Oggi voglio iniziare a intensificare i miei sforzi per la nuova versione dell’Epitome: sono arrivato a correggere il noiosissimo capitolo 16°. Inizio a chiedermi se è il caso di semplificarlo tentando un approccio completamente diverso. L’idea del capitolo è mostrare in “azione” la mia teoria in un caso reale, cioè quello italiano: ho però la sensazione di andare troppo in dettaglio e di infilarmi in diverse questioni complesse che non conosco troppo bene.
L’alternativa che mi viene in mente è quella di partire dalla teoria e mostrare i suoi effetti in Italia: qualcosa tipo “la legge X.X ha causato Y1, Y2 e Y3” ma poi ho il problema di giustificare l’affermazione e questo mi costringerebbe a riaggiungere molto contesto: alla fine, temo, il risultato complessivo sarebbe ancor più intrecciato e confuso di adesso.
Come precedentemente spiegato avevo volutamente rallentato la lettura del libro di psicosociologia perché temevo di finirlo prima di completare la versione 1.9.1 ma ora non dovrebbe esserci più questo pericolo così da qualche giorno l’ho reinserito nel gruppo dei libri che leggo ciclicamente.
Sono a buon punto di “Who we are end how we got here” di Reich: rimango dell’idea che sia scritto in uno stile un po’ contorto. Probabilmente avrebbe fatto bene a separare in capitoli appositi la spiegazione di certe procedure tecniche di cui parla più volte invece di inserire mezze accenni qua e là. Probabilmente il suo libro è stato letto da persone che avevano tutte una buona conoscenza di genetica e che quindi non gli hanno segnalato i relativi problemi di chiarezza.
Comunque è un libro interessantissimo sebbene già parzialmente superato, come del resto lo stesso autore aveva anticipato data la velocità dell’evoluzione delle scoperte in questo campo. Per esempio ora sembra che il materiale genetico dell’uomo denisoviano ereditato dalle popolazione orientali sia appena lo 0,1% invece del 3-4% stimato da Reich: questo ha a sua volta varie implicazioni su cui non sto ad addentrarmi…
Ho iniziato a leggere le “Lettere” di Seneca: sono perplesso e irritato dalla traduzione “poetica” di Annibal Caro, ma gratuitamente c’era questo disponibile su Liber Liber. Oltretutto si tratta di una selezione di pochissime lettere su centinaia.
Comunque nelle prime lettere non avevo annotato niente: mi sembrava tutto ovvio. Mi viene molto naturale essere “un po’ stoico” e i ragionamenti di Seneca mi sembravano quindi troppo semplici per destare il mio interesse (*1).
Però nella terza lettera ho trovato un passaggio che mi ha colpito: Seneca infatti non scrive di filosofia ma di una sua visita a Pompei dove, si scopre leggendo, il filosofo aveva passato alcuni anni della sua gioventù. Seneca spiega allora che il ritrovarsi in questi luoghi ha due effetti su di lui: da una parte è tentato di riprovare le vecchie abitudini e da un’altra i ricordi di quei tempi ritornano particolarmente vividi.
Ecco: per la precisione lessi questo passaggio sabato mentre la mia visita a Pisa è stata ieri, cioè lunedì. Non è quindi che ho notato il passaggio col “senno di poi”. Però suppongo che qualcosa di simile potrebbe essere successo anche a me.
Cosa se ne può concludere? Probabilmente che gli abitanti di Pisa devono stare attenti alle eruzioni vulcaniche! No scherzo, non so ancora bene come valutare questo fenomeno: lo devo ancora assimilare. Mi conforta però scoprire che anche a quel tonto di Seneca era accaduto qualcosa di simile.
Sulla “teoria della giustizia” di Rawls procedo lentamente perché mi scoraggia l’idea di doverne poi fare una sintesi: probabilmente smetterò di riassumere capitoletto per capitoletto. Del resto come ho già spiegato in Capitoletto 23 ormai ho capito che l’impostazione data da Rawls alla sua teoria non mi piace perché mi pare inutile e, anzi, priva di senso. Fino a quando non arrivo alle sue conclusioni, ovvero alla teoria effettiva, mi pare inutile commentare la procedura che ha ideato per “dimostrare” la correttezza delle proprie conclusioni…
Discorso simile per il libro di Fabio Mini e quello di Klarman: tendo a leggerli poco perché poi trovo troppi spunti da riproporre su questo ghiribizzo.
“Agguato al lago rosso” di Genito soffre della concorrenza di un altro libro leggero: una serie di fantasia di un tale Ransom Riggs. E nei miei gusti il genere fantasia batte i gialli 3 a 0…
Ovviamente c’è anche il solito Plutarco: mi ci devo mettere per finire di leggere il secondo dei quattro libri della mia edizione. È che ho trovato una serie di personaggi piuttosto anonimi e poco interessanti: considerato che è una lettura che richiede una certa attenzione (la traduzione è antica) finisce che preferisco optare per altro…
Conclusione: e ora vado a leggere e correggere!
Nota (*1): anche se, suppongo, alcune riflessioni avrebbero implicazioni enormi per il lettore comune…
alla prima stazione
1 ora fa
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