Oggi voglio scrivere un po’ a ruota libera…
Gli argomenti sarebbero molteplici e, probabilmente, di molti me ne dimenticherò…
Il primo è di filosofia politica: non ricordo dove, mi pare su YouTube, ho trovato il concetto che destra e sinistra tendono verso il centro soprattutto in quei paesi dove maggiore è l’intolleranza verso chi la pensa diversamente: dove se vince la sinistra è la fine del mondo e viceversa. Questo accade nei paesi dove c’è stato un reale conflitto sociale, cioè una guerra civile.
È chiaro che l’ideatore di questa teoria aveva in mente l’Italia e l’uscita dalla seconda guerra mondiale dove il conflitto sociale post Resistenza non si è mai pienamente ricomposto.
Non so: ho trovato l’idea interessante ma, istintivamente, non mi convince del tutto. Voi lettori cosa ne pensate?
La mia sensazione è che si tratti di un processo inevitabile quando si preferisca massimizzare i voti a discapito dell’ideologia.
Diciamo che io sia l’arcagete della destra: potrei decidere di spostare verso il centro il mio programma politico basandomi sull’idea che l’elettore di destra comunque continuerà a votarmi anche se il programma gli piace meno perché lo trova comunque meglio di quello di sinistra e, magari, riesco a strappare un elettore di centro alla sinistra. Il ragionamento è completamente simmetrico per l’arcagete della sinistra.
Ecco, semmai, a mio avviso diviene determinante la consistenza dell’elettorato di centro: se questa è alta allora il relativo “bottino” di voti farà gola a destra e sinistra che faranno a gara per strapparselo.
Se invece fosse poco consistente allora probabilmente è più sensato per destra e sinistra mantenere le proprie distinte ideologie in maniera da non rischiare di perdere nell’astensione gli elettori più estremizzati.
Magari, si potrebbe ipotizzare che l’elettorato di centro è più forte proprio là dove si è avuta una guerra civile: la massa di chi vuole una vita tranquilla al di là delle ideologie...
Comunque, per riprova, mi piacerebbe sapere qual è uno stato con due sole coalizioni di destra e sinistra che non tendano a sovrapporsi su posizioni intermedie.
“L’agnellino è buono anche dopo Pasqua” sarebbe stato il titolo del corto su quella che sembra essere la conclusione della Superlega. “Agnellino” è infatti il simpatico soprannome che ho da tempo attribuito ad Andrea Agnelli: ci faccio caso adesso ma qualcosa nell’espressione vacua del suo volto mi ricorda Speranza. L’Agnellino però ha potuto usufruire di un’istruzione di prim’ordine e alla fine il risultato mi pare accettabile. Se ben ricordo avevo ipotizzato che, in condizioni “normali”, prescindendo cioè dai suoi nobili natali, sarebbe potuto essere un buon garzone di panetteria, mentre invece è divenuto presidente della Juventus. A causa del suo ruolo i giornalisti italiani, che hanno introiettato nella loro ragion d’essere un’eccezionale piaggeria e servilismo verso i ricchi e potenti, lo hanno sempre dipinto come un genio ed erano soliti pendere dalle sue labbra come se ogni sua parola fosse una massima da scolpire nella pietra. Ancora adesso non si capacitano che il progetto del loro beniamino sia naufragato ancor prima di partire: se l’Agnellino dicesse loro che la Superlega è ancora viva e vegeta questi lo ripeterebbero ai propri telespettatori/lettori come fosse una verità assoluta, magari immaginandosi qualche fantomatico, quanto inesistente, asso nella manica o anche senza immaginarsi nulla ma per solo spirito di ubbidienza.
Invece l’istruzione è sì importante ma non è tutto: se l’Agnellino fosse stato il figlio di Filippo di Macedonia e se, come Alessandro, avesse avuto come precettore Aristotele comunque non sarebbe divenuto l’Agnellino Magno (l’Agnellone cioè) ma probabilmente sarebbe stata la Persia a “magnarsi” la Macedonia: la storia sarebbe stata completamente diversa e magari oggi in Italia parleremo una lingua neo-persiana…
Ci sarebbe poi da scrivere sull’atteggiamento dei tifosi (e degli allenatori) inglesi rispetto a quelli italiani ma preferisco cambiare argomento.
Sto continuando a leggere Hobbes: da noioso e diventato assurdamente noiosissimo.
Si è messo infatti a commentare la Bibbia e, oltretutto, neppure in maniera interessante. Da qualche capitolo Hobbes sta spalmando le sue definizioni sull’argomento e oggi si è scatenato su cosa sia un “miracolo”. Vi risparmio le sue arbitrarie elucubrazioni e passo direttamente all’osservazione interessante.
Sui miracoli, spiega Hobbes, bisogna essere scettici perché potrebbero essere trucchi ideati da persone in malafede: basta già un falso taumaturgo aiutato da un complice (che per esempio finge di venire guarito) che molte persone vi crederebbero subito. E se oltre al falso taumaturgo e il suo complice vi fossero anche molti falsi testimoni, pronti a giurare sul miracolo, allora vi crederebbero ancor più persone.
Tutto vero, banalmente vero direi…
Eppure in questo meccanismo vi ho visto l’essenza di un fenomeno moderno: la propaganda dei media.
Cosa cambia? Alla fine ogni media propone, su certe tematiche, una visione della realtà sostanzialmente falsata: ma se ogni media mostra lo stesso scenario come fa il telespettatore/lettore a capire di essere ingannato? Se mancano voci discordi l’utente medio crederà facilmente alla ricostruzione dei media visto che, dopotutto, sarà sempre più plausibile di un miracolo.
Marcuse fortunatamente sta divenendo invece più interessante: almeno il 4° capitolo lo è stato molto. Il 5° è di riepilogo e, l’ho capito oggi, ripercorre il rapporto fra felicità/libertà/società alla luce della teoria di Freud e di vari filosofi. Già con Aristotele ho avuto problemi perché si rifaceva a un concetto che non ho incontrato ma è stato con Hegel che ho perso il filo: almeno un paio di pagine sono incomprensibili. Nelle pagine seguenti ho visto nominato Nietzsche quindi spero di ricominciare a carburare.
Comunque qualcosa (mi pare!) ho capito. Provo a spiegarlo con le mie parole: l’uomo per realizzarsi ed essere felice/completo deve confrontarsi, nel senso anche di scontrarsi, con i suoi simili. Il confronto deve essere totale: ecco quindi che l’uomo deve essere libero di rischiare la propria vita per poter realizzare la propria essenza ed essere felice.
Ma forse è meglio se cito Marcuse: «La libertà implica il rischio della vita, non perché essa implichi la liberazione dalla servitù, ma perché il contenuto stesso della libertà umana è limitato dalla mutua “relazione negativa” con l’altro. E poiché questa relazione negativa incide sulla totalità della vita, la libertà può venire “provata” soltanto rischiando la vita stessa. Morte e angoscia – non come “paura dell’uno o dell’altro elemento, né dell’uno o dell’altro momento del tempo”, ma come paura per il proprio “essere integro” - sono i termini essenziali della libertà e della soddisfazione umana.» (*1)
Più chiaro? Beh, il resto del capitolo è ancora più criptico!
La variante indiana l’avete sentita nominare? Io sì, ieri, in un video di lunedì: Risk from India double mutation del Dr. Campbell.
In breve il Dr. Campbell è molto allarmato perché in India è stata trovata una nuova variante che si sta diffondendo a ritmi altissimi.
Per me però l’interesse del video è un altro: è la dimostrazione/conferma di una mia osservazione pubblicata in Immunità varie: l’immunologo intervistato spiegava che una buona ragione per cui tutti ci dovremmo vaccinare è quella di ridurre le possibilità (proporzionale al numero di infetti, asintomatici o no) che il virus muti in nuove varianti potenzialmente più pericolose. In una nota io affermavo però: «Sarebbe vero se tutte le persone della Terra si vaccinassero più o meno contemporaneamente: in Africa e in altre regioni povere il virus continuerà a proliferare ed evolvere indipendentemente dalle vaccinazioni fatte negli USA e in Europa.». CVD.
Conclusione: dovrei anche scrivere della mia lavatrice ma non ho più voglia…
Nota (*1): tratto da “Eros e civiltà” di Herbert Marcuse, (E.) Einaudi, 1968, trad. Lorenzo Bassi, pag. 146.
alla prima stazione
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