Oggi ho voglia di scrivere ma non so di cosa: idealmente mi servirebbe un argomento non troppo impegnativo… a ecco! Penso di avere trovato l’idea giusta…
Un’intera lezione della professoressa Freeman sulla rivoluzione americana è stata dedicata a un libro/opuscolo chiamato “Common Sense”. Ovviamente deve essere un’opera famosissima, sicuramente negli USA, ma io che sono ignorante non l’avevo mai sentito nominare.
Eppure si tratta di un’opera importantissima perché influenzò notevolmente l’opinione pubblica delle colonie: ancora a ridosso dallo scoppio delle ostilità con l’UK la maggioranza della popolazione non prendeva neppure in considerazione l’idea di ribellarsi da quella che consideravano la loro patria originale. I coloni erano in realtà diventati qualcosa di diverso dagli inglesi ma ancora non se ne rendevano conto.
Come scrisse un commentatore dell'epoca Common sense ebbe la capacità di esprimere apertamente e chiaramente quelle “idee che i coloni avevano percepito ma ancora non pensato”.
Le idee di Paine su una società democratica e libera non erano nuove: ma a lui va il merito di aver saputo renderle accessibili anche alla gente comune e non particolarmente istruita.
È quindi interessante scoprire come riuscì questa opera a cambiare così nettamente l’orientamento dell’opinione pubblica delle colonie.
I fattori sono ovviamente molteplici: il primo è che Thomas Paine (un inglese immigrato negli USA da appena 14 mesi!) sapeva scrivere bene e aveva un’innata capacità di coinvolgere i lettori. Per esempio nella prima parte dell’opera attacca direttamente re Giorgio III, cosa impensabile, equivalente a vero e proprio tradimento, ma così facendo rapisce immediatamente l’attenzione del lettore che diviene curioso di conoscere le sue argomentazioni.
Un’altra grande intuizione di Paine è stilistica: siamo alla fine dell’illuminismo e gli altri opuscoli sull’argomento, erano molto tecnici e aridi, spesso erano incentrati su sottili disquisizioni legali sulla validità della costituzione inglese e sul rapporto fra madre patria e colonie. Invece Paine è già un romantico: non si basa solo su argomentazioni logiche (il “buon senso” del titolo) ma anche su immagini colorite, coinvolgenti ed emozionanti. Un paio di esempi che mi sono appuntato: “gli americani sono il popolo benedetto da Dio” (questa però probabilmente non è una citazione ma una sintesi) oppure “Abbiamo la possibilità di scrivere la più nobile e pura costituzione sulla faccia della Terra”, “La nascita di un nuovo mondo è a portata di mano”.
Paine decide poi che il suo pubblico di riferimento sarà l’uomo comune: colui che sa leggere e poco più. Adotta quindi uno stile semplice, con frasi corte e non articolate. Lo stesso per il vocabolario: per esempio usa pochissimi latinismi (!) e in questi casi ne fornisce sempre la traduzione in inglese. Inoltre adopera un sarcasmo intelligente e pungente.
Il risultato fu un’opera che ebbe un successo incredibile: nelle prime settimane vendette ben 125.000 copie e rapidamente iniziò a essere ristampata in altre colonie (per confronto, circa 15 anni dopo, un quotidiano di successo vendeva sulle 1000 copie). Anche chi non la lesse vi entrò in contatto tramite altre persone che ne parlavano perché stimolò la gente a ragionare, lasciando perdere i vecchi pregiudizi, sull’ipotesi dell’indipendenza. In altre parole quelle che prima erano sottili disquisizioni politiche divennero argomento di comune conversazione sulla bocca di tutti.
Mentre seguivo la lezione, in parallelo, mi divertivo a paragonare Common sense alla mia Epitome. Vediamo le mie conclusioni.
In realtà, anche avendo la voglia e le capacità per riscrivere la mia opera diversamente, ci sono dei problemi di fondo.
Molte delle mie idee, direi un 75%, sono nuove, per quanto ne so inedite: non ho quindi la possibilità di semplificare un qualcosa di già esistente per renderlo accessibile a tutti. Semplicemente banalizzerei le mie idee senza però renderle credibili a un’analisi attenta.
Anche per questo motivo non mi rivolgo a tutti: in realtà non mi sono neppure posto il problema di chi debba essere il mio lettore ma evidentemente non potrà essere una persone comune: probabilmente dovrebbe avere una base culturale di storia, psicologia e sociologia. Un pizzico di filosofia, politica ed economia non farebbero poi male. Ancora più importante dovrebbe poi avere una mentalità aperta: capace di apprezzare e comprendere delle idee nuove che obbligatoriamente sono abbozzate, imperfette, non levigate da decenni di confronti con opinioni diverse e contrarie.
Quindi sì, potrei forse semplificare il mio stile (anche se già adesso mi sembra di usare frasi piuttosto semplici da comprendere) ma non potrei rinunciare a quello che è forse lo scoglio più grande per il lettore occasionale: i miei neologismi. Non cerco di riassumere idee preesistenti ma ne definisco di nuove: i neologismi mi sono essenziali per la chiarezza espressiva necessaria per spiegare le mie novità.
Un altro problema è che la maggior parte dei lettori si annoiano nella lettura e smettono di seguirmi nei primissimi capitoli della mia opera: cosa succederebbe quindi se, per esempio, spostassi gli argomenti più forti dell’Epitome dai capitoli 12°, 13° e 14° al primo? Diventerebbe tutto incomprensibile! Le mie argomentazioni si basano su strumenti e idee che introduco metodicamente nei capitoli precedenti: invertire tutto non avrebbe senso.
E anche il sarcasmo, sfortunatamente (visto che ne abbondo), non lo posso inserire nell’Epitome: mi pare sia incompatibile con l’introduzione sistematica di nuove idee con le loro relative definizioni. Rischierei di confondere il lettore che potrebbe non capire cosa prendere sul serio e cosa no.
Insomma posso applicare poco o nulla dell’esperienza di Common sense alla mia Epitome: finalità e pubblico di riferimento sono completamenti diversi. Io miro solo a spiegare con la massima chiarezza la mia teoria, come se scrivessi un libro di scuola, a chi ha la voglia, il tempo e la pazienza di conoscerla; Paine invece puntava a passare poche teorie, vecchie ma buone, alla maggioranza della popolazione…
Però un’idea me l’ha data: come detto mi è impossibile modificare o riscrivere l’Epitome per renderla più abbordabile al grande pubblico (col problema aggiuntivo che neppure la nicchia di lettori che potrebbe apprezzarla la conosce!) però potrei provare a scrivere un opuscolo separato da essa che ne evidenzi i contenuti più importanti, evitando di fornire spiegazioni dettagliate, usando così come fece Paine uno stile semplice e romantico: con l’idea di colpire più il cuore che il cervello dei lettori, non la ragione ma le emozioni.
L’idea mi diverte: potrei davvero provarci. Alla fine non sarebbe qualcosa di troppo complesso: verrebbe fuori l’equivalente di 3-4 pezzi lunghi immagino…
Potrei usare un linguaggio semplice, evitare neologismi, infilarci il mio umorismo e mi divertirei a scatenare il mio romanticismo frustrato e appassionato.
Conclusione: Vedremo! Come al solito o più idee che voglia/tempo per realizzarle... Intanto ho già scaricato "Common sense"...
alla prima stazione
1 ora fa
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