Oggi avrei da scrivere su tre libri: “De bello gallico”, “Il secolo breve” e “Le conseguenze economiche della pace”. Però siccome per consultare i libri cartacei dovrei scendere a prenderli mentre il libro di Cesare lo posso consultare dal calcolatore scriverò principalmente di quest’ultimo.
Degli altri due libri voglio solo limitarmi ai due spunti più interessanti che mi sono rimasti in mente.
Ne il “Secolo breve” sono ancora al capitolo sul socialismo reale sovietico. Fra i problemi principali vi è quello della burocrazia. L’obiettivo iniziale fu quello di sviluppare l’industria pesante: uno dei problemi era la mancanza di istruzione nella popolazione prevalentemente contadina. Anche i quadri dirigenziali non erano istruiti: la conseguenza fu tentare di compensare queste incapacità con un aumento del centralismo decisionale che, ovviamente, comportò a sua volta un incremento delle burocrazia. Se ben ricordo Hobsbawm scrive che nel 1940 vi era 1 burocrate per ogni 2 lavoratori…
Il nuovo capitolo de “Le conseguenze economiche della pace” ribadisce più e più volte che la resa della Germania non era stata incondizionata ma che avrebbe dovuto basarsi sui “14 punti” di Wilson. La cosa mi ha stupito perché nei miei vaghi ricordi scolastici si trattò invece di resa incondizionata (*1)…
Ma veniamo a Cesare.
Una tribù di germani ha attraversato il Reno e semina lo scompiglio fra le tante tribù galliche. Cesare aveva previsto che sarebbe successo e quindi si precipita sul posto alla guida delle sue legioni.
Arrivato a una ventina di chilometri arrivano gli ambasciatori al suo campo: ovviamente gli fanno i soliti discorsi che essi non hanno intenzioni aggressive, che sarebbero felici di poter collaborare con Roma, che sono disposti a stanziarsi in qualche regione concordata e simili. Gli chiedono poi di non avanzare oltre con l’esercito e di dargli tre giorni per decidere cosa rispondere. Ma Cesare, e questa è una caratteristica mi pare ricorrente, ha molte spie ed esploratori: egli sa che la cavalleria della tribù è dall’altra parte del Reno a cercare cibo e crede quindi che i germani vogliano solo prendere tempo perché ora sono in condizione di inferiorità.
Cesare rifiuta quindi tutte le proposte degli ambasciatori. È interessante che non menta: anche se, FORSE, sul breve avrebbe potuto essergli utile nel lungo periodo avrebbe potuto nuocere alla sua credibilità: per le popolazioni antiche e per i singoli era molto importante mantenere la propria parola. Se non lo si fa tutti lo vengono a sapere e la propria reputazione ne esce distrutta.
L’indomani Cesare è a circa 15 chilometri e di nuovo gli ambasciatori tornano da lui con nuove proposte: in particolare di non avanzare oltre e di cercare la mediazione di un’altra popolazione (gli Ubii). Cesare rifiuta di nuovo perché pensa sia solo una maniera per guadagnare tempo. Allora gli ambasciatori gli chiedono almeno di far comunicare alle sue truppe più avanzate di non attaccarli.
Cesare accetta un giorno di tregua e comunque fa loro sapere che avanzerà ancora di 5 chilometri per fare campo in un luogo con accesso all’acqua.
Cesare dà quindi l’ordine alle proprie truppe di non attaccare i germani per quel giorno ma un distaccamento di ausiliari gallici, confidando nella tregua, viene attaccato a sorpresa dai germani che non rispettano la tregua.
Cesare è molto arrabbiato e decide che non riceverà più i loro ambasciatori e che, al contrario, gli conviene attaccare il prima possibile.
L’indomani i germani ritornano dai romani con una delegazione formata dai loro principi e dagli uomini anziani: ma stavolta Cesare non sta neppure ad ascoltarli e li fa arrestare: subito muove con l’esercito e attacca il loro campo cogliendo gli avversari impreparati e, soprattutto, senza i capi a dirigerli. La battaglia è fin da subito messa male per i germani ma, quando le donne, anziani e i bambini cercano di scappare via e la cavalleria romana li insegue e uccide, cedono del tutto.
Curiosamente a questo punto i principi germani prigionieri di Cesare gli chiedono di poter rimanere con lui (temendo ritorsioni dei galli che avevano razziato) ed egli, graziosamente, acconsente.
Cosa vi trovo di interessante in questa storia? Beh. bisogna tenere presente che l’autore è Cesare stesso e che lui era ben consapevole che le sue memorie sarebbero state lette dalle persone importanti di Roma. È chiaro quindi che la verità può essere sacrificata in nome del vantaggio politico.
In particolare qui ho la sensazione che i capi germani fossero in buona fede: suppongo che le loro truppe non avessero saputo della tregua e, per questo, attaccato i romani. Non mi convince che persone subdole, interessate solo a guadagnare tempo, si mettano poi nelle mani del loro avversario. Io credo che Cesare avesse comunque deciso di attaccare: in ogni caso i germani gli avrebbero solo causato problemi visto che non avrebbero mai accettato di tornarsene spontaneamente in Germania e che in Gallia non c’era posto per loro.
Ecco quindi che Cesare coglie l’occasione propizia e si giustifica dicendosi convinto (ma in realtà senza addurre alcuna prova) che i germani volevano solo guadagnare tempo e che, comunque, avevano loro attaccato per primi rompendo una tregua.
Anche l’episodio dei principi che preferiscono restare con lui piuttosto che andarsene via mi suona strano: Cesare massacra il loro popolo, forse anche le loro famiglie, e questi vogliono rimanere con lui per paura delle ritorsioni galliche? Non mi convince: secondo me li voleva tenere come ostaggi…
E poi dei famigerati cavalieri al di là del Reno non si sa più niente! Esistevano davvero? E quanti erano?
Insomma secondo me qui Cesare è stato un po’ bugiardello per farsi bello!
Ah! Un altro punto interessante è l’inizio del discorso degli ambasciatori germani a Cesare: «I germani non fanno guerra al popolo romano per primi, né si rifiutano, se provocati, di affrontarli con le armi». A me questo passaggio ricorda molto Senofonte: l’esercito di mercenari greci è rimasto bloccato fra il Tigri e l’Eufrate e quando l'ambasciatore persiano Falino viene a chiedere cosa abbiano intenzione di fare il loro capo Clearco, per guadagnare tempo, risponde: «Clearco disse: “Annuncia dunque che riguardo a questo noi abbiamo la stessa opinione che ha il Re”. “Cosa vuol dire questo, dunque?”, disse Falino. Rispose Clearco: “Se restiamo, tregua, se ci mettiamo in movimento e avanziamo, guerra”.
Quello chiese ancora: “Annuncerò tregua o guerra?”, e Clearco rispose di nuovo così: “Tregua se restiamo, se ci mettiamo in movimento e avanziamo guerra”. Cosa avrebbe fatto, però, non spiegò.» (*2)
Soprattutto è simile l’intento di guadagnare tempo, provocando incertezza nell’avversario, di entrambi i discorsi.
Sicuramente Cesare aveva letto Senofonte e, secondo me, qui voleva nobilitare un po’ il discorso degli ambasciatori germani che dubito fossero particolarmente eloquenti...
Conclusione: per la cronaca sto portando avanti anche Darwin (noioso), il “Malleus maleficarum” (leggibile ma scritto piccolissimo) e il libro di fantascienza terribile “Mendicanti in Spagna” (strasupernoioso)...
Nota (*1): come al solito ho interpellato chatGPT che però non mi ha tolto i miei dubbi. Apparentemente chatGPT confonde “resa incondizionata” con resa “senza condizioni”. Siccome alla Germania erano state imposte delle condizioni per l’armistizio allora chatGPT non la ritiene una resa incondizionata! Riformulando la domanda, ovvero chiedendogli se con l’armistizio la Germania avesse ottenuto qualche diritto e non solo dei doveri mi ha risposto: «Nell'armistizio firmato il 11 novembre 1918, vennero principalmente imposti doveri alla Germania, senza riconoscere specifici diritti.»
Nota (*2): Tratto da “Anabasi” di Senofonte, (Ed.) Newton Compton, 2009, traduzione di Manuela Mari.
alla prima stazione
1 ora fa
Nessun commento:
Posta un commento