Dopo Libertà d'opinione (1/2) passo ora ad affrontare la parte più interessante del pensiero di John Stuart Mill (JSM): ovvero perché sia giusto tutelare anche le opinioni che noi stessi giudichiamo errate o che siano considerate tali dall'opinione pubblica. Anzi, siamo nel caso in cui JSM parte dal presupposto che l'opinione da tutelare SIA errata!
La prima argomentazione (pag. 40-41) con cui JSM difende la libertà di esprimere opinioni errate si basa sulla relazione che si instaura fra idea errata e verità: qualsiasi verità, se accettata passivamente, cioè senza mai confrontarla con idee diverse (seppur sbagliate!), finisce per essere considerata in una strana maniera, una sorta di “pregiudizio”. Da una parta la si considera una verità ma da un'altra tende a uscire dal nostro schema di valori quotidiano.
La mente umana è costruita per confrontare le idee fra di loro: solo quelle su cui abbiamo dibattuto più a lungo finiscono per penetrare nella nostra coscienza perché le consideriamo affidabili. Le idee su cui, per qualsiasi ragione, non è possibile confrontarsi diventano invece delle formule vuote: solo parole a cui diventa progressivamente più difficile associare il loro vero significato. La verità su cui non è possibile confrontarsi diventa un freddo dogma che lentamente perde di significato.
Nelle parole (*1) di JSM: «...e supponiamo che un'opinione sia vera, ma venga pensata come se fosse un pregiudizio, una credenza indipendente da argomenti e ad essi refrattaria: non è questo il modo in cui un essere razionale dovrebbe possedere la verità; questo non è conoscere la verità. In queste condizioni, la verità non è altro che un'ennesima superstizione, associate a parole che enunciano una verità.».
In altre parole (pag. 41) insegnare la verità non significa far imparare a memoria delle formule: in matematica (*2), ad esempio, non si insegnano solo l'ipotesi/tesi dei teoremi ma anche le loro dimostrazioni.
Ugualmente importante al saper difendere le proprie opinioni è il saper confutare quelle contrarie. Illuminante la spiegazione di JSM: «Il secondo oratore dell'antichità affermava di studiare sempre gli argomenti del proprio avversario con uguale, se non maggiore, attenzione dei propri... ...Chi conosce solo gli argomenti a proprio favore conosce poco: può avere delle buoni ragioni, che magari nessuno è mai stato capace di confutare; ma se è altrettanto incapace di confutare le ragioni avversarie, se neppure le conosce, non ha basi per scegliere tra le due opinioni».
Ovviamente per conoscere le idee degli avversari è necessario che questi siano liberi di esprimerle!
Attenzione: l'obiettivo non è quella di riuscire ad avere la meglio sulle idee altrui ma quella di costruirsi, di raffinare attraverso il confronto, la nostra opinione: lo scopo non è “contro” qualcuno ma a “nostro” ultimo vantaggio!
Il lettore attento potrebbe obiettare che siamo nell'ipotesi in cui l'opinione avversa è errata e quindi il confronto con essa non aggiunge niente alla nostra verità.
Sì e no. Il fatto che l'opinione avversa sia sbagliata non equivale a dire che la nostra sia completamente esatta: magari la nostra verità può essere arricchita o perfezionata anche dal confronto con un'opinione sbagliata...
Ma a mio parere il concetto chiave è cosa significhi conoscere la verità. Significa conoscerne il suo enunciato o piuttosto la sua essenza?
Ovviamente vale la seconda ipotesi: in fin dei conti conoscere una verità significa essere in grado di usarla ma per farlo è necessario capirla (*3). Se la nostra verità fosse una spada allora il confronto con opinione diverse equivarrebbe a tenerla affilata in maniera che, all'occorrenza, la si possa usare efficacemente per difendersi.
In altre parole la nostra opinione è valorizzata dal continuo confronto con idee diverse anche se errate.
JSM scrive (pag. 45) «...la mancanza di discussione non solo fa dimenticare i fondamenti di un'opinione, ma il suo stesso significato. Le parole che la esprimono non suggeriscono più idee, o suggeriscono solo una piccola parte di quelle che comunicavano originariamente»
JSM porta come esempio di questa teoria, ovvero che l'opinione debba sempre essere messa in discussione per rimanere vitale, l'evoluzione delle varie religioni: quando una dottrina è nuova e deve imporsi all'opinione generale si trova costantemente messa in discussione e attaccata. In questo momento iniziale raggiunge il massimo della sua vitalità e i suoi fedeli sono pienamente consci delle novità che portano e che fanno totalmente loro; se in seguito la stessa dottrina prende il sopravvento allora le controversie lentamente si spengono con il risultato che i suoi valori (o verità), nei quali i primi fedeli credevano e sulle quali regolavano la propria vita, vengano date per scontate, imparate a memoria piuttosto che credute nella loro vera essenza.
Nelle parole di JSM (pag. 46), nella prima “fase” di una nuova dottrina: «in quel momento anche i più deboli comprendono e sentono ciò per cui combattono, e la sua differenza dalle altre dottrine; e in questa fase dell'esistenza di ogni fede si possono trovare molti adepti che ne hanno compreso i princìpi fondamentali in ogni aspetto del pensiero...». Grazie al continuo confronto al quale sono costretti, aggiungo io...
Quando poi la stessa dottrina si è affermata e non è più messa in discussione allora (pag. 47) «...queste dottrine... ...sopravvivono come morte credenze, senza mai esprimersi nei sentimenti, nell'immaginazione o nel pensiero...»
JSM porta l'esempio del cristianesimo e fa notare che, almeno fra i suoi contemporanei (ovvero a metà del 19° secolo), solo un credente su mille segua alla lettera i precetti del Vangelo. La stragrande maggioranza si accontenta di seguire «un compromesso fra la fede cristiana e gli interessi e le suggestioni di questo mondo. Al primo criterio offre il suo omaggio; al secondo, la sua reale sottomissione».
JSM prosegue poi (pag. 47-48) “spietatamente” scrivendo che tutti i cristiani credono che gli umili e i poveri siano beati, che sia più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare in Paradiso, che non si debba giudicare se non si voglia essere giudicati, etc...
I cristiani non sono insinceri quando affermano di credere in tutto questo: «ci credono, come si crede in ciò che si è sempre sentito lodare e mai discutere».
Ma i cristiani del nostro tempo raramente (a dir poco!) si attengono alla lettera a queste credenze: al contrario i primi cristiani donavano veramente tutte le loro sostanze ai poveri e si amavano l'un l'altro come fratelli!
JSM spiega (pag. 48): «I fedeli nutrono un rispetto consuetudinario per la loro formulazione [delle credenze], ma non un sentimento che dalle parole si estenda alle cose che significano e costringa la mente a prendere coscienza di queste...». Si arriva al paradosso che «...i cristiani cercano il signor A e il signor B per farsi dire fino a che punto devono obbedire a Cristo»!
La necessità del confronto per mantenere la vitalità delle idee per le religioni vale, ovviamente, anche per le dottrine non religiose.
È difficile insistere a sufficienza su quanto sia importante il contraddittorio fra opinioni (giuste o sbagliate che siano) per aiutare chi è nel giusto a capire meglio la propria ragione e chi è in torto a ravvedersi. Chiudo quindi questa parte con una bella citazione (pag. 50) di JSM: «La fatale tendenza degli uomini a smettere di pensare a una questione quando non è più dubbia è causa di metà dei loro errori. Un autore contemporaneo ha giustamente parlato del “profondo sonno dogmatico indotto da un'opinione definitiva”»
JSM, coerentemente con la sua teoria, fa l'avvocato del diavolo e riporta la seguente obiezione: se le idee errate sono così necessarie per mantenere viva la verità allora il progresso non è mai possibile perché ci dovranno sempre essere persone che dissentono su qualche principio fondamentale.
JSM risponde che è ineluttabile che col passare del tempo, ovvero con il progredire della conoscenza, il numero di questioni su cui si dibatterà diminuirà sempre di più; usa poi le due pagine successive a illustrare come questo, per quanto complessivamente sia un bene (altrimenti se si minano di continuo le basi della conoscenza con dubbi sempre nuovi questa non potrà progredire), abbia anche gli aspetti negativi già evidenziati nell'esempio del cristianesimo. Nelle parole di JSM: «La perdita di un aiuto così importante all'intelligente e viva comprensione di una verità, come è quello dato dalla necessità di chiarirla o difenderla nel contraddittorio, è una conseguenza negativa non trascurabile dell'universale riconoscimento del vero [cioè il progresso], anche se non ne supera i benefici»
L'importante, aggiungo io, è che non si vieti d'autorità a priori nessuna opinione: questo processo grazie a cui la discussione si sposta sempre su nuovi argomenti (piuttosto che “su sempre meno” come scrive JSM) deve restare un fenomeno naturale.
Addirittura JSM afferma che per apprendere veramente bisognerebbe sempre immaginarci delle opinioni opposte per poterle confrontare con quanto si va studiando e, proprio per questo, scrive (pag. 52) «Se vi sono persone che negano un'opinione generalmente accettata o che la negherebbero se la legge o il pubblico glielo permettessero, ringraziamole, ascoltiamole a mente aperta e rallegriamoci che qualcuno faccia per nostro conto ciò che altrimenti dovremmo fare da soli, e con fatica maggiore, se abbiamo un minimo di rispetto per la certezza o la vitalità delle nostre convinzioni». JSM con questa sola frase dice tutto: censurare le opinioni altrui, anche se si ritengono sbagliate, va contro l'interesse della comprensione della verità...
L'ultima argomentazione di JSM è che raramente tutta la verità sta da una parte sola: è molto probabile che, dal confronto fra due idee, anche quella di per sé già corretta ne esca arricchita. Personalmente immagino la Verità con la “V” maiuscola irraggiungibile ma comunque approssimabile con sempre maggiore accuratezza.
JSM al riguardo scrive (pag. 55): «Quando si trovano persone che fanno eccezione all'apparente unanimità del mondo su un qualsiasi argomento, anche se il mondo ha ragione, è sempre probabile che i dissenzienti abbiano da dire a proprio favore qualcosa che merita attenzione, e che, se tacessero, la verità perderebbe qualcosa.»
Infine JSM formula la seguente obiezione (pag. 55) alla propria teoria: alcuni principî comunemente accettati, e si riferisce alla cosiddetta morale cristiana, sono più che delle mezze verità. Perché quindi tollerare opinioni diverse da essa?
Nelle due pagine seguenti JSM fa una critica talmente oggettiva della morale cristiana da apparire spietata: riassumerla va oltre lo scopo di questo post (magari ne scriverò uno specifico su questo argomento!) ma la conclusione è che «il sistema cristiano non costituisca un'eccezione alla regola secondo cui in uno stadio imperfetto dello sviluppo intellettuale umano gli interessi della verità esigono la presenza di opinioni diverse.»
Molto obiettivamente JSM chiarisce di non pensare che la libertà d'espressione sia la panacea di ogni male: che con essa qualsiasi divergenza d'opinione potrà essere superata. Al contrario è consapevole che questa libertà possa, talvolta, addirittura esacerbare gli animi a tal punto che qualcuno potrebbe rifiutarsi di riconoscere la verità perché proveniente da una parte ritenuta avversa!
Comunque, scrive JSM (pag. 59), «Il male più temibile non è il violento conflitto tra parti diverse della verità, ma la silenziosa soppressione di una sua metà; finché la gente è costretta ad ascoltare le due opinioni opposte c'è sempre speranza; è quando ne ascolta una sola che gli errori si cristallizzano in pregiudizi, e la verità stessa cessa di avere effetto perché l'esagerazione la rende falsa.»
Infine l'autore riassume (pag. 60) i motivi per cui è bene tollerare ogni opinione, anche se sbagliata, e chiude il capitolo con due paginette (pag. 61-62) interessantissime nelle quali spiega in quale forma debba essere ammessa la libertà d'espressione. Anche su questo argomento dovrei scriverci un post...
Editato (6/11/2012): ieri avevo dato per scontato che i motivi per cui è bene non censurare un opinione, anche se sbagliata, fossero chiari ma forse è meglio se anch'io li riepilogo:
1) Il dover confrontare un'opinione vera con una sbagliata mantiene la prima vitale e non la fa diventare una "superstizione"
2) Questo secondo motivo si sovrappone in parte col precedente ma è da esso distinto: il confronto fra l'opinione vera e quella sbagliata permette di capire veramente l'essenza della prima.
3) I punti precedenti considerano l'opinione avversa come totalmente sbagliata mentre quella vigente come totalmente corretta: a maggior ragione sono validi se nessuna delle due opinioni a confronto è completamente giusta o errata. In generale la situazione è proprio questa e dal confronto fra un'opinione "più giusta" e una "meno giusta" la prima ne verrà comunque arricchita.
Spero di aver reso giustizia alle teorie di JSM o, almeno, di aver invogliato i miei lettori a comprarsi e leggere questo libro fondamentale.
Nota (*1): tutte le citazioni sono tratte da Saggio sulla libertà di John Stuart Mill, Edizione Net, 2002, trad. Stefano Magistretti.
Nota (*2): JSM (pag. 42) specifica che è peculiarità della matematica non lasciare argomenti alle ipotesi errate: in genere nelle altre discipline (morale, religione, politica, rapporti sociali, etc...) non è possibile dimostrare niente in maniera talmente assoluta da non lasciare spazio ad opinioni diverse.
Nota (*3): tornando all'analogia con la matematica, quanti studenti imparano a memoria i teoremi e poi non sono in grado di risolvere nessun problema dove questi non possono essere utilizzati direttamente?
lunedì 5 novembre 2012
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