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sabato 24 aprile 2021

Coesione e forza di gruppo

[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.7.1 "Sherlochulhu").

Stamani stavo correggendo il terzo capitolo dell’Epitome quando ho avuto un’intuizione interessante. Voglio mettere nero su bianco queste idee in maniera da poterci ragionarci meglio e, in seguito, aggiornare la mia opera.

Nel capitolo 3.1 introduco le strutture e ruoli e li comparo spiegandone le sostanziali similitudini; in 3.2 passo poi a elencarne le caratteristiche principali: il grado di apertura e di autonomia.
Mi sono però reso conto che in questo processo manca un dettaglio importante, forse anche fondamentale.

Descrivo i gruppi come gli insiemi di persone che hanno lo stesso ruolo ma questo fa sorgere una domanda solo apparentemente banale: che cosa fa sì che le persone che condividono lo stesso ruolo si uniscano in un gruppo?

Chiaramente l’origine di questo comportamento è psicologica: l’uomo primitivo collabora con i suoi simili per difendersi dalla natura; in una cultura più avanzata la natura non è più un pericolo diretto ma lo diviene la società stessa.

Immaginiamoci il gruppo dei custodi di un grande museo all’arrivo di una nuova legge sui dipendenti pubblici: che effetti avrà sui custodi? Che opportunità rappresenta? E quali rischi o difficoltà aggiuntive comporta?
Attraverso il passa parola i custodi condivideranno fra loro le notizie più utili che hanno raccolto: questo equivale a una forma di protezione comune.
Inoltre, condividendo le stesse vicissitudini, fra i custodi si crea un legame di reciproco supporto emotivo che aiuta a sopportare e superare le difficoltà.

Più in generale le persone che svolgono lo stesso ruolo (a parità di altre possibili interferenze esogene) tendono a pensarla alla stessa maniera perché la loro prospettiva e le loro esperienze dirette saranno le medesime (v. anche [E] 3.4; si può applicare la teoria dell’evoluzione degli epomiti globali anche localmente, ai gruppi che condividono le stesse esperienze significative, ovvero che impattano sulla loro vita quotidiana). Questo corrisponde a condividere gli stessi protomiti magari anche solo peculiari di tale gruppo.
Inoltre avranno la stessa visione del proprio lavoro, ovvero i tautomiti interni del loro ruolo.
Allo stesso tempo eventuali divergenze di pensiero tendono a ridursi a causa del limite dell’imitazione, della pressione di gruppo e simili: aumenta quindi l’omogeneità relativa interna.

In definitiva coloro che hanno un medesimo ruolo tendono a condividere obiettivi, ideali, visione del mondo e del proprio ruolo. Questo facilità la creazione di un legame emotivo che li spinge a collaborare insieme per difendersi “dall’esterno”: nel caso dei custodi, dal dirigente del museo, dalle leggi e burocrazia a cui sono soggetti e dai visitatori.
L’effetto complessivo è quello di una solidarietà che porta alla formazione del gruppo.

Chiaro che i legami più forti si stringono fra persone che hanno la possibilità di frequentarsi direttamente e possono così stabilire relazioni emotive fra loro: per questo considero il grado di apertura di un gruppo determinante per stabilirne la forza.
Ma già la condivisioni di numerosi protomiti porta automaticamente all’abbattimento di molte barriere: avete mai notato quando, magari in vacanza, si incontrano due persone che hanno lo stesso lavoro? Subito si scambiano informazioni e aneddoti relativi al loro ruolo e, in maniera immediata, si forma una sorta di cameratismo. Tutto molto umano perché completamente istintivo.

La regola che si può trarre da questa considerazione è l’importanza della coesione dei membri di un gruppo fra loro: più tale coesione è forte e maggiore è la forza del gruppo stesso.
Questo perché una grande coesione porta a una maggiore collaborazione e, quindi, a raggiungere più facilmente gli obiettivi del gruppo. Inoltre, la maggior solidarietà fra i membri porta anche alla maggior disponibilità di sacrificio dei singoli membri per gli altri (ovvero per il relativo bene comune): questo sacrificio può andare dalla semplice partecipazione a una colletta fino alla decisione di rischiare la propria incolumità fisica.

Come ho già scritto è chiaro che il grado di apertura di un gruppo ne condiziona la coesione ma questo non è l’unico fattore. La condivisione degli ideali, della visione del mondo e dei tautomiti è ugualmente importante. Ancora più importante sarebbe il legame emotivo ma questo è possibile solo fra un numero limitato di persone perché, in genere, richiede un contatto diretto.

Un’altra conseguenza importante è che si può alterare la forza di un gruppo modificandone la coesione. Mi viene in mente adesso l’esempio della Superlega: appena il gruppo si è sfaldato la loro forza complessiva è venuta meno e, in poche ore, il progetto è crollato.

Un gruppo diviene quindi più forte (e la legge della crescita, [E] 5.2, ci dice che questo sarà un suo obiettivo) aumentando la propria coesione. Ma soprattutto sarà indebolito (e questo è l’obiettivo dei gruppi/poteri rivali) diminuendola: ovvero modificandone il grado di apertura (aumentando cioè il numero dei membri) e colpendone i protomiti locali e i tautomiti.
Non per niente il famoso studio di Putnam sull’immigrazione conclude che questa impatta, diminuendola, sulla solidarietà della società: cioè è coerente con la mia teoria. In questo caso infatti il diverso sfondo culturale, e magari religioso, comporta una visione totalmente diversa del mondo e quindi, a livello di democratastenia, si frammenta la condivisione degli epomiti. Una parziale riprova la si ha negli ambienti di lavoro con pochi membri: qui l’immigrato ha modo, oltre che di costruire legami emotivi (utilissimi per superare eventuali pregiudizi), di assimilare i tautomiti del ruolo e i relativi protomiti (sempre relativi al lavoro) condivisi dai colleghi: in altre parole l’immigrato potrà integrarsi con relativa facilità nell’ambiente di lavoro. Le divergenze potranno poi riemergere, magari inaspettatamente per i colleghi, quando si confronteranno i protomiti relativi alla visione del mondo.

Esito però a considerare il livello di coesione come una caratteristica base di un gruppo (insieme a livello di apertura e autonomia) essenzialmente perché non è misurabile a priori (e quindi meno utile) se non in quanto legato al livello di apertura. Sicuramente andrà considerato quando si vorrà analizzare concretamente la forza di uno specifico gruppo/potere: ma non è possibile generalizzare facilmente quali siano a priori i gruppi coesi e quelli che non lo sono.

Conclusione: non siamo a livello di un nuovo sottocapitolo ma sicuramente questo nuovo concetto avrà grosse ripercussioni sul capitolo terzo dell’Epitome e, a cascata, su tutti gli altri.

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