Nella 21° lezione del corso di filosofia della morale e giustizia ho incontrato un argomento che ha di nuovo (dopo la “pausa Aristotele” (*1)) solleticato il mio interesse.
Si è infatti affrontato la questione della responsabilità morale collettiva e nel tempo: esattamente lo stesso argomento di cui scrissi, all'epoca completamente digiuno di filosofia della morale, nel pezzo Colpa degli Eruli!.
L'idea della responsabilità collettiva, oltretutto che si trasmette attraverso gli anni, mi era parsa completamente ridicola: nel mio pezzo infatti, senza troppi sforzi, butto giù diverse obiezioni di cui le principali sono: 1. si è responsabili solo per ciò che si fa personalmente; 2. dubbi sulla attribuzione della responsabilità collettiva (*2); 3. dubbi sulla transitività nel tempo della responsabilità.
Nella conclusione poi mi limito a liquidare l'idea della responsabilità collettiva scrivendo come i suoi argomenti «...siano estremamente superficiali e facciano leva su elementi emotivi piuttosto che razionali».
Negli USA la questione è invece piuttosto sentita e presa sul serio perché molte leggi sono basate e giustificate da un tentativo di “compensazione” della schiavitù di oltre un secolo fa. Molti studenti, un paio di lezioni addietro, avevano sfiorato l'argomento mostrando un fanatismo piuttosto aggressivo sull'argomento. Qualcosa di estremamente logico e razionale del tipo “è giusto compensare punto e basta”.
Ero quindi curioso di scoprire quale fosse la posizione dei grandi filosofi sull'argomento.
In realtà per i filosofi “moderni” (in contrapposizione agli “antichi” come Aristotele) il problema nemmeno si pone.
Per Kant ad esempio il singolo è responsabile solo di ciò che fa personalmente, non certo per quanto fatto dai suoi connazionali magari secoli prima. Per Kant l'uomo è libero di decidere quale sia il proprio bene e, contemporaneamente, questa assoluta autonomia lo affranca anche da tutte le tradizioni, i legami con la storia e le situazioni ereditate nelle quali non abbia avuto un ruolo diretto.
Fatta questa premessa il professor Sandel ha pescato dal cilindro un certo Alasdair MacIntyre che, involontariamente, ha evidenziato un limite del suo corso: cercando di dare una panoramica di tutti i punti di vista, soprattutto su questioni molto dibattute come questa della responsabilità collettiva, il professore finisce per mettere sullo stesso piano filosofi del calibro di Kant e Aristotele con altri filosofi moderni le cui idee ancora non hanno superato la prova del tempo e che, come in questo caso, hanno (a mio avviso!) l'unico merito di sostenere e giustificare teorie che, magari per ragioni politiche (il "politicamente corretto"), sono viste di buon occhio. Ma è ovvio che nel mondo attuale la quantità di informazione è tale che, praticamente, è possibile trovare teorie che sostengano qualsiasi cosa anche se, ovviamente, non tutte hanno lo stesso spessore o la stessa fondatezza...
Alasdair MacIntyre è l'ideatore della teoria della “concezione narrativa del se stesso” (*3). L'uomo è un animale la cui caratteristica principale è quella di narrare storie e tutto, anche la morale, si riduce quindi a una storia. Una persona di fronte a una scelta morale si rivolge alla propria storia personale per interpretarla e decidere come comportarsi. Ma tale storia personale è frutto della società in cui viviamo e dipende anche dalla storia passata. La conseguenza è che la morale individuale è fortemente interconnessa con quella della propria famiglia, della propria città e della propria nazione. Per questo gli obblighi e le responsabilità dell'individuo si sovrappongono a quelli della propria comunità.
Inutile dire che la conclusione di questa teoria è che il singolo è pienamente responsabile di ciò che la società, che lo ha formato come individuo, ha fatto nel corso della storia. Ecco quindi giustificata la responsabilità collettiva e tutto ciò che ne consegue come, ad esempio, le leggi di “compensazione”.
I vari passaggi logici fra le varie affermazioni sono piuttosto coerenti ma, come ho visto fare ad altri filosofi contemporanei, alcune premesse sono decisamente arbitrarie e, come in questo caso, errate.
In particolare la premessa speciosa nella teoria di MacIntyre è che la morale debba basarsi a sua volta su una narrazione. Sono d'accordo che ogni uomo abbia la propria “narrazione del sé”, che ad esempio Harari definirebbe “realtà immaginaria soggettiva”, ma ciò non significa che egli non possa (e non debba) cercare di staccarsene per giungere a una morale indipendente dal singolo.
Al contrario seguendo il ragionamento di MacIntyre si arriva al paradosso di avere morali particolari per ogni persona: e quindi ciò che è giusto per Tizio potrebbe essere sbagliato per Caio o viceversa. Tanto per dirne una Kant fonda tutta la sua morale sul fatto che essa sia indipendente dal singolo e valida anzi non solo per tutti gli uomini ma addirittura per ogni essere senziente (perché basata sulla ragione)!
È chiaro come, venendo meno questa premessa fondamentale, tutto il resto sia privo di senso.
Conclusione: c'è da dire che il professor Sandel mantiene la sua neutralità non facendo capire agli studenti verso quale teoria propenda. Credo che sia giusto che gli studenti si facciano le proprie idee senza condizionamenti: la filosofia va compresa con la propria testa e non imparata a pappagallo per compiacere il professore di turno e assicurarsi un buon voto...
Nota (*1): forse avevo aspettative troppo alte ma le lezioni su Aristotele mi sono rimaste piuttosto indifferenti. Magari ci scriverò un pezzo riepilogativo, così da memorizzare meglio le teoria affrontate, ma di per sé niente mi ha colpito particolarmente.
Nota (*2): ad esempio io, benché italiano, non mi sento responsabile dei disastri che combina Renzi perché non l'ho votato.
Nota (*3): immagino che in Italia sia nota con parole diverse ma, come al solito, non ho idea del gergo filosofico italiano e traduco dall'inglese come meglio mi pare...
sabato 9 luglio 2016
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