Avrei da scrivere di molti libri (principalmente Keynes e Hobsbwam) ma mi trattengo…
Voglio invece fornire le mie prime impressioni su un libro che NON avevo intenzione di leggere: me l’ha voluto prestare una mia amica e, dato il suo entusiasmo, non me la sono sentita di dirle che non mi interessava troppo.
Si tratta di “On becoming a person” di Carl Rogers. Rogers fu uno psichiatra/psicologo che propose un nuovo tipo di approccio con i propri pazienti. Credo (ma prendete le mie parole col beneficio di un estremo dubbio) che appartenesse a quel genere di psicologi che non “piacevano” a Marcuse: quelli che cercavano di conciliare la persona stressata con se stessa e di farle sopportare quindi le ingiustizie del mondo: una vittoria per il singolo, che così vive meglio, ma una sconfitta per la società che perde delle energie che potrebbero essere invece rivolte al suo miglioramento (*1).
Il primo capitolo è una rapida sintesi della sua vita mentre poi, il grosso del testo, sarà formato da brevi saggi che aveva scritto nel corso del tempo.
Comunque già la biografia è interessante: tanti fratelli, una famiglia molto religiosa e conservatrice, incertezza su quali studi compiere, si sposa giovane. Arriva alla psicologia abbastanza casualmente.
Segue le sue passioni invece del denaro: si accontenta del proprio lavoro e solo molto lentamente (dopo almeno una decina di anni) inizia a formulare, ancora non una propria teoria ma delle nuove idee. È buffo, io come INTP, avrei iniziato a formulare nuove teorie dopo dieci giorni e non dieci anni!
Per esempio una “scoperta” che fa nel corso degli anni è quella di rendersi conto che anche le autorità del suo campo, di cui aveva letto e studiato i manuali, sono fallibili. Per me invece è qualcosa che ho sempre dato per scontato...
Adesso sto leggendo una parte dove sintetizza in una frase ciò che ha appreso e poi ne descrive più ampiamente il significato. È qui che sto iniziando a capire che Rogers doveva avere una mentalità praticamente opposta alla mia (*2)! Per esempio:
1. «Nella mia relazione con altre persone ho scoperto che non aiuta, nel lungo andare, agire come se fossi qualcosa che non sono.» (*5)
Rogers si riferisce al rapporto con i pazienti: spiega che lo psicologo deve essere sincero nei suoi sentimenti verso il paziente anche quando questi sono negativi come rabbia o temporanea avversione. Poi Rogers, invece di teorizzare un perché, come io cerco sempre di fare, si accontenta della propria osservazione e passa oltre. (*3)
2. «Trovo di essere più efficace quando posso ascoltarmi francamente e posso essere me stesso.» (*5)
E questa, se vogliamo, è la spiegazione del perché della frase precedente che non aveva spiegato: esprimere senza dissimulare i propri sentimenti aiuta a essere se stessi. Qui manca però la spiegazione di come mai egli sia più efficace quando è se stesso: ma, come per il caso precedente, un po’ lo si intuisce con l’osservazione successiva!
3. «Trovo estremamente utile quando posso permettermi di capire un’altra persona.» (*5)
Qui il verbo “permettere” è usato con cognizione di causa: per capire un’altra persona dobbiamo volerlo. È un concetto a cui anch’io ero arrivato indipendentemente e da un altro punto di vista non molto tempo fa: vi ho addirittura dedicato un capitolo dell’Epitome ([E] 22.3).
Nel mio caso si tratta della pura comprensione fattuale mentre Rogers intende quella più profonda e psicologica ma l’elemento comune della necessaria volontà è notevole (*4).
Nella sua spiegazione Rogers afferma che per comprendere l’altro bisogna accettarlo per come è: ecco perché è necessaria la franchezza con se stessi: è precondizione all’accettazione.
Il problema infatti non è capire dei passaggi logici ma le emozioni dell’altra persona...
Sembra che Rogers nell’esprimere queste osservazioni, che non ricombina organicamente insieme, non sia guidato dalla logica ma dalla propria sensibilità e intuizione.
Non so come leggere quest’opera: la sua struttura non è organizzata in maniera molto fruibile per me perché sono conoscenze, anzi osservazioni, non teorizzate che io istintivamente e automaticamente cerco di legare insieme ma, ovviamente, non ho l’esperienza dell’autore a guidarmi e, quindi, il risultato è dubbio. Le sue osservazioni non sono unite a un perché, a una teoria insomma, non sono utili per formulare nuova conoscenza e per essere adattate a più contesti, ma restano inerti. È come se Rogers fornisse tanti mattoni senza però costruire con essi nessuna struttura: lo trovo molto frustrante.
Immagino che nel prosieguo accennerà anche alla sua teoria ma ho la netta sensazione che, se queste sono le premesse, sarà appena abbozzata: delle linee guida al massimo.
Conclusione: prima di decidere che fare di questa lettura voglio almeno arrivare a leggerne un paio di capitoli per farmene un’idea più precisa. E ora corro a vedere come è classificata la personalità di Rogers!
Interessante: il solito sito (inaffidabile) che uso come punto di partenza lo dà come INFP: I, e soprattutto P, sono abbastanza incerti. Su F sono totalmente d’accordo. Mi lascia invece perplesso l’N: com’è possibile che gli siano occorsi anni per arrivare alle sue conclusioni se ha l’intuizione forte (Ne secondaria)? Non so, forse sono io che, abituato a usarla in tandem con T, tendo ad asservirla alla logica mentre lui la usa insieme a F: io uso N per costruire ipotesi lui per raccogliere sensazioni. Non so: è un’ipotesi per giustificare il suo N...
Nota (*1): se vogliamo un equivalente moderno della “Provvidenza” manzoniana: pensa a tutto Dio, le persone comuni devono solo limitarsi a stare buone, pazientare e pregare.
Nota (*2): non mi stupirei se fosse un ESFJ (l’opposto di un INTP!)...
Nota (*3): come INTP adotto già, nei miei normali rapporti con le altre persone, un comportamento simile. Gli INTP sono molto genuini da questo punto di vista. Il problema è il rapporto con le persone che non ci piacciono: in genere ci limitiamo a evitarle ma se ciò è impossibile, per esempio sul lavoro, allora cerchiamo di mantenere una distaccata educazione. Alla lunga può divenire stressante.
Nota (*4): per questo non perdo troppo tempo a cercare di convincere le altre persone delle mie idee: spesso mi accorgo che manca la reale volontà di comprensione e quindi la mia sarebbe fatica sprecata!
Nota (*5): traduzione al volo da “On becoming a person” di Carl R. Rogers, (E.) Robinson, 2004, pag. 16, 17 e 18.
alla prima stazione
1 ora fa
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