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mercoledì 20 gennaio 2016

L'origine della dittatura

Ogni tanto mi chiedo come abbiano fatto fascismo e nazismo a prendere il potere. È di per sé una domanda oziosa poiché le mie scarse conoscenze storiche dell'epoca risalgono a pochi ricordi scolastici e, quindi, ogni risposta che mi do è basata in pratica solo sulla mia intuizione e, pertanto, non è particolarmente affidabile né significativa.
Eppure anche riflettere su argomenti su cui non si è preparati può essere importante e utile: ci si può incuriosire su aspetti della questione che poi ci motivano a informarsi per saperne di più; aiuta a inquadrare le vicende storiche in maniera tale che un successivo approfondimento delle stesse sia grandemente facilitato; queste riflessioni possono essere riapplicate in situazioni simili o con almeno delle similitudini... ed è questo il caso di oggi...

Sono dell'opinione che la maggior parte degli italiani e tedeschi non volessero la dittatura: sono infatti convinto che gli uomini, per natura, anelino alla giustizia e che solo l'incapacità collettiva li tenga lontani da essa. Nessuno vorrebbe la dittatura perché, oltre che per la sua insita ingiustizia, sa che in qualche maniera, magari anche marginale, finirà per esserne vittima.
Eppure le dittature esistono e, in qualche maniera, riescono a raggiungere il potere.

La mia conclusione è che quindi esistano almeno due fasi nella "vita" di una dittatura: nella prima le idee, i programmi politici, gli ideali di quel partito o movimento che si trasformerà in dittatura, devono sembrare legittimi e non pericolosi: la sua vera natura non è immediatamente manifesta né intelligibile; solo nella seconda fase la dittatura avrà acquisito abbastanza potere e si rivelerà tale imponendo le proprie decisioni anche senza l'approvazione della maggior parte della popolazione. Probabilmente esiste anche una fase intermedia che potrà, più o meno a lungo, sovrapporsi con la seconda: in questo periodo la dittatura inizia a fare scelte moralmente dubbie ma chi prima l'aveva sostenuta in buona fede, piuttosto che riconoscere il proprio errore di valutazione e opporsi a essa, si limita a storcere il naso e in qualche maniera trova giustificazioni per l'ingiustizia sempre più palese.

Nella prima fase quindi la dittatura non si presenta come tale ma si legittima con giustificazioni più o meno speciose; magari talvolta le sue iniziative più dubbie sono viste come il male minore: non piacciono, fanno storcere il naso, una voce dal fondo dell'animo ci avverte che in esse c'è qualcosa di profondamente sbagliato anche se forse non evidente e non immediatamente definibile... ma non le diamo ascolto perché non si vedono alternative migliori.
Nella seconda fase viene fuori il lato peggiore dell'animo umano: nessuno vuole la dittatura ma pochi hanno il coraggio di opporsi perché, passato il punto di “non ritorno”, essa è ormai divenuta troppo forte. Opporsi significherebbe infatti mettere a repentaglio la propria vita e magari quella dei propri cari: si preferisce allora subire, evitare guai e non guardare là dove avvengono le ingiustizie.

È evidente quindi che la maniera più efficace e meno dolorosa per porre termine a una dittatura è evitare che questa giunga alla “seconda fase”, quando sarà in grado di moltiplicare autonomamente il proprio potere.

Diviene quindi una domanda fondamentale chiedersi se sia sempre possibile riconoscere, durante la sua prima fase, se un certo movimento o partito politico abbia la potenzialità, una volta preso il potere ("fase due") di trasformarsi in una dittatura.

Io credo che spesso sia possibile comprenderlo: per vincere i cuori e convincere le menti della popolazione, e raggiungere così la massa critica per la fase successiva, sono necessari degli ideali in cui credere. Questi ideali sono protomiti (v. Protomiti e distorsioni) e a questa loro sfuggente essenza devono il proprio potere. Ad esempio il 99,9% della popolazione non vota un programma ma i miti che sovrappone a esso e con i quali si identifica. Soprattutto si tende a non considerarne le estreme conseguenze: si considera il mito nel contesto attuale senza valutare i figli e figliastri che da esso potrebbero derivare. Il motivo è che nessuno vede il futuro e prevederlo in maniera attendibile, soprattutto se non si conoscono analogie a cui rifarsi, richiede un'analisi attenta e approfondita del mito. Voglio dire che, ad esempio, il nazionalismo estremo, all'inizio dello scorso secolo, era considerato un mito legittimo visto che non se ne erano sperimentate le sue deleterie degenerazioni: ancora oggi, gli italiani che ne patirono le conseguenze, percepiscono il mito del nazionalismo con sospetto perché, in un certo qual modo, hanno sviluppato degli anticorpi a esso.
È quindi nell'essenza dei miti di un'ideologia e soprattutto oltre essi, nelle loro possibili conseguenze, che si deve guardare per individuare le potenziali dittature.
Ma non potrebbe una dittatura, una volta giunta alla “fase due”, abbandonare i vecchi miti, magari pacifici e innocui, sostituendoli con dei nuovi più pericolosi? È un'operazione possibile ma sicuramente lunga, difficile e complessa: probabilmente fattibile solo nel caso in cui il nuovo mito fosse facilmente derivabile dal vecchio, ovvero se, appunto, ne fosse una delle sue estreme conseguenze. Inoltre la dittatura, a forza di ribadirli, inizia a credere veramente nei propri miti anche se, magari, inizialmente erano stati costruiti ad arte per accattivarsi l'approvazione della popolazione. Un'interessante esempio di questo meccanismo psicologico l'abbiamo nella caccia alle streghe (v. Un bel libro) quando anche le alte sfere ecclesiastiche finirono per credere a un mito che avevano creato in precedenza per sfruttarlo a proprio vantaggio contro gli eretici.
Per questo motivo i miti caratterizzanti la fase iniziale di un'ideologia, visto che difficilmente saranno cambiati, sono comunque già significativi .

Diventa quindi fondamentale riuscire a immaginare come queste idee, in genere ritenute accettabili nel contesto storico del momento in cui vengono proposte, possano degenerare quando portate ai loro estremi.

Questa operazione di studio è però estremamente complessa e poche persone hanno il tempo, la capacità e la volontà di approfondire tali problematiche. La difficoltà sta nel riuscire a cogliere le analogie storiche, ma anche le differenze significative, e intuire il risultato dell'interazione di così tanti e disparati elementi (*1).

Io credo che, per quanto difficile, gli italiani negli anni che portarono all'ascesa del fascismo avrebbero avuto la possibilità di riconoscere in esso i germi della dittatura ma non ne ebbero però la capacità. Come scritto, sarebbe infatti occorso tempo, dedizione e cultura che pochi all'epoca potevano permettersi di avere.

E oggi siamo liberi dal pericolo della dittatura?
Sarebbe bello poter rispondere qualcosa del tipo “sì, adesso abbiamo capito e non ricadremo negli errori del passato” ma non è così.
Il problema è che la storia non si ripete uguale a se stessa: adesso siamo per così dire “vaccinati” da ideologie che portino a dittature basate su miti nazionalistici o sulla “razza”. Di certo, a parte pochi esaltati, la stragrande maggioranza delle persone diffiderebbe di un partito che facesse propri tali ideali.
Ma come detto le manifestazioni con cui la storia si ripete variano ed evolvono: se l'ideologia (con i germi della dittatura) non fosse presentata da una specifica forza politica? Se l'ideologia (con i germi della dittatura) non si basasse sugli ideali di “nazione” o “razza”? Se l'ideologia fosse presentata non come tale ma come, ad esempio, un "provvedimento tecnico"? Se apparisse per certi versi giustificabile? Se avesse la generale approvazioni dei media? Saremo realmente in grado di accorgerci del pericolo prima che fosse troppo tardi?

Rispondo a queste domande con un'altra domanda (retorica): l'uomo di oggi ha il tempo, la capacità e la volontà di cogliere e studiare con attenzione specifici cambiamenti che influenzino la società contemporanea?
La risposta è ovviamente “no”. Quando parlo di “uomo” non intendo infatti un singolo o pochi individui ma una fetta significativa della popolazione...

Come anno dopo anno, in inverno, ci ammaliamo di nuove forme di influenza così non siamo immuni ai nuovi pericoli che, assumendo forme mai viste prima, minacciano la nostra libertà futura.

Conclusione: il pericolo maggiore è però dato dal fatto che quando saremo vittima di una nuova dittatura sarà ormai troppo tardi per evitarla e sarà quindi estremamente difficile spezzarne le catene. Più in generale temo che sia nella natura dell'uomo non vedere la gabbia che gli viene lentamente costruita intorno e dalla quale, una volta chiusa, solo con grande fatica e sacrificio riuscirà, forse, a evadere...

Nota (*1): sfortunatamente lo studio della storia mi pare sia principalmente rivolto a costruire una “foto” statica di un certo momento nel passato, analizzandole attentamente ogni dettaglio ma perdendo di vista le dinamiche generali che regolano, o almeno influenzano pesantemente, l'evoluzione degli eventi. Un tentativo in questo senso lo feci io stesso nel pezzo Le leggi del potere ma è ovvio che dei veri esperti di storia potrebbero produrre delle teorie più approfondite e affidabili ma, soprattutto, utili a interpretare la direzione che il futuro prenderà...

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