[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.7.1 "Sherlochulhu").
Inizio a scrivere e vedo cosa viene fuori.
Prima di tutto volevo spezzare un paio di lance a favore dell’Agnellino.
In Aprilità varie l’avevo preso un po’ in giro paragonandolo ad Alessandro Magno (nonché accennando a delle inquietanti somiglianze espressive con Speranza) in contrasto col fallimento, in pratica immediato, del suo progetto per la Superlega.
Ma in realtà c’è da notare che non era stato l’unico ad aver sbagliato i calcoli: ben altri 11 presidenti erano stati convinti della bontà del progetto.
Che significa? Possibile che Agnellino sia molto più preparato di come me lo immagino?
Certamente è possibile: ma in verità credo che siano gli altri presidenti a essere delle persone con capacità completamente nella norma (o poco più) e il cui successo è dipeso per gran parte dalla buona sorte o dalla buona nascita (che in fondo è un tipo di fortuna anch’essa).
In genere quando queste persone ideano un piano finanziario per guadagnare soldi nessuno gli si oppone: di certo non la politica né i media. Anzi, probabilmente, tutti vogliono salire sul loro carro: soldi guadagnati facilmente a spese, più o meno indirettamente, della gente comune.
In questo caso però l’operazione non ha potuto godere del silenzio compiacente dei media: le reazioni contrarie, non dall’Italia (ma di questo scriverò poi, credo), si sono fatte sentire e il magico piano per guadagnare facile è subito fallito. Ci sarà da vedere se l’Agnellino conserverà i suoi fagioli magici per provare a piantarli fra qualche tempo oppure no.
La seconda lancia è che se “tutti” ti fanno sentire un genio alla fine ti illudi di esserlo e sopravvaluti la correttezza dei tuoi progetti: e i giornalisti, ma sono sicuro tutta la gente “comune” con cui quotidianamente entra in contatto, pendono dalle sue labbra e considerano numinose verità qualsiasi sua parola…
Ma anche questa interpretazione psicologica è superficiale: all’Agnellino di essere osannato e ammirato dalla gente comune gliene importa il giusto: ormai vi è abituato e lo considera normale. Penso che invece le rivalità e invidie all’interno della famiglia, anche solo inconsce, siano più significative: probabilmente non vorrebbe essere considerato meno capace dell’Elkann maggiore (non Lapo, l’altro) e questa poteva essere l’occasione per mostrare la sua abilità e astuzia: è possibile che queste emozioni abbiano contribuito a offuscarne il giudizio.
Ma in realtà non me ne importa troppo: di sicuro l’Agnellino cascherà in piedi e fra pochi mesi i giornalisti dimenticheranno questa storia per non metterlo involontariamente in imbarazzo…
Potrei adesso scrivere della reazione degli italiani alla proposta della Superlega completamente diversa da quella degli inglesi ma preferisco cambiare argomento.
Voglio commentare invece una frase di Marcuse: «La storia dell'ontologia rispecchia il principio della realtà che governa il mondo con esclusività sempre maggiore» (*1).
Suona complicata ma non lo è: “ontologia” qui sta in senso generico per filosofia mentre il “principio della realtà” è una definizione di Marcuse (credo mutuata da Freud) che indica la società in tutti i suoi aspetti, gli obblighi e, soprattutto, le logiche a cui il singolo deve sottomettersi per rendere possibile la civiltà.
Il senso diventa quindi, in parole povere, qualcosa di questo genere: “Nel corso della storia la filosofia rispecchia/si sovrappone/giustifica la società/la logica del tempo lasciando sempre meno possibilità di eccezioni”.
Questa riflessione è completamente compatibile con la mia visione ([E] 6.5) della morale e della relazione di questa con la società (e volendo la religione) o, se preferite, con quella di Nietzsche. Insomma è il comportamento della società che detta la morale e non il viceversa.
Fin qui niente di nuovo ma oggi vi ho aggiunto un mio commento a margine che mi sembra degno di menzione. Lo ricopio e poi vedo di spiegarlo meglio: «La filosofia studia la realtà e cerca di interpretarla e spiegarla → la semplice esistenza di una situazione “rischia” di essere dimostrata necessaria e inevitabile anche se non è così.»
Ovvero la filosofia osserva e cerca di spiegare la realtà: questo comporta che un qualsiasi fenomeno, meramente per il solo fatto di esistere, tenderà a essere dimostrato inevitabile e necessario. Non è quindi per sola piaggeria verso il potere che i filosofi tendano a spiegare il proprio tempo con la logica coeva: è piuttosto, in generale, una conseguenza del considerare ciò che è più probabile di ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
La filosofia spiega la realtà del tempo ma non si preoccupa di essere in grado, con la propria logica interna, di interpretare ugualmente ciò che avrebbe potuto essere.
Io vi vedo anche la conseguenza della cappa ideologica provocata dal paradosso dell’epoca ([E] 6): il considerare cioè il presente come il risultato finale dell’evoluzione e della cultura umana, un qualcosa da cui è difficile staccarsi per guardare oltre o considerare alternative.
Immodestamente credo che la teoria della mia Epitome da questo punto di vista sia estremamente valida: non l’ho ideata limitandomi a cercare di dare una buona interpretazione del nostro tempo ma mi sono basato sull’intera storia umana. Essendo valida per il passato e il presente mi fa ben sperare che sia altrettanto utile per il futuro.
Conclusione: smetto qui perché voglio andare a leggere in giardino: dopo giornate schifose oggi si sta benissimo! (e non c'è alcun nesso nascosto fra l'Agnellino e la frase di Marcuse!)
Nota (*1): tratto da “Eros e civiltà” di Herbert Marcuse, (E.) Einaudi, 1968, trad. Lorenzo Bassi, pag. 155.
alla prima stazione
2 ore fa
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