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venerdì 28 febbraio 2020

L'inciampo dell'impero romano

[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.5.0 "Coronavirus").

Per caso mi sono imbattuto ieri mattina in un breve video di Trizio (v. Storici) che ha colto la mia attenzione: La caduta dell'impero romano. Le cause del crollo dal canale di Roberto Trizio

Come forse qualcuno ricorderà la caduta dell’impero romano è all’origine del mio interesse per la storia. Dal 2010 ho un pezzo incompleto (un piccolo stralcio lo si trova in Caldo o freddo?) in cui cerco di riassumere tutti i vari fattori che ne hanno portato alla caduta ma che però non ho mai completato: nonostante l'usuale grande fiducia nelle mie intuizioni in questo caso non mi sento abbastanza sicuro da espormi con le mie idee….

Per questo motivo mi ha molto incuriosito il video di Trizio: poi sono stato fuori tutto il giorno e non ho avuto modo di scriverci il pezzo che avrei voluto. Lo faccio quindi adesso…

L’idea è di riascoltare il video di Trizio e commentarne via via le varie affermazioni che sintetizzerò qui di seguito…

00:35 la caduta dell’impero romano è un argomento molto complesso.
D'accordissimo.

01:10 non è caduto per le invasioni barbariche come insegnano a scuola.
Beh, ha ragione nel senso che già in passato Roma aveva subito delle invasioni senza cadere (basti pensare a quelle dei teutoni e dei cimbri alla fine del II secolo a.C.). Diciamo però che sono state la spallata finale che ha fatto cadere un edificio pericolante.

01:15 L’affermazione di Gibson che sia stato il cristianesimo a causare la caduta è eccessiva: è stato un fattore.
D’accordo.

01:20 Gibbon scrive nell’ottocento. L’opera di Gibbon è ormai superata.
Qui mi sento un po’ in colpa: appena sentito gli ho commentato sul video che Gibbon (1737-1794) scrive nel settecento ed è quindi un illuminista: da qui le accuse al cristianesimo.
Col senno di poi mi è sembrato un commento un po’ pedante ma Trizio gli ha comunque dato il suo “mi piace”…
Verissimo che l’opera di Gibbon sia ormai superata.

1:50 Il motivo fondamentale della caduta è la gestione del potere.
Molto vago: dipende cosa si intende. Potenzialmente potrei essere d’accordo.

2:10 Il cittadino romano percorreva un percorso meritocratico che lo poteva portare alle più alte carico dello stato, perfino quella imperiale.
Ho la sensazione che qui si sovrapponga Repubblica e Impero: nella prima c’era il percorso sociale attraverso le cariche pubbliche che culminava nel consolato (però partendo da “buone” famiglie!), nel secondo la possibilità per ogni generale, grazie al supporto delle legioni, di usurpare l’impero (ricordo più di un caso di contadino divenuto imperatore).

2:30 Col tempo il potere viene gestito da chi ha il controllo delle legioni.
Beh, diciamo che alla successione dell’imperatore c’era sempre la possibilità di guerre civili fra i vari generali. Però questo è un problema già presente nel I secolo d.C.: basta guardare gli anni successivi alla morte di Nerone. Questo per dire che non può essere la causa della caduta.

3:05 Il potere non è più frutto della meritocrazia sociale romana.
Mi pare che la meritocrazia come l’intende Trizio sia quella della Repubblica: da Augusto in poi, con l’Impero, non c’è più. Il cittadino comune (che però sarebbe più corretto dire di famiglia nobile) non può divenire imperatore come in precedenza poteva divenire console.
Di nuovo non può essere questa la causa della caduta dell’impero romano.

3:20 Scollamento fra potere politico e comuni cittadini.
Sono d’accordo ma probabilmente non nel senso che intende Trizio.

3:40 il concetto del cittadino-soldato. Roma è stata sempre forte perché i suoi cittadini erano sempre pronti a imbracciare le armi per difenderla.
Di questo ne ho scritto anche sul ghiribizzo (e nell’Epitome). Il concetto del cittadino-soldato inizia a tramontare già alla fine della seconda guerra punica e per il secolo e mezzo successivo. Il punto di svolta lo si ha sotto Augusto: nel 34 a.C. Augusto è in grado di attirare a sé volontari per combattere Antonio ventilando la minaccia di una Roma guidata da un egiziano, Cesarone, il figlio di Cesare e Cleopatra. Ma già nel 9 d.C. quando, dopo la disfatta di Teutoburgo, Augusto tentò di mobilitare la cittadinanza romana non vi riuscì.
Con l’impero in pratica l’esercito sarà sempre formato da professionisti: eppure per quasi altri 5 secoli l’impero continua a prosperare. Di nuovo non può essere l’esercito di professionisti la ragione della caduta dell’impero.

4:30 Dal cittadino-soldato si arriva al suddito.
Vero, ma questo avviene (vedi sopra) nei due secoli successivi alla seconda guerra punica mentre la massima espansione dell’impero si ha sotto Traiano all’inizio del II secolo d.C.

4:40 I due grandi elementi che determinano la caduta dell’impero romano sono quindi: 1. la gestione del potere; 2. il cittadino non più soldato ma solo suddito.
Per quanto detto sopra non mi pare possa essere così…

5:05 Ragione secondaria: l’imbarbarimento dell’esercito.
In realtà le truppe formate da barbari comunque combattevano benissimo: l'imbarbarimento delle truppe è una vecchia teoria che adesso non è più tenuta in seria considerazione.

6:05 Il “porgere l’altra guancia” cristiano è una causa secondaria della caduta perché rende la popolazione meno bellicosa e propensa alla guerra.
Ma… è possibile che il cristianesimo abbia aumentato il solco fra potere e popolazione ma dubito che sia stato il fattore che l’abbia resa meno adusa alla guerra. Questa è una versione edulcorata della teoria di Gibson ma ho letto anche di ipotesi che affermano il contrario.

6:30 Come mai l’impero d’Oriente sopravviverà per altri mille anni circa? I motivi sono anche la posizione, l’economia ma soprattutto la riforma di Eraclio (VII secolo d.C.) del sistema dei thémata crea la figura del contadino-soldato che aiuterà l’impero a sopravvivere di più.
Allora spulciando su Wikipedia si dice che la riforma dei temi sia in realtà del secolo VIII e solo attribuita posteriormente a Eraclio. Quindi sarebbe avvenuta circa tre secoli dopo la caduta dell’impero d’occidente: come avrebbe fatto quindi questo a sopravvivere per altri tre secoli? Evidentemente non è stata così determinante. Del resto perché il contadino-soldato avrebbe dovuto essere così pronto a combattere? Anche lui non aveva potere politico, forse impugnava le armi con l’ideale di proteggere la propria terra? Truzio parla riferendosi al contadino-soldato come a un “ceto medio”: non ne so abbastanza per valutarlo ma i contadini storicamente, a meno che non fossero proprietari terrieri, non sono mai stati ricchi. Insomma nel complesso questo argomento non mi convince.

8:30 Roma è morta di AIDS: quando ha cioè perso la capacità di difendersi per le due ragioni viste precedentemente.
Ma… no, mi pare una semplificazione errata…
Alla fine Trizio non considera i regni barbarici all’interno dei confini, i confini stessi (il Danubio era molto più difendibile del Reno), l’economia, l’impatto degli unni e dei goti, le teorie sul calo demografico dovuto a epidemie e/o la più recente teoria climatica…
Insomma di elementi, anche importanti, ce ne sarebbero stati tanti altri da considerare!

Personalmente ritengo che il solco fra potere politico e popolazione sia effettivamente un fattore importante ma non tanto per la mancanza di rappresentatività politica quanto per uno scollamento fra gli epomiti dei parapoteri del tempo e quelli del resto della popolazione.
Nell'ultimi secolo di vita dell'impero d'occidente la popolazione comune preferiva essere dominata da un signore barbaro (che magari non era nemmeno in grado di riscuotere le tasse) piuttosto che essere solo formalmente libera nell’impero dove, ad esempio, la giustizia era però sempre a favore dei più forti.
In Promettente (1/2) scrivo:
«Interessantissimo è poi un episodio che già conoscevo ma senza i dettagli forniti dall'autore. Si tratta della testimonianza di Prisco un ambasciatore romano che va a parlamentare con Attila (449 d.C.). Prisco, al campo di Attila, si imbatte infatti in un cittadino romano (un ex mercante greco) che era riuscito a integrarsi perfettamente con gli unni e con i quali, gli spiega, si trova meglio che nell'impero. Attualissime le motivazioni apportate dal greco: «Presso i romani le leggi non si applicano a tutti; se il trasgressore è uno dei ricchi, egli non paga il fio; se è povero, viene punito, tranne che muoia prima del giudizio, tra le lungaggini e le grandi spese del processo.». Al riguardo vedere la seconda parte di La fine del corso...
E il mercante incontrato da Prisco non è il solo a pensarla così: Marsiglia Salviano, un autore a lui coevo, scrive che molti cittadini romani preferiscono abbandonare l'impero per rifugiarsi dai goti o altri barbari ribelli perché «preferiscono vivere liberi sotto apparenza di prigionia che prigionieri sotto apparenza di libertà».
»

Forse per completezza dovrei commentare anche questa mia osservazione sempre dello stesso pezzo: «La premessa inizia riportando un'affermazione di Vegezio, un intellettuale del IV secolo d.C., secondo il quale l'esercito romano avrebbe dovuto essere riformato tornando alla leva dei cittadini: Vegezio argomenta questa sua proposta rifacendosi a un'ideale di “romano” piuttosto stereotipato nella cultura del tempo: il romano è meno forte del germano, meno colto del greco, meno astuto degli africani, meno forte dello spagnolo; infatti la vera forza del romano sta nell'esercizio delle armi, nella sua disciplina e organizzazione.
L'autore liquida Vegezio definendolo “un individuo non particolarmente colto né intelligente” e la sua idea di legione romana un “reperto d'archivio, un fossile”; secondo l'autore questa posizione di Vegezio riflette un'idea appartenente alla cultura medio-bassa del tempo.
Come ho forse già accennato altrove sono particolarmente interessato alle ragioni della caduta dell'impero romano d'occidente e, ovviamente non influenzato dalla cultura medio-bassa del tempo, ero giunto a conclusioni simili a quelle di Vegezio. Ovviamente nella mia riflessione non mi basavo sullo stereotipo del romano come l'autore latino: il mio ragionamento era molto più articolato (non c'è spazio qui per discuterne) ma nell'essenza si basa sulla dinamica dei gruppi/poteri della società e sulla legge della rappresentatività applicata all'esercito dell'impero.
»
Come accenno nelle ultimi frasi la mancanza di un esercito di cittadini è una causa che provoca un effetto: l’aumento della disparità di ricchezza fra democratastenia e parapoteri. Il problema non è che un esercito con truppe barbare, a parità di equipaggiamento e addestramento, sia più debole di uno di cittadini ma chi e cosa questo rappresenti.
Probabilmente il punto fondamentale è che una società nella sua interezza prospera quando questa realizza l’interesse del maggior numero di persone e non di pochissime. L’esercito professionista porta all’aumento del benessere di pochi, quello di leva difende gli interessi di tutti. Lo si vede bene dopo la seconda guerra punica e, a distanza di oltre duemila anni, dopo la seconda guerra mondiale.

Conclusione: nel complesso questa analisi di Trizio non mi ha convinto ma del resto era impossibile che riuscisse a fare un’analisi di mio gradimento (e quindi approfondita e completa) in un video di soli dieci minuti. Comunque mi ha dato degli spunti su cui riflettere: in particolare mi piacerebbe approfondire la figura del contadino-soldato dell'impero bizantino e che cosa egli rappresentasse economicamente, militarmente e politicamente.

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