Voglio scrivere un pezzo veloce su un libro che ho iniziato da una decina di giorni, “Eros e civiltà” di Herbert Marcuse, per aiutarmi a memorizzarne alcuni concetti.
In pratica l’autore riparte dal saggio di Freud “Il disagio della civiltà” (che lessi qualche anno fa) e cerca di attualizzarlo al presente, ovvero agli anni ‘50: il libro è del 1955 con una successiva “prefazione politica” del 1966.
È una strana miscela: vi ho intravisto l’intuizione di tendenze profonde che solo recentemente sono divenute evidenti mentre altre idee, evidentemente il riflesso della cronaca del tempo come la protesta giovanile o la guerra del Vietnam, si sono già dimostrate superate (concetti che compaiono nella “prefazione politica”).
Anche io nella mia Epitome costruisco la mia analisi partendo dalla psicologia ma, a differenza di Marcuse, la mia è un’epistemologia negativa: parto dai limiti dell’uomo, da ciò che non è e che non è in grado di fare o di comprendere. Marcuse invece prende la teoria più filosofico/sociale dell’ultimo Freud (quella del dualismo fra Eros e Tanatos per capirci) e costruisce su di essa: rimappa la società occidentale moderna su tale equilibrio e in essa vi ritrova l’espressione sociale di queste due pulsioni individuali.
Per adesso sono un po’ scettico: l’esercizio ha senso se la teoria di Freud è giusta E se le corrispondenze nella società trovate da Marcuse sono corrette. Entrambi i predicati di questa proposizione devono essere veri altrimenti si tratta di un esercizio futile, fine a se stesso.
Al momento sono al secondo capitolo: l’autore ha principalmente riassunto il pensiero di Freud aggiungendovi qualche tocco personale a livello di definizioni. Un’idea più precisa l’avrò quando inizierà ad applicare il tutto alla società.
Uno dei passaggi che mi hanno colpito è il seguente: «[…] l’individuo non libero introietta i propri padroni e le imposizioni di questi ultimi nel proprio apparato psichico. La lotta contro la libertà si riproduce nella psiche dell’uomo come autorepressione dell’individuo represso, e la sua autorepressione a sua volta sostiene il padrone e le sue istituzioni» (*1).
Mi sembra una buona parafrasi di quello che io ho chiamato “istinto di gregge” in [E] 1.4 e probabilmente lo aggiungerò come epigrafe.
Inoltre è un ottimo esempio di cosa sia un’introiezione: io la conoscevo come opposto di “proiezione” ma mi mancava un esempio concreto per capire veramente!
La mia seconda osservazione è invece molto più vaga e generica: più una sensazione in effetti che un’idea ben consolidata…
Copio quanto ho annotato a margine:
“[KGB] inizio a dubitare della visione antitetica fra conscio e inconscio. Ho la sensazione che i livelli siano molteplici e, quindi, la loro separazione meno netta e definita.
Mi pare che l’inconscio e conscio in verità collaborino: il 1° pone gli obiettivi, il 2° formula il piano per raggiungerli secondo le regole della società. Solo quando e se gli obiettivi non vengono raggiunti si genera frustrazione.”
Niente di che, ci dovrei riflettere ulteriormente: ma l’idea che conscio e inconscio siano due attori distinti che non si parlino né si confrontino mi pare eccessiva. L’inconscio ci parla con, appunto, sensazioni, preoccupazioni, dubbi, intuizioni e simili. Se così non fosse gli uomini sarebbero pienamente razionali, no? Mentre invece è ovvio che l’uomo sia molto meno logico e razionale di quanto si illuda di essere.
L’inconscio ci parla costantemente solo non usa le parole: le riflessioni verbali dentro la nostra testa sono frutto del conscio tutto il rumore di fondo, che a volte diviene un frastuono, è la voce dell’inconscio.
Conclusione: beh, ho poco da concludere: il libro sembra interessante perché l’autore si propone qualcosa che ricorda un po’ la mia Epitome e, inevitabilmente, mi divertirò a notarne similitudini e diversità. Ma, come spiegato, al momento non si è ancora addentrato nel vivo della sua analisi.
Nota (*1): tratto da “Eros e civiltà”di Herbert Marcuse, (E.) Einaudi, 1964, trad. Lorenzo Bassi, pag. 63.
alla prima stazione
1 ora fa
Il contrario della coscienza è l’incoscienza, che chiamiamo inconscio perché suona meglio
RispondiEliminaHo dovuto rileggere il mio pezzo perché non capivo il riferimento!
RispondiEliminaBeh, in realtà sono stato poco preciso: in particolare Marcuse con inconscio intende ciò che Freud chiama super-io (distinto dall’es che sarebbe invece l’inconscio delle pulsioni).
C’è da dire che adesso sto leggendo Jung che mi pare la pensi più come me: ovvero il dialogo fra le varie funzioni della psiche è costante: certo alcune hanno la voce più forte di altre ma il punto è che ci sono tutte. E anzi l’uomo non sarà completo se non impara ad ascoltare quelle più fioche…
“Il contrario della coscienza è l’incoscienza, che chiamiamo inconscio perché suona meglio” si può interpretare su più livelli.
Intesa come battuta è divertente; se intendiamo “incoscienza” come “incuranza”, o addirittura come “follia”, allora il senso delle frase diventa molto più profondo…
Letteralmente non sono d’accordo ma con un’interpretazione più ampia dove “follia” si intende “emozione” e “sentimento” allora sì. È uno dei postulati di Jung: alcuni persone si basano sulla ragione (Thought) mentre altre sul sentimento (Feeling), ma entrambe le funzioni sono vive, solo che una domina sull’altra. La ragione non è in grado di capire il sentimento né il sentimento è in grado di capire la ragione: per fondersi insieme, secondo Jung, è necessaria una facoltà che lui chiama “fantasia” ma che è qualcosa di più rispetto a ciò che normalmente intendiamo con tale termine…
Curiosamente mi sono reso conto oggi che questo concetto l’avevo capito durante l’adolescenza osservando l’incomprensione fra mio padre, tutto pensiero, e mia mamma, tutta sentimento!