Ormai oltre un anno fa scrissi il pezzo Libertà e salute dove iniziai a pormi il problema di dove dovesse essere posto il confine fra salute e libertà. Oggi mi pare di aver fatto un deciso passo avanti: ma non voglio anticipare le mie argomentazioni.
La nostra visione soggettiva della realtà è condizionata da come viviamo, dal nostro lavoro, ovvero dal nostro posto nella società e dai relativi valori che questo porta con sé.
Per un medico il valore più alto, il principio primo con cui valutare il bene e il male, è la salute del suo paziente. Per un macellaio è la carne. Per un insegnante è l’istruzione. Per un artista è la (propria) arte. Per un intellettuale è la cultura. Per un politico il potere. Per un imprenditore il denaro. Per un sarto la stoffa. Per un burocrate le regole. Per un giudice la legge. E… penso che abbiate capito il concetto!
Tutti gli uomini poi hanno delle basilari necessità per sopravvivere: una famiglia, un lavoro e, di conseguenza, la protezione di questi ha il valore più alto.
Aggiungo inoltre che chi rischia la vita per un certo ideale (vero o illusorio che sia) come il soldato in guerra, darà poi grande valore a quello stesso principio. L’abitudine che impatta sul nostro stile di vita plasma la morale: se questa abitudine è condivisa dall’intera società, e non peculiare di un singolo o di pochi, è allora la stessa morale della popolazione che evolve. Qualsiasi evento in grado di cambiare le abitudini dell’intera società ottiene quindi lo stesso risultato: ne modifica i valori e, in ultima analisi, la morale.
Ma tornando al nostro dottore iniziale, se interpellato su una decisione da prendere, su cosa baserà la propria risposta? L’abbiamo già detto: sulla salute. Chi dedica la vita a qualcosa considera questo stesso oggetto come il più alto valore. È una forma di dissonanza cognitiva: convincersi che ci sia qualcosa di più importante equivalerebbe a pensare di aver sprecato la propria vita.
Un medico quindi antepone la salute davanti a tutto: questo non significa che abbia sempre ragione a farlo ma è semplicemente la sua forma mentale che lo spinge a valutare il mondo da questa prospettiva: una prospettiva la cui unità di misura è la salute e con essa si calcola il bene.
Non è quindi un caso che i medici, e in generale tutti coloro che lavorano nell’ambiente sanitario, antepongano la salute alla libertà. Sarebbe però giusto e sensato che il resto della popolazione si domandasse se è questo ciò che vuole, ciò che ritiene essere il bene per se stessi e per la propria comunità.
Ma come ho premesso l’uomo comune, e in realtà tutti gli uomini, alla fine si preoccupano dell’incolumità e della sopravvivenza della propria famiglia più di ogni altra cosa: è facile quindi convincerlo che la salute sia più importante della libertà se i media lo subissano ribadendo questo concetto.
Il cambiamento di abitudini generalizzato imposto dalla quarantena e dalle altre restrizioni sta poi modificando la morale della popolazione: la libertà diviene un valore subordinato alla salute. Tutti iniziano a pensare così perché il loro comportamento, non importa quanto obbligato, lo conferma.
Inutile ricordare, pensiamo all’ultima guerra, che per la libertà molte persone abbiano dato la vita e che quindi, almeno per esse, la libertà fosse di gran lunga più importante della salute.
In realtà, da un punto di vista puramente morale, non esiste alcuna verità assoluta: l’etica cambia da epoca e società. Non vi sono valori assoluti. Neppure il “non uccidere” è un principio universale: non vale in guerra verso il soldato nemico, in alcuni sistemi giuridici vige la pena di morte e in alcune religioni si sacrificavano uomini alle divinità oppure, semplicemente, è ritenuto lecito uccidere per salvare la propria vita.
Da un punto di vista utilitaristico le cose sono però diverse.
La salute sarebbe più utile della libertà solo se la salute fosse il fine della vita. Ma per qualsiasi altro obiettivo la libertà è spesso lo strumento fondamentale per raggiungerlo: anche a costo di qualche occasionale giorno di malattia.
È fuorviante l’argomentazione di chi afferma che la salute è tutto perché senza di essa non si può fare niente. La malattia che costringe perennemente a letto è solo un caso estremo, sebbene naturale, di negazione della libertà: non certamente la dimostrazione che la salute sia più importante della libertà.
Per assurdo il malato gravissimo affetto da una malattia mortale che però non ha sintomi di sorta se assume una certa medicina ogni giorno (come un malato di HIV tenuto sotto controllo) è probabilmente più felice di chi ha una malattia lieve ma è costretto a letto per settimane (come il giovane con una gamba rotta).
In altre parole l’importanza della salute non è tanto in se stessa ma nel suo impatto sulla nostra libertà, ovvero per quello che ci permette o ci impedisce di fare.
Chi afferma che la salute è tutto in verità dice che la libertà data da una buona salute è tutto: semplicemente gli sfugge che la salute senza libertà è di ben poca utilità e che difficilmente porta alla felicità. Non si dovrebbe confondere il mezzo con il fine.
Conclusione: per questo resto convinto che la libertà sia più importante della salute. Peccato che anche in questo caso finirò in minoranza ammesso di non esserlo già.
Io vorrei i tre giorni di sonno!
12 ore fa
Nessun commento:
Posta un commento