Ho iniziato a leggere il capitolo XIV, “I decenni di crisi”, de “Il secolo breve” di Hobsbawm.
Come al solito l’autore è abilissimo nel percepire delle tendenze, a mio avviso percepibili negli anni ‘90 solo da uno storico dalla mente flessibile e ricettiva, che solo adesso (diciamo da una di anni) dovrebbero essere evidenti (*1).
Un esempio: «Quanto alla povertà e alla miseria, negli anni ‘80 perfino in molti paesi più ricchi e sviluppati ci si riabituò al triste spettacolo quotidiano dei mendicanti per le strade e a quello ancora più sconvolgente dei senzatetto, che si riparavano dentro scatole di cartone all’ingresso dei palazzi, a meno che la polizia non li facesse sloggiare, sottraendoli alla vista dei passanti.» (*2)
Date un esempio a questo corto in cui mi sono imbattuto ieri: DO NOT Visit San Francisco
Sicuramente esisteranno video più significativi ma già qui si intravedono delle tendopoli di senzatetto sui marciapiedi. E San Francisco non è un’eccezione negli USA.
E da cosa dipende l’aumento dei senzatetto secondo Hobsbwam?
Scrive: «La ricomparsa dei senzatetto era una conseguenza della crescita impressionante della diseguaglianza sociale ed economica.» (*3)
Per il resto della pagina Hobsbawm snocciola delle statistiche sulla diseguaglianza economica che lui trova allarmanti ma che sarebbero una favola fossero ancora valide oggi!
Per esempio (penso siano dati di inizio anni ‘90) negli USA il 20% delle famiglie più ricche aveva un reddito 10 volte più alto del 5% più povero.
Dalla mia Epitome ([E] 4.6): «Nel 2012, negli USA 291 , l'1% della popolazione possedeva il 40% della ricchezza; lo 0,1% ne possedeva il 22%; e i 400 americani più ricchi (ovvero lo 0,00013%) possedevano una ricchezza pari a quella del 50% più povero della popolazione.»
E, ora non le ho sottomano, ma posso assicurarvi che nel decennio successivo la situazione è ancor più peggiorata: non solo negli USA ma in tutto l’occidente.
Andate su Wikipedia e date un’occhiata ai grafici che mostrano l’andamento dell’indice Gini: valgono più di tante parole…
Secondo Hobsbwam la crisi economica è iniziata negli anni ‘60, ovvero circa una generazione dopo la fine della seconda guerra mondiale ma è diventata evidente solo alcuni decenni dopo a causa di tutti gli ammortizzatori sociali che erano ancora presenti. In Italia, secondo me, si può spostare tutto di un decennio o forse più.
Dopo la seconda guerra mondiale i governi occidentali avevano adottato una politica basata sull’economia keynesiana (*4). Giunta la crisi iniziarono a guadagnare consensi gli economisti liberisti. Come data simbolica del passaggio di testimone Hobsbawm pone il 1974 quando un esponente del liberismo puro, Milton Friedman, vinse il premio Nobel per l’economia.
Ma qual è la differenza fra queste due visioni economiche?
Hobsbawm propone questa spiegazione: «Il confronto fra keynesiani e neoliberisti era piuttosto una guerra di ideologie inconciliabili. Entrambe le parti avanzavano argomenti di tipo economico. I keynesiani sostenevano che gli alti salari, il pieno impiego e lo stato assistenziale creavano quella domanda da parte dei consumatori che aveva alimentato l’espansione; inoltre sostenevano che stimolare la domanda era il modo migliore per affrontare le depressioni economiche.
I neoliberisti sostenevano che le politiche economiche e sociali dell’Età dell’oro [i decenni successivi alla seconda guerra mondiale] non consentivano il controllo dell’inflazione né la riduzione dei costi sia a livello di spesa pubblica sia a livello di impresa privata e in tal modo non permettevano la crescita dei profitti, vero motore della crescita economica in un sistema capitalistico. In ogni caso, essi sostenevano che la “mano nascosta” del libero mercato, di cui parlava Adam Smith, era la sola che poteva produrre la massima crescita della “ricchezza delle nazioni” e la migliore distribuzione della ricchezza e del reddito compatibile con la crescita stessa del sistema. Un’affermazione che i keynesiani negavano.» (*5)
La disquisizione continuerebbe interessantissima per un’altra pagina ma, ovviamente, non mi va di copiare tutto.
Come sappiamo vinse l’ideologia neoliberista che trionfò con il duo Reagan e Thatcher negli anni ‘80. I risultati li abbiamo gustati nei decenni successivi e, soprattutto, negli ultimi anni.
In pratica ai primi segni di “singhiozzo” delle politiche keynesiane si passò con entusiasmo a quelle neoliberiste che dettero, almeno inizialmente, l’illusione di migliorare la situazione.
Da almeno vent’anni, con la crescita della diseguaglianza è evidente il loro fallimento, eppure si insiste in esse: anzi siamo passati al turboliberismo (termine caro a Fusaro). Come mai?
Semplicemente si confonde la crescita economica del paese con quella di pochi ricchissimi sebbene avvenga a discapito di gran parte della popolazione. Ma chi controlla maggiormente le democrazie? Il popolo degli elettori o i grandi miliardari?
Ebbene, sebbene il voto dei supermiliardari valga quanto il vostro, essi possono farsi invitare a pranzo dai politici a capo dei governi occidentali e dare “suggerimenti” sulle politiche da adottare…
Conclusione: so che questo capitolo mi darà la nausea rendendomi conto di quanto le cose siano peggiorate da quando, a tutti gli effetti, Hobsbawm lanciò il suo allarme ovviamente inascoltato...
Nota (*1): ma non evidenti a tutti a causa del totale tradimento dei media impegnati a mostrare una realtà alternativa falsa e fuorviante e a nascondere tutto ciò che smentirebbe la narrativa dominante.
Nota (*2): tratto da “Il secolo breve” di Eric J. Hobsbawm, (E.) BURexploit, 2009, trad. Brunello Lotti, pag. 474-475.
Nota (*3): ibidem, pag. 475.
Nota (*4): ovvero ideata dal “fessacchiotto” Keynes, di cui sto leggendo “Le conseguenze economiche della pace”.
Nota (*5): ibidem, pag. 478.
alla prima stazione
1 ora fa
Come ecologista sottolineo due mancanze gravi di entrambi gli approcci
RispondiEliminao - esse assumono l'infinita disponibilita' di materie prime, energia, capacità di ricezione ambientale dei rifiuti, in altre parole ignorano completamente cio' che si indica col termine di impronta ecologica e dei limiti ambientali, avvocando crescite esponenziali infinite (in un pianeta a dimensioni finite è una ovvia follia!).
o - esse ignorano completamente l'impatto della scala/dimensione su etologia e sociologia umane: l'etologia degrada all'aumentare di esse. Questo è noto da sempre in zootecnia.
Per quanto riguarda i limiti di ciascuna
o - l'approccio keynesiano ignora i guasti enormi dovuta alla deresponsabilizzazione di organizzazioni e persone (qui in Italia abbiamo vari carrozzoni pubblici da incubo da sempre stipendifici di massa)
o - l'approccio liberista (che peraltro io non ho mai avuto modo di conoscere, visto che Europa ed Italia intervengono con norme, sostegni, contributi, tasse anche su come ti lavi i denti) ignora i guasti dovuti alla ingordigia privata e alla miopia che ne è uno dei corollari.
La ringrazio per gli spunti e le osservazioni intelligenti!
EliminaNon ricordo se ne ho scritto, forse sì, ma anch’io ho notato in Hobsbawm la totale assenza di considerazione per il fattore ambientale e soprattutto della limitatezza delle risorse.
Al contrario questo concetto era presente in Keynes che, mi sembra, citi esplicitamente Malthus.
Secondo me la discriminante è il cibo. A inizio XX secolo il cibo per tutti in Europa è ancora un problema: questo rende consci del rapporto bocche da sfamare a produzione agricola a cui segue tutta la logica delle risorse finite. Hobsbawm invece matura dopo la seconda guerra mondiale in Inghilterra: il cibo non è più un problema e questo gli fa perdere di vista l’ipotesi malthusiana.
Sulla mancanza di liberismo in Europa non sono d’accordo ma l’economia non è il mio forte e cercare dei buoni esempi di liberismo sarebbe per me complicato. Magari via via che ne trovo me li appunto e poi ci scrivo un pezzo…
Ecco, la tassazione delle multinazionali del web al 10% mi pare un buon esempio.
Magari posso aggiungere questo: in inglese vi è l’equivoco che il singolo termine “Liberism” indica sia il “liberismo” economico che “liberalismo” politico: a mio avviso abbiamo in occidente molto liberismo ma pochissimo liberalismo, anzi lo stiamo riducendo. In questo senso posso essere d’accordo con lei...