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sabato 20 marzo 2021

Mill colpisce ancora (parte III)

[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.7.1 "Sherlochulhu").

Mi è stato commissionato un articolo: la recensione di “Saggio sulla libertà” di John Stuart Mill!
Già ne scrissi anni fa soffermandomi principalmente sulla libertà di pensiero: concetti attualissimi in un’epoca come la nostra che procede spedita verso la riduzione di tutte le libertà a partire da quella di espressione.

Mi sembrava un compito semplicissimo recensire un libro: del resto lo faccio molto frequentemente sulle pagine di questo stesso ghiribizzo… oppure no?
In verità mi sono reso conto che le mie “recensioni” non sono tali: io mi concentro esclusivamente su ciò che mi pare più meritevole e interessante; vi sovrappongo poi il mio pensiero e non mi preoccupo, per esempio, di dare dell’idiota ad Aristotele se leggo qualcosa che non mi torna: so che i lettori di questo sito conoscono il mio modo di ragionare con i suoi pregi e difetti: così come evito di blandirli neppure mi preoccupo di non offenderli con i miei giudizi. Voglio per prima cosa esprimere il mio pensiero e secondariamente condividerlo con gli altri: chi non è interessato può anche non leggermi.
Ma le recensioni devono essere sia complete, non limitarsi ciò ad alcune parti dell’opera, e neutre: chi legge una recensione non è interessato all’opinione del recensore ma al contenuto dell’opera recensita.

In breve mi sono reso conto che scrivere una recensione come si deve è estremamente noioso e poco stimolante per la mia creatività: per non parlare poi dei vincoli di spazio evidentemente pensati per lettori vittime di analfabetismo funzionale e, per questo, capaci di leggere solo testi piuttosto corti (*1).
Il risultato è… uno schifo! Un temino da studente svogliato delle medie: noioso e brutto da leggere, qualcosa di cui già mi vergogno.

E allora ecco l’idea: un compromesso! Scriverò di ciò che mi piace e che ritengo importante qui sul ghiribizzo e proporrò la versione edulcorata e semplificata nell’articolo che devo scrivere!
Funzionerà? Non lo so: però al momento non vedo alternative migliori...

Oggi voglio quindi scrivere della terza parte di “Saggio sulla libertà” di Mill: per la cronaca la parte sulla libertà d’espressione era la seconda (v. i pezzi “storici” Libertà d’opinione 1 e Libertà d’opinione 2), subito dopo l’introduzione (*2).
Questa terza parte è intitolata “Dell’individualità come elemento del bene comune”: dove l’individualità è la manifestazione concreta della libertà d’azione, ovvero della libertà di comportarsi come più si ritiene meglio.

Il criterio che limita questa libertà dovrebbe essere solo quello di non danneggiare gli altri e deriva direttamente dalla libertà di pensiero: non ha senso pensare cose diverse (e poterle esprimere) ma poi comportarsi tutti alla medesima maniera.
Si tratta quindi di una libertà leggermente più circoscritta di quella d’espressione: per esempio esprimere l’idea della necessità di ridistribuire i beni dei ricchi industriali può essere lecito su un giornale ma se lo si ripete a una folla tumultuosa davanti alla residenza di un’industriale può divenire istigazione a commettere un crimine.

Che dire? Il confine fra la libertà personale e il dovere e gli obblighi verso la società è labile. Il criterio di non danneggiarla non è assolutamente dirimente.
Per esempio: “Danneggio gli altri se non mi vaccino per una malattia? (rischiando di infettare un immunodepresso)”, “Danneggio gli altri se bevo alcool? (rischiando di ubriacarmi e commettere qualche follia)”, “Danneggio gli altri se mi drogo?”, “Danneggio gli altri se fumo all’aperto? (il costo dell’eventuale malattia è in parte pagato dalla società)”, “Danneggio gli altri se mangio una bistecca? (l’impronta ecologica della carne animale è altissimo rispetto a un hamburger vegetale)”. E potrei proseguire in questa maniera per praticamente qualsiasi azione umana.
Alcuni risponderebbero “sì” a tutte le domande ma molti, darebbero delle risposte più variegate: di sicuro mancherebbe l’unanimità e, di conseguenza, verrebbe dimostrato la mancanza di valore assoluto del criterio stabilito da Mill. E, attenzione, non c’è niente di ovvio per tutti…

Poi Mill cita Wilhelm von Humboldt (*3) e ribadisce che lo scopo dell’uomo è formarsi in maniera ampia e variegate: da questa ricchezza e diversità di idee deriva forzatamente un’analoga varietà di comportamenti. La conclusione di Mill è che lo scopo dell’uomo si realizza quindi nella libertà d’azione, ovvero nel comportarsi come più si ritiene giusto.
Scrive Mill: «Chi fa qualcosa perché è l’usanza non opera una scelta, né impara a discernere o a desiderare ciò che è meglio. I poteri mentali e morali, come quelli muscolari, si sviluppano soltanto con l’uso.» (*4)
Ecco quindi che Mill vede nella consuetudine non un valore ma un rischio per l’individuo e per la società ed è, quindi, particolarmente critico per la maggioranza che si adegua automaticamente al comportamento comune: «[…] si chiedono “Che cosa si addice alla mia posizione?” “Come si comportano abitualmente le persone della mia condizione economica e sociale?” o (peggio ancora) “Come si comportano abitualmente le persone di condizioni economiche e sociali superiori alle mie?”. Non voglio dire che scelgono la consuetudine invece di ciò che si addice alle loro inclinazioni: non hanno inclinazioni che non siano per la consuetudine.» (*5)

Ma nell’introduzione (parte I) Mill aveva spiegato che uno dei suoi criteri guida per individuare il bene fosse l’utile (evidentemente un influsso della filosofia di Bentham). Ebbene secondo l’autore la libertà d’azione dei singoli è utile alla società: l’arricchisce con la realizzazione di idee diverse che, talvolta, si possono rivelare vincenti e utili per tutti.
In pratica è una riformulazione del concetto di antifragilità di Taleb nell’aspetto che nell’appendice G.1 della mia Epitome (nella versione non pubblicata 1.7.2, ma comunque scaricabile al solito indirizzo!) ho definito di ridondanza. Una società in cui tutti si comportano alla stessa maniera è fragile perché un evento avverso colpirà tutti alla medesima maniera e non ci saranno individui che potranno beneficiarne con effetti indirettamente utili alla società (*6).

Non manca una digressione contro la democrazia che, essendo espressione dell’uomo medio, è ugualmente mediocre. La speranza per Mill può venire solo da singoli individui (ma non i dittatori dato che il potere assoluto corromperebbe anche gli uomini migliori) che possono indicare la via da seguire e «L’onore e il merito dell’uomo medio stanno nel fatto che è capace di seguire questa iniziativa; che può reagire interiormente alla saggezza e alla nobiltà, e vi può essere portato coscientemente» (*7).

Beh, in questo caso conoscete le mie idee: trovo queste considerazioni di Mill estremamente ingenue: la democrazia non è il potere del popolo e non c’è quindi una corrispondenza di interessi. Il governo democratico è sì mediocre ma per altri ragioni. Ovvio che la democrazia di allora, per numerosi motivi (v. [E] 13.1 e 14) non era ancora degenerata come l’attuale.
Parlare poi di meriti dell’uomo medio non ha senso: l’uomo medio ha soprattutto limiti: in particolare non ha né voglia né tempo di ascoltare opinioni che lo costringerebbero a rivedere le proprie posizioni. Convincere razionalmente un uomo di un qualcosa in cui non vi veda un suo vantaggio immediato ed evidente è di poco più facile che insegnare a un gatto il teorema di Pitagora.

Così come Mill considera la consuetudine con scetticismo per gli stessi motivi esalta invece il valore dell’eccentricità sebbene sia consapevole che la società la veda di mal occhio. Mill scrive: «La media degli uomini è moderata, non solo nell’intelletto ma nelle inclinazioni; non hanno gusti o desideri abbastanza forti da spingerli ad azioni insolite, e di conseguenza non capiscono chi li ha, e lo classificano tra le persone squilibrate e smodate, cui sono abituati a sentirsi superiori.» (*8)
Interessante poi la seguente considerazione psicologica/sociale: «Ma l’uomo, e ancor di più la donna, che possono essere accusati di fare “quel che nessuno fa” o di non fare “quel che fanno tutti” sono oggetto di altrettanto disprezzo che se non avessero commesso un grave crimine morale. La gente ha bisogno di un titolo nobiliare, o di un altro segno di rango, o di essere tenuta in considerazione da persone socialmente elevate, per potersi permettere in una certa misura il lusso di fare ciò che gli piace senza danno per la reputazione.» (*9)

I vantaggi di queste forme di individualismo benefico si trasferiscono alla società perché si trasformano in innovazione e progresso. Mill prende poi la Cina come esempio di stato dove la società è costituita di individui con intellettualmente simili fra loro e ne conclude che proprio questa estrema omogeneizzazione della popolazione è contemporaneamente la causa della staticità dell’impero cinese. L’Europa al contrario, con le diversità e la competizione fra gli stati, è in continuo fermento ed evoluzione.

Nel complesso una posizione molto vicina alla mia teoria della legge dell’evoluzione ([E] 5.13). Mill coglie infatti l’importanza della diversità ma non sono sicuro che comprenda l’altra faccia della medaglia, ovvero l’uniformità. In questo caso la sua teoria sta alla mia come un carretto a un autoveicolo!
Comunque credo di poterne estrarre almeno una buona epigrafe. Per esempio: «Ci si sarebbe aspettati che la Cina scoprisse il segreto del progresso umano e si mantenesse costantemente alla testa del movimento di innovazione mondiale. Invece sono diventati statici […]
[…] e se l’individualità non riuscirà a farsi valere contro questo giogo, l’Europa, nonostante il suo nobile passato e il suo proclamato Cristianesimo, tenderà a diventare un’altra Cina.
Che cosa ha finora risparmiato all’Europa questa sorte? Che cosa ha reso le nazioni europee un settore dell’umanità che si evolve e non resta statico? Nessuna loro intrinseca superiorità – che, quando esiste, è un effetto e non una causa -, ma piuttosto la notevole diversità di caratteri e culture. Individui, classi e culture sono estremamente diversi gli uni dagli altri: hanno tracciato una gran quantità di vie, che portavano tutte a qualcosa di valido; […] e a lungo andare tutti hanno avuto la possibilità di recepire i risultati positivi altrui. A mio giudizio, l’Europa deve a questa pluralità di percorsi tutto il suo sviluppo progressivo e multiforme
» (*10)

E la tendenza, secondo Mill, non è favorevole: lo stato centrale tende ad appiattire le diversità umane e, di conseguenza, a deprimere la capacità complessiva di innovazione non solo tecnica ma anche culturale e spirituale.

E questo Mill lo scriveva nel 1855: adesso ne possiamo chiaramente vedere l’effetto nel mondo attuale. Solo il denaro legittima e rende socialmente accettabili comportamenti fuori della norma: l’eccentrico è guardato con sospetto, il pensiero maggioritario non tollera quella minoritario ([E] 10.6) e lo combatte sistematicamente con sempre maggiore aggressività e prepotenza.

Le cause per Mill sono quattro:
1. l’istruzione di massa vincolata a precisi programmi scolastici uniformi per tutti.
2. il miglioramento della comunicazione.
3. l’abbondanza di beni alla portata di tutti porta alla condivisione fra tutte le classi sociali degli ideali consumistici e di progresso sociale (diffusione e rafforzamento degli stessi epomiti assoluti ([E] 6.2)).
4. la democrazia per sua natura tende al conformismo e, quindi, avversa l’anticonformismo.

Beh, il primo punto è sicuramente vero e oggigiorno, col totale asservimento dei media tradizionali al potere, anche il secondo.
Sul terzo punto non saprei: probabilmente ha ragione ma non mi sono chiarissime le relazioni casuali.
Sul punto finale ci sarebbe da discutere: la democrazia attuale è troppo degenerata rispetto a quella dei tempi di Mill per un confronto diretto; oggi il potere politico, grazie al totale controllo dei media tradizionali, non è più costretto a seguire il volere dell’opinione pubblica ma, anzi, può imporre a essa specifici principi e idee anche speciosi (eterodirezione).

Conclusione: Mill è incredibilmente attuale: lo scrissi già in passato ma lo voglio ribadire: questa sua opera dovrebbe essere materiale di studio in tutte le superiori. Ma come ho già avuto modo di spiegare la politica non vuole cittadini autonomi e maturi ma dei lavoratori/consumatori facilmente manipolabili dalla pseudo informazione dei media tradizionali.

Nota (*1): mi sembra che il limite sia 8.000 o 10.000 caratteri, in pratica un mio pezzo medio ma troppo pochi per un articolo lungo e articolato.
Nota (*2): che per qualche strano motivo è stata chiamata parte prima. Non so: forse per sottolineare che non era una premessa opzionale ma qualcosa da leggere obbligatoriamente per comprendere il resto dell’opera…
Nota (*3): non so dove lo abbia “conosciuto” ma, stranamente SO chi sia! Forse ne ho letto su un qualche sito o magari nel libro di Taleb? Comunque piccola soddisfazione per me.
Nota (*4): tratto da “Saggio sulla libertà”di John Stuart Mill, (E.) Net, 2002, trad. Stefano Magistretti, pag. 67.
Nota (*5): ibidem, pag. 70-71.
Nota (*6): beh, fino a qualche istante fa ero dell’idea che nella prossima versione della mia Epitome avrei dovuto eliminare questa ingombrante appendice sull’antifragilità ma in questo caso mi è stata utile: in un attimo, proprio grazie al concetto di antifragilità, mi sono reso conto che l’argomento di Mill è più che valido…
Nota (*7): ibidem, pag. 77.
Nota (*8): ibidem, pag. 80.
Nota (*9): ibidem, pag. 79.
Nota (*10): ibidem, pag. 83-84.

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