Non mi è facile valutare sinteticamente il “Ramo d'oro” (*1): in particolare non saprei se consigliarlo o meno ai miei lettori...
Da una parte si tratta di un libro scritto molto bene, in alcune parti quasi lirico, e dal quale ho soprattutto imparato molto: mi ha letteralmente aperto gli occhi su molti aspetti della vita e della società...
Dall'altra parte si tratta però di un libro pesantissimo e lunghissimo: quasi 900 pagine scritte in piccolo (*2)!
Nonostante i suoi pregi mi ci è voluta molta determinazione per finire di leggerlo...
Ma di cosa si tratta? In pratica questo è il testo basilare dell'etnologia e, in questo senso, ha un'importanza affine a “L'interpretazione dei sogni” di Freud per la psicanalisi. Anzi, ripensandoci, vedo un'interessante “similitudine”: il “Ramo d'oro” sta all'etnologia come “L'interpretazione dei sogni” sta alla psicoanalisi e l'etnologia sta alla psicanalisi come la società sta al singolo individuo...
Ma come è possibile che io abbia trovato questo libro così impegnativo pur considerandolo eccezionalmente interessante?
Il libro inizia come un giallo: descrive un misterioso rituale che aveva luogo presso il bosco sacro e il santuario di Diana Nemorensis (Diana del bosco) vicino all'attuale Ariccia. In questo bosco vi era un albero sacro intorno al quale si aggirava uno strano sacerdote, chiamato Re del Bosco, sempre vigile e armato di spada. Egli era sempre in costante allerta perché, in qualsiasi momento, un altro candidato al suo ruolo avrebbe potuto venire ad affrontarlo in un duello all'ultimo sangue e, se l'avesse ucciso, ne avrebbe preso il posto come Re del Bosco.
Partendo da questi pochi elementi l'autore, come un detective, inizia a cercare di spiegare la ragione di questo misterioso rituale.
Ed è proprio la sua maniera di “investigare” la ragione della difficoltà di lettura del libro: l'autore non si comporta infatti come un investigatore-archeologo andando sul posto a cercare di disseppellire nuovi indizi. Al contrario, sposta le sue indagini in giro per gli angoli più remoti del mondo e va a descrivere, per decine e decine di pagine, le credenze e le usanze di popoli variamente primitivi. Inizialmente queste descrizioni possono anche risultare interessanti ma dopo qualche pagina diventa tutto tremendamente ripetitivo.
Comunque, confrontando questi comportamenti fra di loro, l'autore è in grado di indicarci il filo rosso che li lega assieme in maniera molto ma molto credibile.
Chi conosce l'etnologia (io invece me ne sono reso conto solo dopo un bel po') sa che l'autore non poteva fare diversamente: l'etnologia è infatti basata sull'induzione (*3), ovvero nell'individuare una regola generale basandosi sull'osservazione di molti casi particolari.
Insomma l'unica maniera in cui il Frazer giustifica i suoi ragionamenti è basandosi sulle numerose analogie comportamentali di varie popolazioni: se si limitasse a esporre pochi esempi il lettore potrebbe avere il dubbio, più che legittimo, che egli avesse lavorato troppo di fantasia...
Da qui deriva l'inevitabile pesantezza del libro...
E' impossibile riuscire a riassumere l'intero contenuto del libro e quindi, qui di seguito, mi limiterò a esporre delle idee che mi hanno particolarmente colpito.
Tutti i tipi di magia primitiva si possono ricondurre a due grandi categorie: la magia omeopatica (dove il simile riproduce il simile. Es.: il mago rovescia dell'acqua su una pianta e il risultato atteso è che piova sui campi del villaggio ) e la magia da contatto o contagiosa (le cose che sono state a contatto continuano ad avere una mutua influenza fra loro. Es.: se lo stregone brucia delle ciocche di capelli tagliati a un uomo allora questi perirà fra le fiamme).
Ma l'aspetto veramente interessante è come questi due tipi di magia siano basati su un errore nella logica dell'uomo primitivo.
Cito Frazer: “La magia omeopatica commette l'errore di postulare che le cose che si somiglino siano le stesse; la magia contagiosa commette l'errore di postulare che le cose che siano state una volta a contatto continuino a esserlo per sempre”.
Qualche perplessità sulle precedenti affermazioni? Beh, il Frazer impiega ben 40 pagine riportando oltre un centinaio di esempi di magia omeopatica e contagiosa di popoli primitivi. Vi assicuro che, dopo tale lettura, l'induzione effettuata dall'autore appare completamente giustificata!
Anche il triangolo fra magia, scienza e religione è particolarmente interessante: secondo il Frazer la magia precede la religione (*4) e si differenzia da essa perché il primitivo è convinto di avere il controllo sulla natura grazie alla magia. Nella magia vige cioè un principio di causa effetto: a una certa magia corrisponde ineluttabilmente un certo effetto. Nella religione invece l'uomo si rende conto di non avere il controllo sulla natura e chiede quindi l'intercessione di esseri a lui più potenti, tramite preghiere e/o sacrifici, per ottenere il risultato sperato.
Così come la scienza si ritrova spesso in conflitto con la religione analogamente, in passato, succedeva lo stesso con la magia.
Religione da una parte e Magia/Scienza dall'altra sono dei poteri in perenne conflitto fra loro: da una parte viene offerta la protezione di un essere superiore dall'altra c'è la fiducia nella forza dell'uomo.
Incredibile poi come, per la gran parte delle popolazioni, la maggior parte delle festività vada a cadere nei solstizi d'estate e d'inverno...
Il motivo è che l'uomo primitivo non vedeva i cicli naturali come li vediamo noi. In particolare i cicli del Sole, sia quello quotidiano del giorno e della notte, ma soprattutto quello annuale con l'alternanza fra estate e inverno riempivano l'uomo di timore.
Egli non era infatti mai sicuro che il Sole sarebbe sorto ogni mattina senza particolare riti propiziatori ma, soprattutto, era profondamente inquietato dall'alternanza delle stagioni. Infatti l'uomo era ben consapevole del collegamento fra il ciclo vegetale, dal quale dipendeva la propria sopravvivenza, e quello del Sole.
Per questo, ad esempio al solstizio d'inverno, festeggiava con sincero entusiasmo la rinascita del Sole.
Per motivi analoghi, subito dopo le feste “solari”, vengono quelle dedicate al mondo vegetale e, in particolare al grano (o al cereale più diffuso fra le popolazioni del luogo sia esso riso, avena od orzo). Ovviamente la maggior parte di queste feste aveva luogo in primavera, il periodo della rinascita della vegetazione, e in particolare per il 1° maggio...
Infine mi hanno colpito le similarità fra il cristianesimo e le religioni primitive. L'autore scrisse questo libro nel 1922 (mentre l'edizione in 12 volumi era precedente di una dozzina di anni) e forse per questo sta bene attento a non confrontare esplicitamente alcuni aspetti della religione cristiana con analoghi riti primitivi ma, tale contrapposizione, è comunque sempre evidente e probabilmente voluta.
Ad esempio l'usanza di uccidere e mangiare il proprio dio è molto comune: l'idea è che il fedele ne assorba almeno in parte le qualità.
Oppure l'usanza del dio ucciso come capro espiatorio: ovvero ucciso per purificare con la propria morte i peccati dei suoi fedeli.
Credo che le analogie con la religione cristiana siano ovvie...
Infine, tanto per dare un'idea della vastità degli argomenti trattati dal libro, riporto qui di seguito il titolo di 12 capitoli (in tutto sono 68 e io ne ricopierò uno ogni sei):
Il re del bosco
Dei umani incarnati
I re di Roma e d'Alba
Tabù di azioni
Re temporanei
Adone a Cipro
Religioni orientali in Occidente
Dioniso
Antiche divinità della vegetazione come animali
La trasmissione del male
Il mito di Baldr
L'anima esterna nei costumi popolari
In conclusione la lettura di questo libro è indicata solo a chi si senta particolarmente attratto dagli usi delle popolazioni primitivi. A tutti gli altri consiglio invece di trovare un buon riassunto del Ramo d'Oro in maniera da familiarizzarsi con le molte idee interessanti ivi contenute: ovviamente tali concetti andranno presi gioco forza per buoni perché la loro spiegazione non è sintetizzabili per il motivo spiegato all'inizio di questo post...
Nota (*1): “Il ramo d'oro: studio sulla magia e la religione” di James George Frazer, Ed. Euroclub Italia, 1995, trad. Lauro De Bosis.
Nota (*2): e la versione che ho letto io è la riduzione fatta dallo stesso autore dell'opera originale in 12 volumi!
Nota (*3): l'induzione è cioè l'opposto della deduzione dove, da una verità generale, se ne ricava una particolare in essa implicita.
Nota (*4): il passaggio dalla magia alla religione è l'unico concetto generale del Frazer che non mi convince: soprattutto l'autore lo vede come un processo guidato dalla ragione, da uomini più “intelligenti” che avevano riconosciuto l'inefficacia dei riti magici... Io, primo non sono sicuro che l'una segua l'altra, e inoltre credo invece che abbia influito molto di più il caso: magari qualche epilettico che in una crisi aveva creduto di parlare con lo spirito di un albero elevato poi al rango di Dio della vegetazione...
alla prima stazione
1 ora fa
sono d'accordo sul tuo commento. Aggiungerei solo che alcuni dei difetti che tu elenchi sono probabilmente giustificabili con il periodo a cui risale la prima stesura del libro, quando comunque questi erano solo i primi studi sull'argomento. Credo che il desiderio di metter dentro un po' di tutto (anche anche popoli e culture molto distanti tra loro in termini di spazio e di tempo forse a dimostrazione dell' "approfondimento") renda il libro poco fruibile a un lettore dei nostri giorni, a meno che non sia particolarmente motivato o curioso.
RispondiEliminaA. pensava che fosse un giallo e, non capendoci più nulla, si è fermato dopo trenta pagine...
Ciao D.,
RispondiEliminaMi conforta sapere che condividi il mio giudizio!
Comunque A. non aveva tutti i torti: come ho scritto l'impostazione iniziale è proprio quella di un giallo!
Mi chiedo cosa avrebbe avuto da aggiungere lo zio......uhm... di sicuro qualcosa di inaspettato e profondo...