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venerdì 14 dicembre 2018

La “regola” del 3%

Una premessa: negli ultimi mesi sto seguendo meno la politica: probabilmente una fase di rigetto dopo un breve ma intenso periodo di maggior coinvolgimento.
In particolare mi sono reso conto che il profilo Twitter di Salvini non mi è utile per conoscere l’andamento della situazione politica italiana: è, sebbene legittimamente, troppo orientato alla propaganda (*1). Mancando totalmente le voci contrarie non riesco a capire cosa succeda realmente: dovrei riequilibrare artificialmente con Repubblica.it o Corriere.it (*0)…
Alla fine la mia fonte principale di notizie è divenuto il profilo Twitter Le frasi di Oshø!
Ovviamente seguo anche il profilo Twitter di Bagnai ma in genere si limita a brevi commenti e a rilanciare cinguettii altrui: raramente propone delle sue proprie riflessioni ben argomentate (*2).
Comunque da qualche tempo avevo notato parecchi rimandi al suo sito ma, scrivendoci ormai poco (*2), pensavo che si riferisse sempre allo stesso pezzo su “Macron” che mi interessava il giusto: invece no!
Finalmente oggi sono andato a dare un’occhiata e ho scoperto che ha scritto ben cinque pezzi apparentemente tutti molto interessanti!
Il primo di questi articoli è Le regole e proprio di questo voglio scrivere oggi (*3): inutile dire che consiglio fortemente la lettura dell’articolo originale del Bagnai perché enormemente più chiaro, completo ed esatto della mia seguente semplificazione…

Da più parti si sente parlare della regola del 3% di deficit rispetto al PIL e spesso non è chiaro perché se il limite è il 3% allora il 2-qualcosa% proposto dal governo italiano non vada bene.
Il problema in generale è che in economia le risposte troppo semplici sono spesso parziali e inesatte: per capire veramente è necessario un approfondimento che richiede un minimo di familiarità con i numeri e molta pazienza. Nel suo articolo Bagnai spiega meticolosamente tutti i dettagli della regola del 3% e io cercherò, come al solito banalmente, di riproporne qui di seguito la mia semplificazione “per idioti” sperando di non inserirvi troppe inesattezze.
Mi si potrebbe obiettare: “Sul sito XXX viene fornita una spiegazione molto diversa: chi ti dice che quella fornita dal Bagnai sia quella corretta?”.
Beh, mi fido di Bagnai perché ormai lo seguo da qualche anno e quanto letto sul suo sito si è sempre dimostrato corretto e affidabile; da un’altra parte perché i suoi pezzi sono corredati di collegamenti a fonti e a informazioni aggiuntive (cosa che MOLTO raramente accade negli articoli di chi scrive che Bagnai ha torto!): quando ho provato a controllare (e un paio di volte l’ho fatto) mi è sempre tornato tutto. Per questi motivi quando Bagnai scrive di economia ha la mia completa fiducia (*4).

Il nocciolo della questione è che il 3% di deficit non è calcolato sul PIL effettivo ma sul “PIL potenziale” (PPIL). Tutto dipende quindi da come si ricavi questo “PIL potenziale” (PPIL).
Il PPIL corrisponde al PIL effettivo al netto della “componente ciclica” dell’economia.
La “componente ciclica” è una stima ottenuta come prodotto di altre due stime e, quindi, a sua volta il PPIL è una stima.
Quando il PIL è superiore al PPIL “significa” (*5) che l’economia rischia di surriscaldarsi e quindi essa va contenuta diminuendo la spesa: ciò effettivamente avviene perché il saldo strutturale (basato sul PPIL) è minore di quello nominale e, di conseguenza, a parità di spesa il deficit diviene maggiore (e quindi si deve spendere meno).
Al contrario quando il PIL è minore del PPIL “significa” che l’economia è in difficoltà e necessita di un aiuto e, quindi, una spesa maggiore sarebbe auspicabile. E in effetti è proprio quello che consentono le formule: il saldo strutturale diviene maggiore di quello nominale e, di conseguenza, a parità di spesa il deficit diviene minore (e quindi si può spendere di più).

Fin qui, a parte le definizioni matematiche più o meno complesse e comprensibili, tutto avrebbe senso: quando l’economia è in difficoltà è lecito spendere un po’ di più mentre invece va raffreddata, spendendo meno, quando corre troppo.

Esiste però un paradosso nel calcolo della componente ciclica che serve al calcolo del PPIL: essa si base sui PPIL degli anni passati!
Dov’è il paradosso? Beh, supponiamo che un’economia subisca uno schock e che da questo non si riprenda immediatamente grazie alla piccola flessibilità permessa dalla regola del 3%, allora ciò che avviene è che la diminuzione del PIL diviene strutturale (indipendentemente da quale fosse la situazione economica qualche anno prima) e negli anni successivi non c'è quindi più quella flessibilità di cui invece, nella realtà, ci sarebbe ancora bisogno per tornare almeno a una situazione pre crisi.

Ma esiste anche un altro paradosso: se in caso di crisi economica un governo ottiene il permesso di spendere di più si ritroverà nell'immediato con un PIL migliore e, negli anni successivi, si potrà permettere maggiore spesa in caso di difficoltà (PIL reale minore del PPIL) perché anche il suo PPIL sarà più alto. Al contrario, se in caso di crisi un paese segue pedissequamente le regole (o viene obbligato a farlo dagli “amici” europei), ecco che si ottiene un doppio danno: l’economia reale (PIL) cresce meno (o cala di più!) rispetto a quella di chi ha potuto sostenerla maggiormente e, nel futuro, il PPIL diviene più basso col risultato che si avrà meno spazio di manovra (sia quando il PIL è maggiore del PPIL, più basso del dovuto, che quando è minore: in questo caso si ha sì un po’ più flessibilità ma non quanta sarebbe stato “giusto” ottenere).

La parte ironica è che quando la crisi economica c’è stata nel 2008-2009 noi abbiamo avuto un Monti che, sebbene osannato come salvatore della patria dai media compiacenti, in realtà ha ottenuto solo di comprimere l’economia italiana e ridurre in prospettiva il PPIL per gli anni futuri.
Guarda caso nazioni guidate con più criterio della nostra hanno fatto l’esatto contrario di Monti: ottenendo così sia un vantaggio immediato, sostenendo la propria nazione con più spesa quando ve ne era più bisogno, ma anche nel tempo, alterando favorevolmente la tendenza del PPIL e garantendosi così più spazio di manovra negli anni seguenti.
E guarda caso proprio chi adesso fa le lezioncine (sbagliate) di economia all’Italia (*6) si è avvantaggiato maggiormente della regola del 3% violandola quando gli faceva più comodo. Per i dettagli rimando alla lettura del pezzo di Bagnai Le regole.

Conclusione: i danni prodotti dal governo Monti, e non corretti dai successivi governi del PD, vuoi per incompetenza o per cieca subalternità all’ideologia del “prima l’Europa”, sono generazionali: la ricchezza di una generazione è stata bruciata e non è quindi un caso che tanti giovani italiani siano adesso costretti a emigrare a causa delle scarse prospettive che hanno in patria. L’EU, di cui tanti ancora agitano fanaticamente la bandiera come cani che scodinzolano al padrone, non solo non ci aiuta ma anzi insiste nell’imporci regole ingiuste e deleterie. Perché? Chiedetevi chi ci guadagna da un’Italia debole e non competitiva...

Nota (*0): il problema è che ascoltare due voci distorte non equivale a sentirne una imparziale!
Nota (*1): un po’ analogamente come col sito della Casa Bianca.
Nota (*2): io ho interpretato il fatto come il risultato della combinazione di due fattori: da un lato è molto indaffarato con la commissione che presiede, da un altro proprio il suo ruolo non gli consente di esprimere liberamente le proprie opinioni personali.
Nota (*3): anche perché credo sia propedeutico per la comprensione dei successivi…
Nota (*4): almeno fino a prova contraria: che però dovrà essere estremamente chiara e ben documentata e non, ad esempio, un trafiletto di Repubblica.it basato su qualche numero di incerta provenienza…
Nota (*5): fra virgolette perché non è tutto così automatico e semplice…
Nota (*6): sciupatrama: Francia e Germania...

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