin voglia il bene dei russi non impedisce che faccia il male altrove.
5. I russi considerano l’Ucraina la Piccola Russia ma gli ucraini non si sentono parte della Russia.
(4 e 5) sono in combinazione fra loro: siccome 4 e 5 allora si è verificata la guerra in Ucraina.
6. Gli USA hanno approfittato della situazione usando gli ucraini contro la Russia.
Da questa lista emerge una convinzione di fondo che è alla base di molte, anche se non tutte, divergenze col mio punto di vista.
Chi ha voluto la guerra in Ucraina?
Secondo UUiC è stata l’ambizione imperialista di Putin, il voler ricreare una grande Russia, il motivo di fondo che ha causato la guerra: gli USA ne hanno solo semplicemente, e cinicamente, approfittato per far sì che il tentativo di conquista fallisse e che danneggiasse la Russia e, magari, portasse alla rimozione di Putin.
Secondo me invece la guerra è stata principalmente provocata dagli USA con l’ausilio dei suoi lacchè occidentali. Putin non è folle ma estremamente razionale: era chiaro che rompere con l’Occidente avrebbe rafforzato la Cina che tradizionalmente e strategicamente è rivale con la Russia. Di malavoglia la Russia è stata spinta fra le braccia di Pechino che, probabilmente, è la nazione che più sta guadagnando da questa guerra.
Strategicamente Putin voleva avvicinarsi sempre di più alla UE e insieme a essa, in prospettiva di lungo termine, avrebbe potuto creare un blocco di potere coeso indipendente dagli USA e capace di resistere alla Cina: questo non con Putin ma con i suoi successori; mi sembrava infatti una tendenza generazionale (25 anni). La Russia, pesce piccolo in Asia, avrebbe potuto essere la potenza egemone in Europa: questo era il piano a lungo termine di Putin.
Insomma dal punto di vista di Putin, che a differenza dei nostri guidoni, vuole il bene per il proprio paese e per la propria gente non aveva motivo di inimicarsi l’Europa e, anzi, nel tentativo di conservarne l’amicizia era giunto (a suo dire) a compromessi (gli accordi di Minsk) che adesso rimpiange.
Fin qui le mie teorie valide come qualsiasi altra opinione: vediamo quindi di supportarle non con prove (in genere arbitrarie) ma con la logica.
A. La guerra in Ucraina NON è iniziata nel 2022 ma nel 2014: l’esercito russo avrebbe avuto allora la possibilità di sconfiggere le forze di Kiev che all’epoca erano male equipaggiate. Allora intervenne l’Europa e, in particolare, Francia e Germania. Si giunse così agli accordi di Minsk che prevedevano:
1. Kiev indipendente ma non nella NATO.
2. Donbass (che all’epoca cercava la secessione) sotto il controllo di Kiev.
3. Protezione e tutela delle minoranze russe in Ucraina.
4. Disarmo delle truppe irregolari di ispirazione ideologica nazista.
Se lo scopo della Russia/Putin fosse stato quello di espandere il proprio territorio perché non farlo allora e aspettare invece otto anni durante i quali Kiev è stata finanziata e pesantemente armata dall’Occidente? Al contrario la Russia accettò quegli accordi, con Francia e Germania garanti, proprio perché voleva mantenere buone relazioni con l’Europa.
Ma l’Occidente era in malafede: gli stessi Merkel e Holland l’hanno confermato. A suo tempo ho condiviso i collegamenti ai relativi articoli. L’Occidente voleva la guerra ma aveva bisogno di tempo per armare l’Ucraina.
B. Già a marzo (o forse aprile?) del 2022 si era praticamente già raggiunto un accordo di pace, sulla falsariga del trattato di Minsk, fra Russia e Ucraina (vicenda confermata da mediatori ucraini). Accordo fatto saltare dall’Occidente, grazie alla “mediazione” diretta di Mastrociliegia, che voleva la guerra.
Perché la Russia avrebbe dovuto fare la pace con Kiev se voleva conquistare l’Ucraina?
Perché Boris, Mastrociliegia, Johnson dovette far saltare l’accordo se non perché l’Occidente voleva la guerra?
C. Alla domanda diretta di Carlson “se la Russia voleva conquistare l’Europa” Putin rispose sorridendo: “di terra ne abbiamo già abbastanza, che ce ne facciamo di altra?”.
Ovvio che ciò che afferma Putin non può essere considerata una prova ma bisogna ammettere che ha comunque molto senso: la Russia ha già terre e risorse in abbondanza e semmai, come ho spiegato, voleva l’amicizia con l’UE in funzione, sul lungo periodo, anti USA e Cina. Non è una prova ma di sicuro è un buon indizio!
Comunque in [E] 16.8, “Guerra fra Ucraina e Russia”, ho così riepilogato le ragioni del conflitto:
«Gli obiettivi della guerra:
La guerra è stata provocata dalla NATO: se la si fosse voluta evitare sarebbe stato sufficiente obbligare l’Ucraina a rispettare gli accordi di Minsk: in particolare lo scioglimento delle milizie neonaziste, protezione e parità di diritti per i cittadini russofoni, assicurare formalmente alla Russia che l’Ucraina non sarebbe mai entrata nella NATO e garantire una certa forma di autonomia alle autoproclamatesi repubbliche del Donbass. Sarebbe stato tutto facilmente fattibile se ve ne fosse stata la volontà ma così non è stato. Vediamo quindi quali erano gli obiettivi geopolitici di USA e
Russia.
Obiettivi USA:
- Se la Russia non avesse reagito portare l’Ucraina nella NATO; in caso contrario:
- Scavare un solco politico-economico fra Russia e UE anche a costo di impoverire l’UE.
- Giustificare l’aumento della spesa militare in funzione anti russa.
- Mantenere in Ucraina un fedele governo filo-occidentale.
- Una volta iniziata la guerra, prolungarla il più possibile in maniera da far pagare alla Russia il prezzo massimo in termini sia economici che di vite umane per arrivare alla sostituzione di Putin con un sostituto filo occidentale.
Obiettivi Russia:
- Evitare che l’Ucraina entri nella NATO.
- Proteggere e magari annettere le regioni a maggioranza russa.
- Una volta iniziata la guerra probabilmente occupare anche la zona costiera di Odessa prima di aprire le trattative di pace con l’Ucraina.
Come si vede da questo breve riepilogo solo gli USA avevano dei buoni motivi per volere la guerra: la Russia ne avrebbe volentieri fatto a meno ma vi è stata costretta dall’intransigenza occidentale e ucraina. Sembra che effettivamente, ad aprile 2022, l’Ucraina fosse disposta a percorrere la via diplomatica accettando la mediazione turca ma che tutto sia saltato a causa delle pressioni politiche occidentali, favorevoli al prolungamento della guerra, sul presidente ucraino. Probabilmente Putin pensava poi che i legami economici fra UE e Russia fossero abbastanza forti da prevenire sanzioni troppo pesanti: non aveva calcolato che l’obbedienza a Washington avrebbe portato agli eccessi autolesionistici di questi ultimi mesi da parte europea.
I risultati ottenuti:
Apparentemente gli USA hanno sbagliato completamente i propri calcoli. Vediamone di seguito il perché.
Risultati USA:
- Crisi del debito e inflazione negli USA.
- Profonda crisi economica nella UE.
- Indebolimento, forse fatale, degli alleati europei e rafforzamento dell’alleanza fra Russia e Cina.
- Spinta decisiva alla costituzione di un’alleanza in funzione anti occidentale costruita intorno ai paesi del BRICs ma non limitata a essi; spinta alla dedollarizzazione.
- L’Ucraina sta venendo completamente distrutta; conseguente crisi umanitaria.
- Molte delle armi inviate all’Ucraina sono finite sul mercato nero e, inevitabilmente, saranno acquistate anche da terroristi con conseguenze drammatiche.
Risultati Russia :
- La vittoria sull’Ucraina, nonostante gli aiuti occidentali, sembra essere vicina.
- L’idea di richiedere il pagamento in rubli per gas e petrolio si sta rivelando vincente: soprattutto in funzione anti dollaro. L’economia russa regge benissimo le sanzioni: l’eccesso di produzione sta venendo assorbito da Cina e India.
- Enorme crescita del prestigio sia Putin che della Russia che si tradurrà in maggiore influenza internazionale.
- Non solo il livello di approvazione di Putin all’interno del paese non è mai stato più alto ma anche all’estero è guardato con ammirazione.»
Quindi, tornando alle affermazioni di UUiC (che ripropongo qui di seguito):
1. Russi non immacolati né completamente dalla parte della ragione.
2. Ucraini hanno il diritto all’autodeterminazione.
3. Ucraini hanno subito gravi torti dai sovietici ed è naturale che non vogliano avere a che fare con i russi.
4. Che Putin voglia il bene dei russi non impedisce che faccia il male altrove.
5. I russi considerano l’Ucraina la Piccola Russia ma gli ucraini non si sentono parte della Russia.
(4 e 5) sono in combinazione fra loro: siccome 4 e 5 allora si è verificata la guerra in Ucraina.
6. Gli USA hanno approfittato della situazione usando gli ucraini contro la Russia.
- 1 è molto generica e quindi è quasi impossibile non essere d’accordo.
- 2 è vera: ma davvero pensiamo che l’Ucraina di oggi sia uno Stato sovrano e indipendente?
- 3 è un altro degli argomenti su cui insiste sempre UUiC: per me Russia e URSS sono due paesi totalmente diversi. L’URSS era effettivamente imperialista e vi era il comunismo; la Russia non è imperialista e vi è il capitalismo. Le differenze sarebbero molte di più ma fermiamoci alle ovvie e inequivocabili. Questo per dire che l’odio degli ucraini per i russi è stato nutrito negli ultimi decenni, probabilmente dall’indipendenza e soprattutto dopo il colpo di stato del 2014 che porta al potere un governo filo occidentale e anti russo.
Quindi sì, l’odio attuale degli ucraini per i russi è reali (e sicuramente è stato esacerbato dalla guerra) ma la sua origine non risale a fatti di 70-80 anni fa ma è molto più recente: per decenni, fino alla fine dell’URSS, russi e ucraini hanno convissuto insieme senza problemi.
- 4 è un'affermazione lapalissiana valida per qualsiasi politico: sono d’accordo per definizione.
- Anche 5 è vero ma il sentimento, almeno da parte ucraina, è stato volutamente esacerbato dal nazionalismo.
- Sul 6 potrei essere d’accordo sulla forma ma non nella sostanza: gli USA hanno sì approfittato della guerra ma, soprattutto, l’hanno progettata e provocata a partire dal colpo di stato del 2014 col “bollino” CIA…
Conclusione: pezzo inutilmente lungo, mi spiace...
In genere io, per carattere, non ho problemi con le opinioni diverse dalle mie: valuto se posso prenderne “pezzi” per migliorare la mia interpretazione del fatto/cosa e, semplicemente, ne prendo atto. Non sento cioè il bisogno di cercare di imporre la mia particolare visione: del resto, in genere, ho già spiegato quello che penso altrove ed è inutile che mi ripeta. Chi vuole convincersi di qualcosa lo farà mentre chi non vuole non lo farà: io posso condividere le mie argomentazioni ma è totalmente inutile insistere.
In questo caso però ho il dubbio di aver espresso il mio pensiero in maniera troppo frammentaria, magari su più pezzi e/o in risposta a qualche commento.
Mi sembra quindi possa valer la pena riassumere qui le mie argomentazioni sulla faccenda.
Ma quali sono i dettagli di questa “faccenda”?
Prendiamo il suo ultimo commento al pezzo Pericolo crescente: “Le nuvole all’orizzonte [...]”
Elenco le sue affermazioni:
1. Russi non immacolati né completamente dalla parte della ragione.
2. Ucraini hanno il diritto all’autodeterminazione.
3. Ucraini hanno subito gravi torti dai sovietici ed è naturale che non vogliano avere a che fare con i russi.
4. Che Putin voglia il bene dei russi non impedisce che faccia il male altrove.
5. I russi considerano l’Ucraina la Piccola Russia ma gli ucraini non si sentono parte della Russia.
(4 e 5) sono in combinazione fra loro: siccome 4 e 5 allora si è verificata la guerra in Ucraina.
6. Gli USA hanno approfittato della situazione usando gli ucraini contro la Russia.
Da questa lista emerge una convinzione di fondo che è alla base di molte, anche se non tutte, divergenze col mio punto di vista.
Chi ha voluto la guerra in Ucraina?
Secondo UUiC è stata l’ambizione imperialista di Putin, il voler ricreare una grande Russia, il motivo di fondo che ha causato la guerra: gli USA ne hanno solo semplicemente, e cinicamente, approfittato per far sì che il tentativo di conquista fallisse e che danneggiasse la Russia e, magari, portasse alla rimozione di Putin.
Secondo me invece la guerra è stata principalmente provocata dagli USA con l’ausilio dei suoi lacchè occidentali. Putin non è folle ma estremamente razionale: era chiaro che rompere con l’Occidente avrebbe rafforzato la Cina che tradizionalmente e strategicamente è rivale con la Russia. Di malavoglia la Russia è stata spinta fra le braccia di Pechino che, probabilmente, è la nazione che più sta guadagnando da questa guerra.
Strategicamente Putin voleva avvicinarsi sempre di più alla UE e insieme a essa, in prospettiva di lungo termine, avrebbe potuto creare un blocco di potere coeso indipendente dagli USA e capace di resistere alla Cina: questo non con Putin ma con i suoi successori; mi sembrava infatti una tendenza generazionale (25 anni). La Russia, pesce piccolo in Asia, avrebbe potuto essere la potenza egemone in Europa: questo era il piano a lungo termine di Putin.
Insomma dal punto di vista di Putin, che a differenza dei nostri guidoni, vuole il bene per il proprio paese e per la propria gente non aveva motivo di inimicarsi l’Europa e, anzi, nel tentativo di conservarne l’amicizia era giunto (a suo dire) a compromessi (gli accordi di Minsk) che adesso rimpiange.
Fin qui le mie teorie valide come qualsiasi altra opinione: vediamo quindi di supportarle non con prove (in genere arbitrarie) ma con la logica.
A. La guerra in Ucraina NON è iniziata nel 2022 ma nel 2014: l’esercito russo avrebbe avuto allora la possibilità di sconfiggere le forze di Kiev che all’epoca erano male equipaggiate. Allora intervenne l’Europa e, in particolare, Francia e Germania. Si giunse così agli accordi di Minsk che prevedevano:
1. Kiev indipendente ma non nella NATO.
2. Donbass (che all’epoca cercava la secessione) sotto il controllo di Kiev.
3. Protezione e tutela delle minoranze russe in Ucraina.
4. Disarmo delle truppe irregolari di ispirazione ideologica nazista.
Se lo scopo della Russia/Putin fosse stato quello di espandere il proprio territorio perché non farlo allora e aspettare invece otto anni durante i quali Kiev è stata finanziata e pesantemente armata dall’Occidente? Al contrario la Russia accettò quegli accordi, con Francia e Germania garanti, proprio perché voleva mantenere buone relazioni con l’Europa.
Ma l’Occidente era in malafede: gli stessi Merkel e Holland l’hanno confermato. A suo tempo ho condiviso i collegamenti ai relativi articoli. L’Occidente voleva la guerra ma aveva bisogno di tempo per armare l’Ucraina.
B. Già a marzo (o forse aprile?) del 2022 si era praticamente già raggiunto un accordo di pace, sulla falsariga del trattato di Minsk, fra Russia e Ucraina (vicenda confermata da mediatori ucraini). Accordo fatto saltare dall’Occidente, grazie alla “mediazione” diretta di Mastrociliegia, che voleva la guerra.
Perché la Russia avrebbe dovuto fare la pace con Kiev se voleva conquistare l’Ucraina?
Perché Boris, Mastrociliegia, Johnson dovette far saltare l’accordo se non perché l’Occidente voleva la guerra?
C. Alla domanda diretta di Carlson “se la Russia voleva conquistare l’Europa” Putin rispose sorridendo: “di terra ne abbiamo già abbastanza, che ce ne facciamo di altra?”.
Ovvio che ciò che afferma Putin non può essere considerata una prova ma bisogna ammettere che ha comunque molto senso: la Russia ha già terre e risorse in abbondanza e semmai, come ho spiegato, voleva l’amicizia con l’UE in funzione, sul lungo periodo, anti USA e Cina. Non è una prova ma di sicuro è un buon indizio!
Comunque in [E] 16.8, “Guerra fra Ucraina e Russia”, ho così riepilogato le ragioni del conflitto:
«Gli obiettivi della guerra:
La guerra è stata provocata dalla NATO: se la si fosse voluta evitare sarebbe stato sufficiente obbligare l’Ucraina a rispettare gli accordi di Minsk: in particolare lo scioglimento delle milizie neonaziste, protezione e parità di diritti per i cittadini russofoni, assicurare formalmente alla Russia che l’Ucraina non sarebbe mai entrata nella NATO e garantire una certa forma di autonomia alle autoproclamatesi repubbliche del Donbass. Sarebbe stato tutto facilmente fattibile se ve ne fosse stata la volontà ma così non è stato. Vediamo quindi quali erano gli obiettivi geopolitici di USA e
Russia.
Obiettivi USA:
- Se la Russia non avesse reagito portare l’Ucraina nella NATO; in caso contrario:
- Scavare un solco politico-economico fra Russia e UE anche a costo di impoverire l’UE.
- Giustificare l’aumento della spesa militare in funzione anti russa.
- Mantenere in Ucraina un fedele governo filo-occidentale.
- Una volta iniziata la guerra, prolungarla il più possibile in maniera da far pagare alla Russia il prezzo massimo in termini sia economici che di vite umane per arrivare alla sostituzione di Putin con un sostituto filo occidentale.
Obiettivi Russia:
- Evitare che l’Ucraina entri nella NATO.
- Proteggere e magari annettere le regioni a maggioranza russa.
- Una volta iniziata la guerra probabilmente occupare anche la zona costiera di Odessa prima di aprire le trattative di pace con l’Ucraina.
Come si vede da questo breve riepilogo solo gli USA avevano dei buoni motivi per volere la guerra: la Russia ne avrebbe volentieri fatto a meno ma vi è stata costretta dall’intransigenza occidentale e ucraina. Sembra che effettivamente, ad aprile 2022, l’Ucraina fosse disposta a percorrere la via diplomatica accettando la mediazione turca ma che tutto sia saltato a causa delle pressioni politiche occidentali, favorevoli al prolungamento della guerra, sul presidente ucraino. Probabilmente Putin pensava poi che i legami economici fra UE e Russia fossero abbastanza forti da prevenire sanzioni troppo pesanti: non aveva calcolato che l’obbedienza a Washington avrebbe portato agli eccessi autolesionistici di questi ultimi mesi da parte europea.
I risultati ottenuti:
Apparentemente gli USA hanno sbagliato completamente i propri calcoli. Vediamone di seguito il perché.
Risultati USA:
- Crisi del debito e inflazione negli USA.
- Profonda crisi economica nella UE.
- Indebolimento, forse fatale, degli alleati europei e rafforzamento dell’alleanza fra Russia e Cina.
- Spinta decisiva alla costituzione di un’alleanza in funzione anti occidentale costruita intorno ai paesi del BRICs ma non limitata a essi; spinta alla dedollarizzazione.
- L’Ucraina sta venendo completamente distrutta; conseguente crisi umanitaria.
- Molte delle armi inviate all’Ucraina sono finite sul mercato nero e, inevitabilmente, saranno acquistate anche da terroristi con conseguenze drammatiche.
Risultati Russia :
- La vittoria sull’Ucraina, nonostante gli aiuti occidentali, sembra essere vicina.
- L’idea di richiedere il pagamento in rubli per gas e petrolio si sta rivelando vincente: soprattutto in funzione anti dollaro. L’economia russa regge benissimo le sanzioni: l’eccesso di produzione sta venendo assorbito da Cina e India.
- Enorme crescita del prestigio sia Putin che della Russia che si tradurrà in maggiore influenza internazionale.
- Non solo il livello di approvazione di Putin all’interno del paese non è mai stato più alto ma anche all’estero è guardato con ammirazione.»
Quindi, tornando alle affermazioni di UUiC (che ripropongo qui di seguito):
1. Russi non immacolati né completamente dalla parte della ragione.
2. Ucraini hanno il diritto all’autodeterminazione.
3. Ucraini hanno subito gravi torti dai sovietici ed è naturale che non vogliano avere a che fare con i russi.
4. Che Putin voglia il bene dei russi non impedisce che faccia il male altrove.
5. I russi considerano l’Ucraina la Piccola Russia ma gli ucraini non si sentono parte della Russia.
(4 e 5) sono in combinazione fra loro: siccome 4 e 5 allora si è verificata la guerra in Ucraina.
6. Gli USA hanno approfittato della situazione usando gli ucraini contro la Russia.
- 1 è molto generica e quindi è quasi impossibile non essere d’accordo.
- 2 è vera: ma davvero pensiamo che l’Ucraina di oggi sia uno Stato sovrano e indipendente?
- 3 è un altro degli argomenti su cui insiste sempre UUiC: per me Russia e URSS sono due paesi totalmente diversi. L’URSS era effettivamente imperialista e vi era il comunismo; la Russia non è imperialista e vi è il capitalismo. Le differenze sarebbero molte di più ma fermiamoci alle ovvie e inequivocabili. Questo per dire che l’odio degli ucraini per i russi è stato nutrito negli ultimi decenni, probabilmente dall’indipendenza e soprattutto dopo il colpo di stato del 2014 che porta al potere un governo filo occidentale e anti russo.
Quindi sì, l’odio attuale degli ucraini per i russi è reali (e sicuramente è stato esacerbato dalla guerra) ma la sua origine non risale a fatti di 70-80 anni fa ma è molto più recente: per decenni, fino alla fine dell’URSS, russi e ucraini hanno convissuto insieme senza problemi.
- 4 è un'affermazione lapalissiana valida per qualsiasi politico: sono d’accordo per definizione.
- Anche 5 è vero ma il sentimento, almeno da parte ucraina, è stato volutamente esacerbato dal nazionalismo.
- Sul 6 potrei essere d’accordo sulla forma ma non nella sostanza: gli USA hanno sì approfittato della guerra ma, soprattutto, l’hanno progettata e provocata a partire dal colpo di stato del 2014 col “bollino” CIA…
Conclusione: pezzo inutilmente lungo, mi spiace...
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