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domenica 31 luglio 2016

Fisette, Aristotele, il venerabile Yuri e KGB

Il sogno:
Sono tornato a lavorare all'ESA. Mi viene presentato il mio nuovo capo diretto, un ragazzetto appena laureato sui 25-30, italiano o francese [non ricordo], Fisette qualcosa (*1). C'è poi il mio amico Filipe [v. Matrimonio russo-portoghese-olandese 1 e 2] che però, per motivi di opportunità non è il mio capo, e poi come capo del mio capo c'è il vecchio capo del mio capo: Pierre, un francese severo e ossuto [nella realtà ormai in pensione]. So che ci sono altre persone nella nostra squadra ma non le conosco.
Lavoro bene: passo effettivamente parte del sogno a lavorare a del codice [ma ora non ricordo i dettagli se non una vaga immagine che, sebbene interessante, è troppo difficile da spiegare].
Già il secondo giorno lavoro bene e faccio molti progressi. Il terzo giorno Filipe si affaccia alla mia porta e mi dice qualcosa di vago su Fisette: non capisco bene a cosa voglia arrivare perché è di fretta. Finalmente, alle sette spaccate [anzi, conoscendomi, qualche minuto prima!], mi preparo ad andarmene.
Arriva Pierre, il capo del mio capo, che mi vede in partenza e mi chiede se “ho parlato” con Fisette: io gli dico di no, senza ben capire a cosa volesse arrivare, poi aggiungo che il lavoro procede a gonfie vele. Nel frattempo Pierre chiama Fisette che, al richiamo del proprio capo diretto, arriva subito: appena mi vede in partenza capisce tutto e mi spiega [non ricordo se il dialogo seguente nel sogno è in inglese o italiano], in tono molto paternalistico, dell'importanza del lavoro di squadra e della cooperazione interna: ma, al di là delle belle parole, semplicemente vuole che lo avvisi quando me ne vado: evidentemente per controllare che io lavori le mie otto ore.
Così, molto pazientemente, prendo sottobraccio Fisette e gli spiego: “Ti parlerò francamente: devi sapere che qualche anno fa ho lavorato qui per qualche tempo e allora ci si comportava in maniera diversa. Mi rendo conto che l'organizzazione interna sia nel frattempo cambiata e che, per questo, anche le sue regole si siano evolute. Quindi da domani, da questo punto di vista non ci saranno problemi, ma non si può pensare che io sia a conoscenza di questa novità se, al secondo giorno di vero lavoro, nessuno me l'ha ancora illustrata”. Gli chiedo poi tutta la lista delle persone a cui mi dovrei rivolgere se lui non fosse raggiungibile. Contemporaneamente suppongo che Filipe, conoscendo la mia suscettibilità, avesse cercato di parlarmene informalmente senza però averne il tempo [improbabile, Filipe è molto sveglio e me lo avrebbe fatto sapere prima di iniziare a lavorare, ma comunque plausibile nel caso, ad esempio, che anche lui l'avesse saputo all'ultimo momento].

Ripensando al sogno suppongo che dia una buona idea del mio caratteraccio: invece di far finta di niente ci tengo a puntualizzare di non sentirmi colpevole per aver infranto una regola, una novità, di cui non ero stato informato. Inoltre non nascondo la mia irritazione per tale obbligo che vedo, sostanzialmente, come una mancanza di fiducia nei miei confronti.
Credo sia anche da notare come nel sogno nessuno sia interessato ai grandi progressi fatti nel mio lavoro, la sostanza, ma ci si preoccupi ossessivamente solo di regole superficiali, ovvero della forma. E io ho già avuto modo più volte di spiegare come alla forma preferisca di gran lunga la sostanza...

In verità, una volta sveglio, mi ha colpito la sensazione di logicità e chiarezza delle mie argomentazioni. Mi sentivo infatti molto lucido e, ripensando a un capitoletto dell'Etica nicomachea letto il giorno prima, ho immaginato la critica che avrei potuto scriverci.
Aristotele spiegava che il fine ultimo dell'azione umana è la felicità perché l'uomo, con ogni sua azione, direttamente o indirettamente mira a essa.
Ovviamente io non sono d'accordo: il venerabile Yuri direbbe che il fine ultimo dell'azione umana non è la felicità ma il perfezionamento; io dico che è il completarsi, il raggiungere il proprio scopo attraverso la conoscenza di cui la felicità è solo una possibile conseguenza. Posso infatti facilmente immaginarmi in una giornata triste quando scopro o capisco qualcosa di molto importante, ovvero faccio un reale avanzamento nella conoscenza: in tal caso sarei soddisfatto ma non felice. Per non parlare poi di quando scopro qualcosa che mi irrita! Semplicemente la conoscenza non ha niente a che vedere con la felicità: non per nulla esiste il modo dire “beata ignoranza”! Di conseguenza se lo scopo dell'uomo è la conoscenza di sé e del mondo allora non può esserlo la felicità.

Ma magari ho semplicemente frainteso Aristotele: come spiegato sono solamente all'inizio del libro e fra traduzione, oscuri riferimenti a Platone e la sinteticità della logica dello Stagirita, è facile confondersi. Oltretutto quanto ho capito non coinciderebbe esattamente con la spiegazione del professor Sandel secondo cui, per Aristotele, lo scopo dell'uomo sarebbe l'attività politica (*2) e non la ricerca della felicità. Ma magari nei capitoli successivi si scoprirà che l'uomo raggiunge la felicità attraverso la propria realizzazione, ovvero attraverso l'attività politica: non esatto ma sarebbe coerente.

Ci si potrebbe poi chiedere: “ma il venerabile Yuri e KGB non sono la stessa persona?”
Non esattamente: il venerabile Yuri è il religioso, il profeta illuminato. KGB è invece il filosofo che rapportandosi all'insegnamento del venerabile Yuri, ma senza averne la sua fede, può solo constatare la coerenza e logicità del suo messaggio.

Tutto questo ho pensato stamani appena sveglio, ma allora i miei pensieri erano più chiari di quanto sia poi riuscito a scrivere. Veramente frasi concise e semplici che spiegavano elegantemente quanto ho qui descritto con discorsi che riecheggiano appena la nitidezza di quei miei pensieri mattutini.

Conclusione: valeva la pena di alzarsi alle 6:00 per scrivere questo pezzo?

Nota (*1): in realtà anche ai miei tempi c'era un Fisette, un francese che non mi piaceva per niente, ma non ha niente a che fare col giovanotto, forse italiano, del mio sogno...
Nota (*2): in un'accezione molto più ampia di quanto si intenderebbe oggi. Forse “partecipazione attiva alla vita sociale pubblica” sarebbe più corretto.

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