Con lentezza sto progredendo nella lettura di Marcuse (al momento leggo principalmente “La montagna incantata” di Mann e il “Leviatano” di Hobbes) e finalmente ho trovato un concetto che ha colpito la mia fantasia.
Ma facciamo un passo indietro: l’introduzione, sulla quale avevo scritto Inizio di Marcuse, aveva creato delle grosse aspettative: molti degli obiettivi di Marcuse coincidono con quelli della mia Epitome (*1).
I prime due capitoli però erano molto introduttivi e si limitavano a riepilogare la teoria di Freud alterandone magari la prospettiva. Però non vi avevo trovato novità interessanti e mi limitavo a supporre che queste sarebbero arrivate in seguito.
Adesso sono al terzo capitolo dove l’autore si propone di legare insieme psicologia del singolo e sociologia: in realtà tale disciplina esiste già e si chiama psicosociologia!
A parte gli scherzi, Marcuse ha in mente qualcosa di diverso: la psicosociologia parte dal basso ed è molto scientifica. Si fanno degli esperimenti che dimostrano delle singole caratteristiche psicologiche comuni (più o meno) a tutte le persone ma manca una teoria che sussuma il tutto in un unico impianto.
L’approccio di Marcuse, basato su Freud, è più filosofico: parte dall’alto, da un adattamento della teoria della contrapposizione fra Eros e Tanatos rivisitati in ambito sociale e da questa cerca di arrivare a una teoria sociologica.
Insomma due approcci totalmente diversi da un punto di vista metodologico: la psicosociologia ha degli obiettivi pratici mentre Marcuse sembra più interessato alla teoresi.
Più nel dettaglio, nel terzo capitolo, Marcuse riprende una teoria di Freud presentata nei saggi che lessi qualche anno fa ma di cui non scrissi. Non ne scrissi perché non gli detti credito: si trattava di speculazioni sull’origine delle prime società che ricordavano dei miti archetipici (quindi più da Jung!).
Inizialmente vi era l’orda primordiale, l’anarchia totale, e da questa emerse la prima società governata dal padre tiranno che spadroneggiava su donne e figli: i figli per sopravvivere dovevano reprimere la pulsione del piacere e obbedire e lavorare per il padre. Questa repressione di parte degli istinti, sublimati poi nel lavoro, sono l’inevitabile precondizione della società.
Il passaggio successivo è quando i fratelli collaborano fra loro e spodestano il padre: a questo punto si dividono il potere fra loro e autolimitano, di comune accordo, la pulsione del piacere.
Non ricordo come interpretai questa specie di mitologia (probabilmente ispirata ai miti greci) ma è ovvio che è una ricostruzione arbitraria e inverosimile.
Nessuno sa come fossero formate le prime società umane (semplicemente mancano le informazioni) ma sicuramente non come ipotizzato da Freud!
Suppongo di aver interpretato questa ricostruzione come una fantasia utile forse a ricordare mnemonicamente dei concetti psicologici che poi Freud sfrutta per interpretare vari altri aspetti della società (*2).
Comunque, a parte queste premesse fumose e poco convincenti, emerge una teoria di fondo che mi pare valida: la società si basa sul rapporto fra costrizione (principio di realtà) e aspirazione alla libertà (principio di piacere). Periodicamente delle rivoluzioni possono sovvertire l’ordine esistente ma, per reggersi in piedi, devono a loro volta introdurre dei nuovi obblighi. Il contrasto fra queste due principi, presenti in ogni uomo, causano il senso di colpa: la voglia di ribellione e indipendenza entra in urto contro i doveri dovuti alla società.
Non solo, e questo è per me l’aspetto più interessante, la maggior parte delle persone, che vivono sopportando il costante giogo del conflitto interiore, non tollerano che altri individui possano liberarsene: contro l’aspirazione alla libertà di chi sfida il principio di realtà si scatena la repressione della maggioranza che, invece, non trova la forza per ribellarsi a esso.
Scrive Marcuse: «Comunque, l’eccidio crudele e organizzato dei Catari, degli Albigesi, degli Anabattisti, degli schiavi, dei contadini e dei poveri che si ribellavano sotto il segno della croce, le condanne al rogo delle streghe e dei loro difensori – questo sadico sterminio dei deboli indica l’irruzione di forze istintuali inconsce nel mondo razionale e razionalizzato. I carnefici e le loro bande combattevano lo spettro di una liberazione che desideravano, ma che erano costretti a rifiutare» (*3).
Ora nel suo esempio Marcuse vedeva questo conflitto in ambito religioso ma è chiaro che la tendenza sia più generica (*4).
Anche oggi situazioni analoghe sono comunissime: pensiamo per esempio all’astio e intolleranza degli appartenenti al pensiero maggioritario verso chi la pensa diversamente da loro per esempio sui vaccini o sulle quarantene per covid-19. È evidente che nel loro fervore vadano oltre al puramente razionale. In questo caso l’intuizione di Freud/Marcuse fornisce un’interessante interpretazione psicologica. Gli appartenenti alla maggioranza anelerebbero essi stessi alla libertà, cioè al non dover fare vaccini e a potersi muovere senza costrizioni, ma non hanno la forza di opporsi a questi obblighi: per il principio di realtà razionalizzano come giusti e inevitabili i doveri a cui sono soggetti ma, istintivamente, il loro conflitto interiore aumenta e gli “altri”, coloro che dissentono, diventano il bersaglio della loro frustrazione, della tendenza a Tanatos, alla distruzione cioè.
Questo spiega bene i toni accesi, e non di rado apertamente violenti, che si possono leggere sulle reti sociali.
Inutile dire che la manipolazione dei media tradizionali aiuta a nutrire e giustificare questi atteggiamenti sostanzialmente irrazionali. In Italia, per esempio, la responsabilità della seconda (e terza) ondata della pandemia è stata attribuita, grazie a un comodo scaricabarile, ai comportamenti della popolazione, dimenticando che essa ha seguito le direttive imposte dall’alto, e non all’incapacità del governo di agire proattivamente per anticipare il ritorno prevedibile (e previsto) della malattia.
Ecco quindi che la comprensibile ira e frustrazione degli italiani per il prolungarsi della pandemia è stata distolta, sfruttando questo meccanismo inconscio, dai veri responsabili, cioè il potere politico che non ha agito efficacemente, ai generici quanto incolpevoli “altri”, coloro che non seguirebbero le regole. Non ci si chiede se le regole abbiano senso e siano efficaci ma si aizza l'opinione pubblica contro chi non le segue. È come se gli operai, a cui sono stati distribuiti degli attrezzi rotti o inefficaci per colpa dei quali non riescono a portare a termine un’opera, se la prendessero non con chi glieli ha forniti ma con i pochi compagni che si rifiutano di usarli.
Conclusione: ho poi un ricordo di qualcosa che ho letto di recente, qualcosa del tipo che gli uomini hanno l’istinto ad abusare del proprio potere, che, volendo, sarebbe un altro aspetto del fenomeno evidenziato da Marcuse. Sfortunatamente non riesco a ricordare dove l’ho letto: forse su Hobbes o più probabilmente su qualche sito. Peccato: se mi viene a mente vedrò di citarlo…
Ah! mi è venuto a mente! È un concetto di John Stuart Mill (ovviamente): vedi la nota (*4).
Nota (*1): sebbene l’Epitome abbia un ambito ancora più vasto.
Nota (*2): per esempio il dio del monoteismo sarebbe la proiezione del padre primordiale fatta dai fratelli che ne hanno usurpato il potere. Distrutto il tiranno si forgiano da soli delle nuove catene, stavolta spirituali.
Nota (*3): tratto da “Eros e civiltà”di Herbert Marcuse, (E.) Einaudi, 1964, trad. Lorenzo Bassi, pag. 109.
Nota (*4): mi viene in mente a questo riguardo un passaggio di Mill: «È facile immaginare un pubblico ideale che lasci indisturbata la libertà e la scelta individuale in tutte le questioni dubbie, e si limiti a chiedere agli individui di evitare comportamenti che l’esperienza universale ha condannato. Ma dove si è mai visto un pubblico che imponesse limiti del genere alla propria facoltà di censura? O quando mai un pubblico si preoccupa dell’esperienza universale? Nelle sue interferenze con la condotta individuale pensa raramente ad altro che alla mostruosità di agire o pensare diversamente da lui; […]
Cos’altro può fare chi è parte del pubblico, se non seguire le istruzioni e rendere le proprie concezioni del bene e del male, se sono tollerabilmente unanimi, obbligatorie per tutto il mondo?» tratto da “Saggio sulla libertà”di John Stuart Mill, (E.) Net, 2002, trad. Stefano Magistretti, pag. 96-97.
In altre parole anche secondo Mill la società, o meglio la maggioranza di essa, ha la naturale tendenza a comprimere la libertà altrui con “razionalizzazioni” che, in genere, hanno poco di razionale. Mill qui si ferma, Marcuse dà un’interpretazione psicologica allo stesso fenomeno.
alla prima stazione
2 ore fa
Nessun commento:
Posta un commento