È ormai da molti anni che la locuzione “politicamente corretto” va di moda. Credo che fu “importata” dagli USA negli anni '90 e da allora ha saldamente preso piede anche da noi.
A me però istintivamente non è mai piaciuta e, adesso che ci ho ragionato cinque minuti, mi piace ancor meno.
“Politicamente corretto” viene attualmente usato in senso positivo per indicare un qualcosa (una norma, una decisione, una frase, un discorso, un libro...) che si attenga a dei principi, vaghi e mutevoli, in cui (in genere!) “politico” è confuso con “egalitario”. I principi a cui ci si richiama sono (ma non sempre!) l'uguaglianza fra i sessi, la non discriminazione per razza o religione e simili.
Invece per me predomina un significato più negativo: è “politicamente corretto” ciò che fa guadagnare voti. Non ci sono quindi principi da salvaguardare e, anzi, spesso uno o più di questi viene “sacrificato”.
La locuzione “politicamente corretto” è infatti spesso usata ipocritamente per non dire le cose come stanno e la sua vittima preferita è la verità. Oggettivamente in politica si deve essere rapidi e concisi nelle proprie affermazioni e questa velocità va a scapito della chiarezza: per essere chiari e corretti si dovrebbe talvolta ricorrere a lunghe spiegazioni e sottili distinguo e allora ecco che il politico, piuttosto che fare affermazioni che potrebbero essere usate contro di lui, ricorre al “politicamente corretto” e fa di tutta l'erba un fascio. Ecco che il “corretto” pare perdere il significato di “giusto” e assumere quello neutro di (opportunamente) “modificato”.
A volte si ricorre ad affermazioni “politicamente corrette” solo per evitare guai: perché specificare ci porterebbe, magari anche solo potenzialmente, accuse da cui non è facile difendersi e, per questo, si sacrifica il vero senza esitazioni.
C'è poi nel “politicamente corretto” un'ipocrisia di fondo che consiste nell'attenersi a certi principi (uguaglianza, rispetto, etc..) limitandosi a PARLARE in accordo a essi, spesso come si è visto superficialmente, e senza invece mai FARE e, talvolta, senza neppure PENSARE (nel senso di credere) a ciò che si dice. Riguardo alla morale del pensare, parlare e fare correttamente rimando al pezzo Valeria Solesin e Zoroastro.
Conclusione: insomma il “politicamente corretto”, come tutto ciò che sta troppo attiguo alla politica, da “corretto” è divenuto “corrotto”!
PS: ho scritto questo pezzo ieri sera (lasciando solo qualche ritocco) e oggi, leggendo alcuni nuovi pezzi di Goofynomics, mi sono imbattuto in questo breve commento del suo autore: «Diciamo che il politicamente corretto è il primo baluardo delle canaglie.»
Solita buffa serendipità...
L'esempio di Benjamin Franklin
2 ore fa
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