Allora stamani ho già terminato di scrivere il pezzo La setta ma ho ancora voglia di scrivere: soprattutto avrei dei compiti sgradevoli da assolvere e, da procrastinatore professionista, sto cercando di rimandarli.
Ne approfitto quindi per scrivere su “Una teoria della giustizia” di Rawls: sono rimasto indietro di molti capitoletti che, sebbene singolarmente non troppo interessanti, erano comunque ricchi di spunti.
Invece di partire da dove ero rimasto (che neppure me lo ricordo) voglio provare a partire dal sottocapitolo letto stamani e, se c’è tempo (spazio), passare ai precedenti.
In pratica oggi ho terminato il capitolo VIII, “Il senso di giustizia”, che diversamente dai precedenti cercava di essere un po’ più concreto che i precedenti: una delle mie critiche a quest’opera era infatti che si tratta di una teoria che non mi sembrava applicabile in pratica, troppo teorica e lontana dalla realtà. Da questo punto di vista anche questo capitolo non è stato troppo soddisfacente: trovo che generalmente vi sia comunque una distanza troppo grande fra realtà e teoria qui proposta.
Nello specifico il capitoletto odierno era “77. Le basi dell’uguaglianza”. Semplificando un po’ Rawls propone un criterio sufficiente ma non necessario per avere diritto alla stessa giustizia.
In pratica ogni persona che ha la potenziale capacità di avere una coscienza morale e di agire secondo giustizia (per esempio i bambini) ha diritto a quest’ultima.
L’altro aspetto su cui Rawls insiste molto è che basti avere una soglia minima di questa capacità e, contemporaneamente, non significa che chi abbia un senso particolarmente sviluppato di giustizia gliene spetti più che agli altri.
Questa definizione ha interessanti conseguenze.
Vi ricordate durante la pandemia quando grandi giuristi su FB (ironico) ma anche giornalisti di media più o meno importanti ci spiegavano che chi non si era vaccinato non meritava di essere trattato come gli altri malati? Qualche infermiere dal senso di giustizia particolarmente sviluppato si vantava di divertirsi a torturare queste persone rendendo le procedure mediche il più dolorose possibili. E immancabilmente questi messaggi raccoglievano la loro buona dose di approvazione dalla folla della rete sociale…
Ma anche senza scomodare le follie pandemiche quante volte si sente dire “tizio non meriterebbe XXX perché YYY” dove “YYY” è qualcosa con cui l’autore del pensiero virgolettato è in disaccordo.
In verità io ho sempre considerato tali affermazioni come una maniera colorata per dirsi in disaccordo, magari dettate dalla rabbia di un momento. Non ho mai pensato fossero seriamente intese: eppure proprio il fatto che Rawls ci spenda un paragrafo mi fa venire il dubbio che non sia così. Che persone, evidentemente dotate di un raffinatissimo senso di giustizia, possano pensare di privare altri di giustizia, diritti e libertà in base al loro personale arbitrio…
Ma vediamo cosa scrive Rawls al riguardo: “Inoltre, anche se gli individui hanno capacità variabili per il senso di giustizia, questo fatto non costituisce una ragione per privare quelli che hanno una capacità inferiore della completa protezione della giustizia. Una volta soddisfatto un certo minimo, una persona ha diritto alla libertà eguale alla pari con ciascun altra. […] È stato detto, a volte, che i diritti e le libertà fondamentali dovrebbero variare con la capacità, ma la giustizia come equità lo nega: a condizione che soddisfatto il minimo per la personalità morale, a una persona spettano tutte le garanzie di giustizia.” (*1)
Successivamente Rawls aggiunge una considerazione un’ulteriore considerazione sulla giustizia: questa uguaglianza non deve essere semplicemente formale ma deve essere sostanziale. Non deve essere una vuota procedura (“uguaglianza di considerazione”) ma deve soddisfare il contenuto dei principi di giustizia.
Forse la mia seguente analogia è un po’ forzata ma quando ho letto le parole di Rawls mi è immediatamente tornata in mente una mia considerazione sulla democrazia: la democrazia si va sempre più andando a identificare con la procedura del voto, del “votare per chi si vuole”, mentre invece dovrebbe maggiormente coincidere con la “libertà di scelta consapevole”.
E “che differenza c’è?” mi direte voi: se puoi votare per chi ti pare non è la stessa cosa?
Secondo me no: alle prossime elezioni europee io vorrei votare per una forza politica contraria alla guerra in Ucraina e contro il massacro di Gaza, che voglia far chiarezza sulla gestione della pandemia, che sia per aumentare le libertà individuali invece che per ridurle a partire dalla libertà d’espressione. Ma questa forza non esiste, queste problematiche vengono censurate, nemmeno se ne può parlare oggettivamente. Intendiamoci, magari esiste il partitino con lo 0,001% dei voti che la pensa più o meno come me: ma il problema è che i partiti maggiori, quelli che effettivamente andranno a incidere sulla politica europea, sono sostanzialmente tutti uguali.
La libertà fra scegliere di votare “cencio” o “straccio” è una libertà puramente formale, non concreta, e pertanto priva di valore.
Il capitolo termina con questa considerazione: “La concezione di giustizia, se fosse realmente efficace e pubblicamente riconosciuta come tale, sembra avere più probabilità delle sue concorrenti di trasformare la nostra prospettiva del mondo sociale e di riconciliarci con le disposizioni dell’ordine naturale e con le condizioni della vita umana.” (*2)
Questa frase isolata dal suo contesto suona in verità un po’ fuffosa ma Rawls scrive sempre cose sensate: tutto sta nell’interpretarla correttamente. È infatti il concetto che vuole esprimere piuttosto elusivo.
Nella mia Epitome, in [E] 18.3 “Sintesi: contro la diseguaglianza economica”, propongo una soluzione draconiana per evitare i giganteschi accumuli di ricchezza che oltre a provocare ingiustizia economica vanno poi a drogare e corrompere il sistema democratico provocando ulteriore ingiustizia legalizzata.
Chiaro che io per primo sono consapevole della profonda avversione che la mia proposta susciterebbe nei super ricchi e nei loro eredi. Ma questo, riflettevo, soprattutto nella mentalità attuale dominata dal profittismo ([E] 14.4) in cui il sommo bene è il denaro. In quest’ottica limitare fortemente la trasmissione della massima ricchezza equivalerebbe al sommo male.
Intuivo però che se le persone che lasciano alla società ingenti ricchezze fossero dovutamente apprezzate e celebrate allora potrebbe cambiare la mentalità: il bene non sarebbe più accumulare per sé la massima ricchezza ma realizzare il massimo bene per la società.
In una nota cercavo di esprimere questo concetto: “Inoltre si potrebbe pensare di incentivare chi lascia grandi patrimoni alla società con speciali onorificenze: certo, occorrerebbe anche un cambiamento di mentalità per dare reale valore a tali simboli ma credo che, nel medio-lungo periodo, in una società ripensata come sto suggerendo, sarebbe fattibile.”
E questo mi sembra lo stesso identico concetto espresso da Rawls riferendosi alla propria teoria della giustizia come equità.
Conclusione: ho già scritto abbastanza. Rimando gli spunti dei capitoli precedenti a un prossimo pezzo o, più realisticamente, me ne dimenticherò!
Nota (*1): tratto da Una teoria della giustizia di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 476.
Nota (*2): ibidem, pag. 481.
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