Oggi voglio concludere (v. il precedente Mill colpisce ancora (parte III)) la mia rivisitazione di “Saggio sulla libertà” di John Stuart Mill. In realtà ci sarebbe anche una quinta parte ma, se ben ricordo, è un’applicazione della sua teoria all’Inghilterra del XIX secolo e, quindi, decisamente meno interessante delle precedenti: gli darò un’occhiata per completezza ma suppongo, a meno di qualche citazione significativa, che al massimo ci scriverò un corto.
Il titolo di questa quarta parte è “Dei limiti all’autorità della società sull’individuo” ed è a tutti gli effetti il completamento della precedente dove si esaltava il valore dell’individualità, dell’indipendenza e della libertà del singolo e la sua generale utilità per la stessa società.
Qui cambia la prospettiva del punto di vista ma l’argomento rimane lo stesso: la libertà d’azione dell’individuo.
I criteri di base per cui, secondo Mill, la società può imporre la propria volontà al singolo sono solo due e molto semplici:
1. Difendere se stessa (ovvero le persone che la compongono) dal singolo.
2. La partecipazione del singolo al mantenimento della società: pagamento tasse, impegno nella difesa militare etc.
Il secondo punto è abbastanza ovvio e c’è poco da aggiungere: chi gode dei benefici della società deve anche contribuire a mantenerli.
È il primo punto a essere critico: a livello teorico siamo, credo, tutti d’accordo con tale principio (che ricorda molto la legge naturale di Hobbes sintetizzabile in “non fare agli altri quello che non vorresti che essi facessero a te”) ma, come ho sottolineato anche nel precedente Mill colpisce ancora (parte III) la difficoltà sta nell’individuare dove deve stare il confine fra libertà individuale e protezione della società (cioè degli altri).
Infatti praticamente qualsiasi attività umana può avere delle ricadute più o meno negative sulla società. Copio e incollo dal mio precedente pezzo appena citato:
«[…]
Che dire? Il confine fra la libertà personale e il dovere e gli obblighi verso la società è labile. Il criterio di non danneggiarla non è assolutamente dirimente.
Per esempio: “Danneggio gli altri se non mi vaccino per una malattia? (rischiando di infettare un immunodepresso)”, “Danneggio gli altri se bevo alcool? (rischiando di ubriacarmi e commettere qualche follia)”, “Danneggio gli altri se mi drogo?”, “Danneggio gli altri se fumo all’aperto? (il costo dell’eventuale malattia è in parte pagato dalla società)”, “Danneggio gli altri se mangio una bistecca? (l’impronta ecologica della carne animale è altissimo rispetto a un hamburger vegetale)”. E potrei proseguire in questa maniera per praticamente qualsiasi azione umana.
[…]»
Mill riporta poi, dopo essersi posto da solo varie obiezioni, un criterio più preciso per definire ciò che l’individuo deve essere autorizzato a fare: «Ma, per quanto concerne il danno puramente contingente o, come lo si può chiamare, costruttivo che un individuo causa alla società con una condotta che non infranga alcun dovere specialmente verso il pubblico, né leda percettibilmente alcuna persona precisa salvo l’individuo stesso, si tratta di un fastidio che la società può permettersi di sopportare, nell’interesse di un bene maggiore, la libertà umana.» (*1)
Gli elementi significativi qui sono due: Mill riconosce che non è possibile impedire completamente che la libertà individuale non danneggi indirettamente la società. E questo è di per sé una considerazione fondamentale. Il secondo elemento è il nuovo criterio che propone ovvero “non ledere alcuna persona precisa”. La mia interpretazione è che al momento dell’azione libera presa in esame il suo autore non sappia se altre persone potranno esserne danneggiate e, soprattutto, non possa identificarle a priori. In questo caso l’attività diviene un rischio generico per la società che però non lede nessuno in particolare e, quindi, semplicemente essa dovrà organizzarsi per risarcire gli eventuali danneggiati (senza però ledere la libertà del singolo).
Mill riporta poi altre argomenti per cui la società potrebbe voler limitare la libertà del singolo ma, per ognuno di questi, dimostra che non sono validi o accettabili.
Per esempio, ipotizza Mill (che fa l’avvocato del diavolo di se stesso!), la società non potrebbe essere autorizzata a intervenire limitando la libertà del singolo per il suo stesso bene?
La risposta dell’autore è esattamente la stessa che usai io per oppormi alle “bugie a fin di bene” (v. Bugie a fin di bene). Tanto per vantarmi riporto qualche passaggio:
«Come facciamo le nostre scelte? Come decidiamo cosa sia meglio per noi?
Ci basiamo su due elementi: da una parte i nostri valori, gli ideali, le speranze e le nostre priorità (fattore “interno”) dall'altra tutto l'insieme degli eventi che accadono direttamente a noi o intorno a noi (fattore “esterno”).
Quattro osservazioni: 1) nessuno meglio di se stesso conosce il proprio fattore interno; 2) l'elemento esterno non è mai totalmente noto; 3) è preferibile conoscere al meglio l'elemento esterno per poter prendere le nostre decisioni; 4) anche quando si prende la decisione teoricamente migliore (considerati logicamente, ammesso che sia possibile, i fattori interni ed esterni) può sempre accadere che la sorte cambi le carte in tavola con esiti catastrofici.»
Invece Mill scrive: «L’interferenza della società in quello che riguarda solo l’individuo, al fine di prevaricarne giudizio e intenzioni, si fonda per forza su presupposizioni generiche, che possono essere completamente sbagliate, e che, anche se giuste, hanno buone probabilità di essere applicate erroneamente ai casi specifici da persone che ne conoscono le circostanze né più né meno di qualunque altro osservatore esterno.» (*2)
E conclude: «Tutti gli errori che può commettere ignorando consigli e ammonimenti saranno un male infinitamente inferiore a quello di lasciarsi costringere da altri a fare ciò che essi ritengono il suo bene.» (*2)
Vabbè, direte voi: “Bella forza: hai scopiazzato da Mill!”
No! Lessi questo saggio solo un anno dopo aver scritto il mio pezzo…
La verità è che sono ideologicamente molto sincronizzato con Mill!
Poi l’autore analizza le obiezioni religiose alla libertà individuale. Oggi, almeno in occidente, questo non è nemmeno un problema ma comunque Mill la smonta facilmente evidenziando cosa le religioni diverse dal cristianesimo ritengono moralmente giusto vietare: per esempio i musulmani non mangiano carne di maiale o, gli induisti, la carne bovina. Beh, le argomentazioni di Mill sono molteplici ma alla fine si riducono a dimostrare che non esistono principi morali assoluti validi per tutti ed è quindi sbagliato comprimere la libertà individuale in nome di essi.
Ancor meno interessante, dal mio punto di vista, sono gli obblighi derivanti dalla “buona educazione” che la società potrebbe voler imporre ai singoli. In questo caso la conclusione di Mill è che la società, nei suoi singoli individui, può al massimo trattare con indifferenza o freddezza colui di cui non condivide alcuni comportamenti: insomma può al massimo esercitare la pressione del proprio biasimo ma niente più.
Molto più interessanti sono alcune considerazioni psicologiche perché ancora totalmente valide. Qualche esempio: «E niente scredita e frustra i migliori metodi di influire sulla condotta umana più del ricorso ai peggiori. Se tra coloro che la società cerca di costringere alla prudenza e alla temperanza vi è qualcuno della stoffa di cui sono fatti i caratteri indipendenti e vigorosi, si ribellerà infallibilmente al giogo. Nessuna persona del genere penserà mai che gli altri hanno diritto di controllarlo nei suoi affari, come invece lo hanno di disturbare i loro; perciò, sfidare questa autorità usurpata, facendo esattamente l’esatto contrario di ciò che comanda, […] finisce facilmente coll’essere considerato segno di uno spirito coraggioso.» (*3)
E poi Mill evidenzia la tendenza naturale della maggioranza a considerare sbagliato tutto ciò che le minoranze pensano, dicono o fanno di diverso da essa. Il passaggio dal disapprovare al vietare è facile e breve ma non per questo giusto e motivato.
Per esempio: «Molti considerano lesiva dei propri interessi qualsiasi condotta che loro dispiaccia, e se ne risentono come di un oltraggio ai loro sentimenti; simili a quel bigotto che, accusato di disprezzare i sentimenti religiosi degli altri, ha ribattuto che sono loro a disprezzare i suoi persistendo nel loro abominevole culto o credo.» (*4)
E infine: «E non è difficile dimostrare, con abbondanza di esempi, che l’ampliamento del raggio d’azione di quella che può essere chiamata polizia morale fino a farle ledere la libertà individuale più indiscutibilmente legittima è una delle più universali propensioni umane.» (*5)
A pagina 103 c’è poi un’interessante obiezione alla libertà individuale che Mill battezza col nome di “diritti sociali” che alla fine equivale a «è diritto sociale assoluto di ciascun individuo che ciascun altro individuo si comporti sotto ogni aspetto esattamente come dovrebbe comportarsi» (*6). È evidente che questa proposizione puzzi di tautologia e che quindi definisca tutto e nulla. Infatti Mill la commenta così: «Un principio così mostruoso è molto più pericoloso di qualsiasi singola interferenza nella libertà; non vi è violazione della libertà che esso non giustifichi;» (*6) e poi «La dottrina attribuisce a tutti gli uomini un interesse acquisito nella reciproca perfezione morale, intellettuale e persino fisica, definita da ciascuno secondo i propri criteri» (*6).
Il mio interesse per questo passaggio, composto da circa tre pagine e di cui io ho estratto solo alcuni brani più significativi, è che mi pare abbia delle notevoli affinità con gli eccessi del politicamente corretto. Dove per “eccessi del politicamente corretto” intendo un’affermazione del tipo “La parola XX o il comportamento YY mi offende e quindi deve essere legittimamente vietato”: da una parte c’è l’arbitrarietà del sentimento dell’offeso (che non tiene in alcun conto del sentimento dell’altra persona) e da un’altra c’è la volontà di perfezionare, di nuovo arbitrariamente, un altro individuo.
Ma ci voglio riflettere meglio…
Infine Mill fa una considerazione che ricorda la sua argomentazione contro la censura di idee che si sa che sono errate: queste sono infatti utili a far risaltare e capire meglio la verità.
Analogamente le azioni errate (ma lecite) hanno una loro utilità: col loro esito dannoso per chi le compie servono da esempio a chi le osserva.
Conclusione: ho poco da aggiungere a quanto non ho già scritto, non solo qui ma anche negli altri pezzi, su questo prezioso saggio. Vale però forse la pena di riportare le emozioni che provo leggendolo: nel momento storico attuale in cui censure e limitazioni delle libertà avanzano, accompagnate spesso dal plauso della maggioranza della popolazione, le parole sobrie e chiare di Mill sono un vero e proprio balsamo. Una bussola morale che mi conferma che la direzione in cui io vedo la giustizia, e spesso ho la sensazione di essere il solo, è in verità corretta.
Nota (*1): tratto da “Saggio sulla libertà”di John Stuart Mill, (E.) Net, 2002, trad. Stefano Magistretti, pag. 94.
Nota (*2): ibidem, pag. 88.
Nota (*3): ibidem, pag. 95.
Nota (*4): ibidem, pag. 96.
Nota (*5): ibidem, pag. 97.
Nota (*6): ibidem, pag. 103.
alla prima stazione
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