Qualche anno fa scrissi il mio racconto di minor successo in assoluto.
Nessuno di coloro ai quali lo feci leggere ne rimase minimamente impressionato. Forse perché era di un genere che non mi era/è molto congeniale: il romantico/sentimentale.
Eppure si trattava di un racconto molto particolare, quasi sperimentale.
Prima di tutto la storia è un unico lungo dialogo: la descrizione sia del luogo che dei personaggi era resa esclusivamente attraverso le battute scambiate dai due protagonisti.
In realtà poi non era nemmeno un dialogo ma un monologo in quanto, una delle due voci si esprimeva solo tramite frasi brevissime mentre l'altra era molta prolissa.
Quest'ultima, la voce principale e vero unico protagonista, adottava un linguaggio un po' aulico e un po' antiquato mentre la controparte adoperava un normalissimo italiano (burbero e un po' maleducato).
Per divertirmi avevo inoltre infarcito ogni pagina con riferimenti e citazioni di poeti romantici per lo più inglesi ma non solo...
La storia in sé era piuttosto cerebrale: il protagonista, apparentemente pazzo, vive un fortissimo dilemma morale/sentimentale. È innamorato della ragazza che sta con l'altro personaggio e avrebbe il potere (c'è una sorta di maledizione/magia/spiriti segreti: roba complicata insomma) di riconquistarla solo che non lo fa perché teme che lei non sarebbe felice come lo è adesso.
Tranquilli non ho intenzione di propinarvi tutto il racconto!
In realtà la storia voleva essere un crescendo per arrivare a presentare la ragazza amata dal protagonista appena questa usciva dal negozio che stava visitando. Di seguito il brano finale rivolto dal protagonista alla sua amata (scusate i riferimenti, temo incomprensibili, a elementi del racconto):
E tu, Prima Figlia della Luna, Progenie Bellissima e Prediletta della Grande Madre, Stella Radiosa e Gioiello Celeste, Signora del Mattino e della Sera, Regina del Cielo e Meraviglia della Terra, Sola Rosa fra le Donne, Gloria dell'Occaso e Trionfo del Levante, Regina del tuo Re, Regina del mio Cuore, ridente e leggiadra fanciulla cui gli angeli danno nome Amaltea, non mi guardare con astio e rancore. Male non ti feci, male non ti ho fatto e mai male ti farò. Il cipiglio sul tuo volto non adombri la tua splendente bellezza. Terribile è la tua rabbia ma più doloroso mi è il tuo disprezzo. Salutami quindi con un sorriso e sii felice e buona col tuo bel Re. Non pensare troppo male di chi ti vuole bene! Non ha colpa di appiccarsi il legno gettato nel fuoco ardente della fornace: così chi impotente ammira il tuo volto o chi ode la tua calda voce o chi è ammaliato dalla grazia delle tue movenze o chi ha la fortuna di essere baciato dal soffio del vento che l'essenza di dieci violette, di cento glicini e di mille rose ha rubato dai tuoi capelli, non può fare a meno di innamorarsi per sempre della più preziosa delle figlie di Adamo. Così io non ho colpa, perché così è stato, e altrimenti non poteva essere e il mio cuore ama innocente.
È la purezza del tuo animo che si riflette nella bellezza del tuo aspetto che ti fa trascendere le altre donne così come la fiera leonessa si distingue dalle volgari gatte randage: nelle terre aldilà del cancello di Amunet, al riparo dei pensierosi salici, gli stessi sacerdoti della Madre tua, la Luna, mormorano di come perfino ella invidi il candore lucente del tuo cuore poiché, se tu fossi di cristallo, illumineresti a giorno la notte facendola sbiadire.
Ricorda che è stato il Fato a intrecciare insieme i fili delle nostre vite: accogli quindi senza biasimo l'augurio di felicità da parte di colui che, con animo sereno, accetta di pagarne il prezzo con la propria sventura. La cagione per cui tutto questo sia necessario mi è oscura e trascende la mia limitata comprensione. Nulla quindi so e nulla immagino del Suo volere superiore che presiede al destino di uomini, elfi e Dei.
Ti prego! non sbuffare gonfiando le rosee gote e non incrociare le bianche braccia sotto al petto: donami ancora un attimo del tuo tempo e permettimi di concludere ciò che ancora ho da dirti!
Perché una cosa ancora, dal profondo dei miei sogni, mi è stata concessa di vedere: questa non è l'ultima volta che ci incontriamo, così, in attesa di essere nuovamente abbacinato dal lucore della tua radiosa presenza congedami con un sorriso il cui ricordo mi sarà scudo e armatura contro ogni tribolazione. O benedicimi almeno con un lieve cenno, se non mi reputi meritevole di godere della tua voce melodiosa, e io sarò felice di sopportare le mie miserie sospirando il tuo nome, Amaltea, che nel mio cuore splende gioia, richiama bellezza e suona amore! Sii saggia! Sii felice! E non scordarmi...
Dimenticavo: anche in questo passaggio ci sono almeno un paio di riferimenti a poesie famose (di cui una famosissima): il lettore può divertirsi a cercare di distinguere la dolce poesia dalla mia vischiosa melassa...
In realtà avevo avuto l'idea di aggiungere altri due parti (della seconda avevo pure scritto una bozza) per farne una sorta di commedia. Sfortunatamente le critiche negative mi hanno tolto molto entusiasmo e così ho lasciato perdere...
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