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venerdì 2 aprile 2021

Chomsky e Rambo

[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.7.1 "Sherlochulhu").

Come previsto nei giorni scorsi ho finito il libretto “Media e potere” di Noam Chomsky, (E.) Bepress Edizioni, 2014: una brevissima raccolta di articoli di Chomsky che ha il grave problema di non citarne l’origine o altri dettagli come anno di pubblicazione e titolo. Anche il traduttore, che comunque ha fatto un ottimo lavoro, è ignoto.

In Chomsky: 3° articolo (1/2) avevo lasciato a metà il mio commento al pezzo “L’origine della propaganda” semplicemente perché dovevo finire di leggerlo.
Questo pezzo è quindi la conclusione del precedente: non l'ho intitolato "Chomsky: 3° articolo (2/2)" perché... beh, lo scoprirete!

Non ho intenzione di scrivere un discorso organico ma, semplicemente, seguirò le mie note a margine. Semmai in conclusione vedrò di tirare le somme di quanto letto e, forse, altro.

- Uno degli strumenti principali della propaganda è la paura: chi ha paura di qualcosa infatti diviene meno razionale e quindi più facilmente manipolabile.
-Nell’articolo Chomsky spiega come sia difficile per le persone che la pensano diversamente dalla maggioranza mettersi in contatta fra di loro: il senso di isolamento le porta a facilmente a pensare di essere nel torto. Come spiegato nella premessa di questi articoli non è specificata la data di pubblicazione originale: da varie citazioni la mia stima è che questo articolo sia stato scritto agli inizi degli anni ‘90. È importante sottolinearlo perché all’epoca Internet era ancora agli incunaboli. Da questo punto di vista quindi la teoria di Chomsky è perfettamente compatibile con la mia su pensiero maggioritario e minoritario ([E] 10.6): ovvero che il pensiero minoritario è sempre esistito ma in passato chi vi apparteneva non aveva la possibilità di entrare facilmente in contatto con chi la pensasse allo stesso modo.
- Altro strumento della propaganda è infatti quello di isolare il dissenso.
- Negli anni ‘60 ci fu negli USA una rinascita, specialmente nei giovani, di movimenti libertari e pacifisti che negli anni ‘70 determinarono una forte opposizione interna alla guerra in Vietnam che, negli anni ‘80, era ancora viva (la guerra finì nel 1975).
Mentre leggevo mi ero quindi chiesto: “e negli anni ‘90 dov’è finita tale tendenza?”. Poi, proprio ieri sera, ho riguardato “Rambo” (appena tornato disponibile su Netflix) e ho capito…
Nel pezzo Chomsky: 3° articolo (1/2) riportavo l’affermazione che gli strumenti della propaganda erano tre: 1. media; 2. scuola e 3. cultura popolare.
Sul terzo non avevo chiarissimo cosa intendesse Chomsky: ora penso di aver capito.
In Rambo, pellicola del 1982, il protagonista è un reduce del Vietnam con cui è impossibile non simpatizzare che venendosi a trovare in una ridente cittadina americana viene preso di mira dal suo sceriffo: sulla reazione violenta di Rambo (che comunque cerca di non uccidere nessuno mettendo così anche a rischio la propria vita) è basato poi il resto della trama.
Ovviamente lo spettatore si immedesima nel protagonista, il reduce del Vietnam, e finisce per disprezzare lo sceriffo antipatriottico e forse sadico.
Lo spettatore si trova quindi nella situazione ideale auspicata dalla propaganda (v. il solito Chomsky: 3° articolo (1/2)) e va a identificare come “bene” Rambo, i reduci, la guerra in Vietnam e la guerra in genere; come “male” lo sceriffo, chi attacca i reduci e i pacifisti. È ovvio che queste concatenazioni di significati non sono razionali (dalla vicenda personale del personaggio di Rambo è impossibile stabilire se la guerra in Vietnam fosse “giusta” o no) ma completamente inconsci.
Mi è adesso evidente che Rambo, anche grazie al suo straordinario successo di pubblico, dovette avere un ruolo notevole nel cambiamento di prospettiva degli americani sulla guerra.
In questa ottica mi viene da pensare che “Rambo III” (1988), dove Stallone è spedito in Afghanistan a combattere i malvagi russi, sia stato poi utilissimo a giustificare l’intervento statunitense contro l’Irak che è del 1990.
Riassumendo la scuola è estremamente efficace a indirizzare il pensiero dei giovani (pur con le incertezze provocate dai diversi insegnanti singolarmente difficilmente controllabili) a causa della “plasmabilità infantile” ([E] 1.4); i media sono efficaci anche con gli adulti ma, soprattutto oggi, sono stati ormai abusati e avendo perso molta credibilità non raggiungono più tutta la popolazione. Quindi ecco la funzione della “cultura popolare” nella propaganda: essa riesce a raggiungere pervasivamente tutta la popolazione proprio per la sua capacità di diffondere protomiti col potenziale di divenire epomiti assoluti e, così facendo, eclissandone altri ([E] 3.4, 6.2).
Ovviamente non è facile costruire a tavolino un successo cinematografico come Rambo: suppongo, se fossi a capo della propaganda di uno Stato, che non giocherei tutto su un unico “cavallo” ma cercherei di puntare su molteplici prodotti (non solo film ma anche libri, articoli, musica etc.) sperando che almeno uno di essi si trasformi in un successo.
Intuitivamente avevo da tempo percepito questa relazione fra propaganda e film. Possibile, per esempio, che la cancellazione di “House of Cards” sia dovuta al fatto che metteva in evidenza il cinismo della politica e l’inconsistenza della democrazia? Oppure che lo stesso sia accaduto a “Messiah” (nonostante il grande successo di pubblico) perché troppo pacifista e velatamente anti-israeliano?
Io credo di sì come, contemporaneamente, mi sembra che la propaganda nelle serie tivvù, specialmente quelle di Netflix, stia divenendo sempre più invadente e anche evidente: soprattutto le serie inglesi…
Per correttezza aggiungo che questa dissertazione su Rambo e serie varie è tutta farina del mio sacco...
- Altro strumento: la riscrittura della storia; la realtà mostrata dai media come semplice apparenza. Come non essere d’accordo? Metà della mia Epitome affronta questo argomento…
- Abbandono negli ultimi “15 anni” (stimando l’articolo dei primi anni ‘90 credo che Chomsky intenda dalla fine degli anni ‘70) di politiche realmente a favore della popolazione USA: sistema sanitario, scuola, crimine, alloggi, disoccupazione, degrado delle periferie etc.
- Quanto mi manca mio zio Gip! Tantissimi anni fa mi aprì gli occhi sui media dicendomi che per essi “la notizia è un prodotto che deve essere venduto”: questo implica che di un evento non si cerchi la sua verità oggettiva ma, piuttosto, la sua spettacolarizzazione. Attira di più la foto di un convegno culturale oppure la foto di una bella ragazza in abiti (o anche senza) succinti? Ve le ricordate le copertine di Panorama e di l’Espresso degli anni ‘80 e ‘90? Per chi è troppo giovane per ricordarle dico semplicemente che non avevano niente da invidiare a Playboy.
Ebbene Chomsky fa un passo ulteriore, oppure sono stati i media a trasformarsi ulteriormente: il prodotto dei media non è più l’informazione ma il proprio pubblico.
I media vendono cioè agli inserzionisti una precisa tipologia di persone, il loro pubblico cioè. Chiaramente i principali fruitori sono le agenzie pubblicitarie ma è evidente che anche chi ha interesse a fare propaganda politica può usare questi strumenti per influenzare uno specifico pubblico non solo con la pubblicità ma anche commissionando articoli o servizi televisivi.
Ormai, per esempio, i grandi quotidiani italiani, come Repubblica, Il Corriere della Sera o il Sole 24 ore, non guadagnano più sulle copie vendute ovvero, indirettamente, sulla qualità dei propri articoli; la loro attività principale è diventata invece influenzare i propri lettori, il ritorno non è immediatamente economico ma questi media appartengono ormai a grandi gruppi economici i cui obiettivi sono sostanzialmente politici: ottenere cioè le leggi a loro più favorevoli: la perdita di qualche milione nell’editoria è più che compensata dai centinaia di milioni di maggiori profitti ottenuti con pressioni lobbistiche, grazie anche alla manipolazione dell’opinione pubblica.
Fortunatamente questo continuo abuso del loro ruolo teorico gli ha fatto perdere nel corso degli anni gran parte della loro credibilità e ormai una fetta cospicua della società si rifiuta di seguirli o, se gli ascolta/legge, pensa (spesso senza errare) che la verità sia esattamente l’opposto di quanto affermato.
- I cambiamenti lenti e progressivi, come per esempio le riduzioni della libertà, vengono molto più facilmente accettati che se fossero bruschi e immediati.
Tristemente vero: è un’altra delle tante conseguenze nefaste dei limiti dell’uomo.

Conclusione: eppure Chomsky è ottimista, non solo in questi articoli ma anche, per esempio, nella sua intervista che ascoltai appena pochi mesi fa. Io no: vedo delle tendenze attuali che non sono cicliche ma inedite e tutte sfruttate contro la maggioranza della popolazione.
Le piramidi sociali sono sempre esistite e, periodicamente, collassavano su loro stesse: adesso però gli strumenti tecnologici sono tali che le piramidi sociali attuali tendono ad assomigliare a grattacieli altissimi e incredibilmente solidi. Può darsi che prima o poi crollino anche questi ma dovrà trattarsi di un evento globale che avrà ripercussioni catastrofiche: siamo all’inizio di un nuovo medioevo che sarà particolarmente oscuro e opprimente.

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