Questo è il secondo post complesso (v. il corto Tre difficoltà) che mi ero ripromesso di scrivere. In particolare oggi mi voglio dedicare ad approfondire uno degli argomenti trattati in Saggio sulla libertà.
L'argomento in questione è la libertà di espressione: la libertà di esprimere le proprie opinioni su qualsivoglia argomento senza correre il pericolo di ritorsioni.
Chiarisco subito che questa libertà non equivale a quella, ad esempio, di scrivere su un blog delle offese gratuite verso una persona o un gruppo di persone: scrivere, ad esempio, “Tutti i ### sono degli ###!” non è libertà di pensiero ma solo un insulto gratuito.
La libertà di espressione è invece qualcosa di molto più simile ai miei post marcati con l'etichetta “Riflessione” o “Teoria”: delle idee, forse sbagliate, ma comunque argomentate in maniera per quanto possibile oggettiva (*1).
Nei giorni scorsi ho riletto una quarantina di pagine del libro Saggio sulla libertà e ho preso molti appunti per cercare poi di farne un buon riassunto/analisi.
Sfortunatamente non sarà comunque facile: John Stuart Mill (JSM) scrive alcune sue argomentazioni per svariati paragrafi perché sono sottili e possono essere chiarificate solo con molti esempi. Sicuramente non renderò giustizia alle sue idee riassumendole alla buona ma almeno spero di riuscire a definirne i “contorni” in maniera che i lettori incuriositi possano andare a leggersi il libro originale (*2) e, per questo motivo, cercherò di indicare le pagine in cui JSM espone i concetti di cui scrivo.
Come scritto, l'argomento odierno è la libertà di espressione (che io continuo a vedere equivalente a quella di tenere un blog!). L'approccio di JSM è interessante: invece di tentare di elencare gli infiniti argomenti a favore della libertà di espressione, dimostra con logica ferrea che ogni motivazione di censura è sbagliata.
La situazione, diciamo “base”, è piuttosto semplice e analizza i motivi per cui un SINGOLO individuo (*3) non debba volere la censura di nessuna idea.
Ci sono due possibilità (pag. 21): che l'idea sia giusta oppure che sia sbagliata. Per entrambi i casi JSM dimostra che che è sbagliato censurarla.
Il caso più semplice si ha quando una SINGOLA persona trovi un'idea così sgradevole da volerla far censurare. Molto opportunamente JSM fa notare che «...mentre ciascuno sa benissimo di essere fallibile, pochi ritengono necessario cautelarsi dalla propria fallibilità...». In altre parole in teoria l'uomo sa di essere fallibile ma, in pratica, tende a dimenticarselo nei momenti più importanti: ovvero quando si imbatte in un'idea nella quale non si riconosce...
È palese che, in questo caso, è sbagliato cercare di censurare l'opinione avversata in quanto (ricordo che siamo nell'ipotesi che sia corretta! (*9) si priverebbe sé stessi e gli altri della possibilità di riconoscere il proprio errore e ravvedersi.
Più interessante è il caso in cui a voler censurare un'idea non sia un singolo individuo ma un gruppo di persone ben più numeroso. E per più numeroso si intende anche decisamente maggioritario: cioè siamo nel caso in cui l'idea espressa vada contro l'opinione comune del tempo.
Per argomentare le sue ragioni JSM fa un discorso molto ampio.
La sua prima osservazione (pag. 22) è una considerazione psicologica/sociale: l'individuo tende a rispecchiarsi in un sottoinsieme della società in cui vive «...il suo partito, la sua setta, la sua Chiesa, la sua classe sociale...». Questo “rispecchiarsi” significa che l'individuo tende a immedesimarsi col modo di pensare del suo gruppo e diventa acritico e passivo verso le opinioni in esso dominanti. JSM scrive «L'uomo scarica sul proprio mondo la responsabilità di essere nel giusto, contro il dissenso altrui».
La seconda osservazione (pag. 22) è un richiamo a quello che io chiamo il concetto di “epoca” (v. Epoca e Corollario all'epoca) che JSM aveva affrontato più diffusamente in un capitolo precedente (a pag. 8). In poche parole bisogna sempre tenere presente che anche le convinzioni che ci sembrano più assodate non sono delle verità assolute ma transitorie. L'uomo tende sempre a pensare di vivere nel culmine della civiltà ma basta guardare la storia che ci precede per rendersi conto di quanto questa sensazione sia illusoria (*4).
Da queste premesse JSM conclude che un'idea potrebbe comunque essere corretta indipendentemente dal numero di persone contrarie ad essa (*5).
Ma JSM va oltre e risponde a una prima obiezione che potrebbe venire opposta da questa ipotetica maggioranza di persone: “indipendentemente dal fatto che l'idea sia corretta o meno, non è forse giusto che noi cercassimo di censurarla se così ci dice di fare la nostra coscienza?” (*6). In altre parole non è forse giusto che ogni individuo segua e difenda i principi in cui crede?
La risposta di JSM sembra un sofisma ma non lo è: è giustissimo seguire le proprie convinzioni, quando si crede che esse siano vere, TRANNE quando queste ci porterebbero a censurare le opinioni altrui. Il motivo è il seguente (pag. 23) «Vi è la massima differenza tra presumere che un opinione è vera perché, pur esistendo ogni opportunità di discuterla, non è stata confutata, e presumerne la verità al fine di non permetterne la confutazione.(*7)» In altre parole non possiamo essere sicuri delle nostre “verità” se non accettiamo di metterle in discussione.
Solo confrontando costantemente le nostre “verità”con quelle altrui possiamo avere una ragionevole certezza (ma non l'assoluta sicurezza!) che queste siano valide. JSM scrive (pag. 25) «La costante abitudine a correggere e completare la propria opinione confrontandola con le altrui... ...è l'unico fondamento stabile di una corretta fiducia in essa»
Poi JSM postula una seconda obiezione dove un'élite potrebbe ritenere che la “verità”, per svariate ragioni (difficoltà, pericolosità, etc), non sia per tutti. Che per la maggior parte della popolazione sia più UTILE vivere nella menzogna e, per queste premesse, censurare un'idea anche se la si ritiene corretta.
JSM si dilunga nell'argomentare come questo principio sia fallace ma secondo me è sufficiente solo la sua seguente affermazione (pag. 27) per smontarlo completamente: «L'utilità di una opinione è essa stessa una questione di opinione». In altre parole non c'è nessuna sicurezza che l'élite al potere sappia veramente cosa sia utile per la popolazione: in pratica si ricade nel caso precedente, quello del gruppo di persone che, anche se maggioritario (o in questo caso semplicemente al potere), abbia il diritto di censurare delle idee contrarie alla propria opinione.
Poi JSM spende numerose pagine (pag. 28-33) in esempi che illustrano chiaramente come, anche quando la maggioranza delle persone sono contro un'idea, questo non significa assolutamente che essa sia sbagliata. Per soddisfazione personale accenno solo al fatto che JSM valuti l'importanza di Socrate per la filosofia nella mia stessa maniera (v. Los tres tenores).
Nel mezzo di questi esempi JSM fa una considerazione che mi pare degna di nota. Come corollario a un esempio incentrato sul cristianesimo spiega che un'idea comune è che la verità, per quanto repressa, alla fine riesca comunque a farsi conoscere, cioè «...una teoria secondo cui la persecuzione della verità è giustificabile perché non può in alcun modo nuocerle...»
JSM pensa che questa sia una «gradevole falsità» (cfr. con 4 aneddoti e una domanda (*8)) e ricorda come prima del successo della Riforma di Lutero ci siano stati i tentativi repressi nel sangue di Arnaldo da Brescia, di fra Dolcino, degli albigesi, dei valdesi, dei lollardi, degli hussiti e di molti altri ancora. In altre parole la “verità” riesce ad emergere solo quando gli “eretici” sono troppo forti per essere soppressi!
Poi ci sono delle considerazioni (pag. 34-40) sulla situazione della libertà d'espressione nell'Inghilterra del tempo (ricordo che questo saggio fu scritto nel 1858) che sono oggettivamente un po' superate. Eppure non mancano riflessioni interessanti: (pag. 36) «Ciò che attualmente viene magnificato come risveglio della religione è sempre, per le mentalità ristrette e ignoranti, almeno in pari misura, risveglio del fanatismo» o (pag. 39) «Nessuno può essere un grande pensatore se non riconosce che, in quanto uomo di pensiero, suo primo dovere è seguire il proprio intelletto indipendentemente dalle conclusioni cui esso conduca.»
Beh, adesso ci sarebbe la seconda parte, ancor più interessante di questa, dove JSM argomenta perché anche un'idea sbagliata non vada censurata... però qui non c'è più posto e la rimando quindi a un futuro, spero, prossimo...
Nota (*1): anche su cosa si debba intendere per “oggettività”, John Stuart Miller ha da dire molte cose interessanti che condivido e che ho sempre cercato di perseguire: se ho tempo vedrò di riassumerle...
Nota (*2): la mia edizione di riferimento, da cui ho tratto tutte le frasi, è Saggio sulla libertà di John Stuart Mill, Edizione Net, 2002, trad. Stefano Magistretti.
Nota (*3): dove il singolo cittadino equivalerebbe a un lettore del mio blog e “l'idea da censurare” a un mio post.
Nota (*4): JSM «...le epoche storiche non sono più infallibili degli individui...»
Nota (*5): degna di menzione è anche la seguente considerazione finale (pag. 26) di JSM «È strano che gli uomini ammettano la validità degli argomenti a favore della libera discussione, ma obiettino se “vengono spinti alle estreme conseguenze”, senza rendersi conto che se date ragioni non valgono in un caso estremo non valgono in alcun caso». In altre parole alcune persone sembrano ammettere la libertà d'opinione solo su ciò che considerano ancora “dubbio” ma non per ciò di cui «...sono certi che è certo».
Nota (*6): la stessa obiezione nelle parole di JSM «Vietare ciò ritengono dannoso non significa pretendere di essere immuni dall'errore, ma adempiere al dovere, che tocca loro anche se sono fallibili, di agire in base alle proprie convinzioni e coscienze»
Nota (*7): lo so, sembra un sofisma ma se lo si legge con attenzione si capisce che è vero...
Nota (*8): l'analogia col mio pensiero sta nel fatto che sia l'inevitabile successo di una persona che quello di una verità si basano sulla stessa pseudo-logica a posteriori...
Nota (*9): questo concetto della propria opinione che vada verificata costantemente con le idee altrui e che comunque non si abbia la certezza sulla verità è COMPLETAMENTE parallelo alle tecniche di debugging di un programma: più test facciamo più un programma è affidabile ma non potremo mai essere sicuri della sua totale correttezza! Vedi Udacity e CS258...
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