Ho scelto a casaccio un altro libro di mia mamma: Il santuario delle ragazze morte di Stephen Dobyns, Ed. Club degli Editori, 1997, trad. Gianni Pannofino.
L'avevo riposto nella mia libreria di fantascienza e non so perché mia madre l'avesse comprato non essendo il suo genere. Pensavo fosse un giallo/orroroso e, senza troppa convinzione (non è neppure il mio genere!), l'avevo scelto come “libro da bagno” (a sostituzione dell'enciclopedia della filosofia che leggevo aprendola a casaccio! (*1)).
Invece è un libro anomalo: l'unico elemento da giallo che ha è quello di non rivelare il nome dell'assassino fino all'ultimo capitolo; di aspetti orrorifici non ce ne sono: non c'è magia né altri elementi soprannaturali. Mancano anche capitoli vibranti d'azione: anche perché tutta la vicenda è raccontata da un anonimo professore che ha vissuto gli eventi senza esserne mai coinvolto direttamente.
È invece un libro psicologico che presenta una grande varietà di personaggi ottimamente caratterizzati e che lasciano il segno. Soprattutto vuole mostrare la psicologia collettiva di una piccola cittadina americana e del progressivo deterioramento dei suoi valori o volendo, da un altro punto di vista, dello sgretolarsi della sua ipocrisia.
In definitiva un libro che si legge bene e che, una volta appassionatomi, ho terminato in pochi giorni.
Sfortunatamente questi libri, per quanto piacevoli, non sono particolarmente istruttivi: al massimo ci si può imbattere in qualche citazione altrui...
Così è stato con gradito e inatteso stupore che, svoltando pagina, ho subito notato un breve paragrafo sottolineato da mia madre. Ho riconosciuto il suo tratto perché era una sottolineatura a penna (orrore!) un po' incerta e storta, tracciata di fretta senza molta attenzione...
L'emozione era dovuta al fatto di rientrare in contatto con lei, con la logica dei suoi pensieri, di ricordarmi i suoi gusti e di ricostruirne il filo dei ragionamenti analizzando ciò che l'aveva colpita...
Il passaggio sottolineato è il seguente:
«Quando si sedeva a terra aveva bisogno di aiuto per rialzarsi. Jesse e Shannon lo aiutavano, mentre gli altri ridevano. Anche Chihani riteneva che ci fosse qualcosa di male nel fatto di essere così grassi. Era indizio di mancanza di disciplina. … … [Il ciccione è un po' dimagrito e si suppone che avesse] ridotto le dosi giornaliere di Coca-Cola o che … … fosse passato alla Diet Coke.»
Che dire? Non è la citazione di Oscar Wilde o di Lattanzio che sarebbe piaciuta a me...
Ha però il merito di avermi ricordato un aspetto di mia madre al quale non avevo mai prestato particolare attenzione ma che, in effetti, era piuttosto caratteristico.
La mamma ha sempre curato molto il proprio aspetto, sia nel vestire, sia nel truccarsi e, soprattutto, stando attenta a non mangiare troppo per non ingrassare.
Mi rendo conto adesso che, anche se non era mai stata una buona forchetta, aveva comunque sempre dovuto fare ricorso a una costante autodisciplina per evitare di abbuffarsi dell'occasionale ghiottoneria che le piacesse. Mi è quindi chiaro perché abbia sottolineato il pensiero di Chihani sulla disciplina...
Poi era sempre un po' fissata contro le bevande gassate: non perché facessero male ma perché facevano ingrassare! Anch'io, che da giovane ero magro come un chiodo, ero sempre ripreso se bevevo troppa Coca Cola...
Il fatto che poi il ragazzo ciccione del passaggio fosse deriso anche dai suoi compagni potrebbe aver ricordato a mia madre gli anni dell'infanzia quando anche lei era, relativamente, grassoccia.
Insomma il passaggio evidenziato non mi ha dato spunti per profonde meditazioni ma mi ha comunque fornito ricordi di mia mamma a cui ho ripensato sorridendo.
Conclusione: ci sarebbero da menzionare un altro paio di cosette secondarie ma preferisco chiudere qui con questo pizzico di nostalgia...
Nota (*1): per la cronaca, ora che il Santuario delle ragazze morte è stato prontamente promosso e terminato, il mio nuovo libro “da bagno” è divenuto una grammatica italiana della Zanichelli...
alla prima stazione
1 ora fa
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