È buffo come i pensieri si rincorrono e si richiamano fra di loro: soprattutto quando ricostruisco una catena di pensieri al contrario, dall'ultimo al primo, è divertente scoprire cosa ha originato cosa.
Oggi ero in macchina e tornavo dal fare la spesa. A un semaforo ho osservato un signore con i pantaloni corti seguito da una ragazzina. I pantaloni corti, dato il clima odierno freddo e piovigginoso, mi hanno fatto pensare a un turista convinto che in Italia a maggio debba fare sempre e comunque caldo. Però dal fisico, alto ma non altissimo, e dai capelli bruni poteva passare come italiano. La ragazzina poi sembrava in tutto e per tutto italiana. I turisti poi si muovono tutti insieme: qui mancava almeno una moglie...
Allora ho pensato che anche qualche italiano indossa i pantaloni corti e mi è venuto in mente un ragazzo che ho conosciuto quando ero attivista del M5S. Ricordo di averlo visto, magari in estate, abbastanza spesso con pantaloni corti al ginocchio.
Allora mi è tornato in mente un episodio che lo vide protagonista insieme a dei turisti stranieri: all'epoca avevamo un “banchino” con materiale di propaganda per il M5S e un giorno si fermarono da noi dei turisti per chiederci delle informazioni in inglese. Fortunatamente per loro nel nostro gruppetto c'erano un paio di persone che avevano vissuti per molti anni in Canada e negli USA e io pure, nel mio piccolo, me la cavo: gli stavamo rispondendo quando, come un angelo vendicatore (vedi poi!), arrivò questo ragazzo che rispose al nostro posto. Io e un altro signore ci guardammo sorridendo: avevamo avuto la sensazione che il giovane si fosse intromesso così bruscamente per aiutarci, magari pensando che avessimo problemi a farci capire ma, in effetti, non era assolutamente così...
La mia memoria per certi episodi è molto buona e quindi quando li rivivo mi coinvolgono molto: anche stavolta ho ridacchiato (ero sempre fermo al semaforo, dopo tutto erano passati pochi secondi).
Ho poi immaginato alternative diverse per quell'episodio: in particolare di prendere in giro il ragazzo dicendo ai turisti di non credergli perché lui si diverte a dare informazioni false (chi mi conosce personalmente sa che questo tipo di "malignità" è molto da me!). Ho poi concluso questo dialogo immaginario con una frase sibillina: “Tourists dare where angels fear to tread” parafrasando un celebre verso di Pope. Era una frase che non c'entrava niente e per questa la trovavo divertente. Ovviamente per chi non ha il mio stesso senso dell'umorismo essa può sembrare semplicemente stupida.
Allora mi sono messo a rimuginare sulla differenza fra stupidi e folli (nel frattempo il semaforo era divenuto verde) e in effetti c'è una somiglianza ma è solo apparente. Entrambi hanno comportamenti fuori dalla norma ma i folli hanno una grandezza che agli stupidi manca.
Lo stupido si comporta in maniera sciocca, fuori dalla norma, per le piccole cose: su come rispondere a un vicino, su come gestire un lavoro, insomma nelle comuni decisioni quotidiane.
La portata delle “sciocchezze” del folle è invece molto diversa: egli non si comporta come la norma, ma lo fa anche nelle grandi cose: nelle sue scelte di vita là dove invece lo stupido si adegua a quella che è ritenuta la normalità.
A questo punto avevo già percorso varie centinaia di metri e, come spesso mi capita, ho pensato che era un pensiero abbastanza interessante da meritare di essere riportato sul viario.
Non solo: mi sono ricordato di una buffa epistola che ho scritto pochi giorni fa a un'amica. Il collegamento che me l'ha ricordata è la casualità con cui si sviluppano i pensieri. Inutile che aggiunga altro, ecco qui il frammento incriminato:
«...
Anche oggi non sento di aver molta fame e spero di riuscire a contenermi.
Proprio adesso mi è venuta l'idea per un racconto: un ragazzino va a scuola e inizialmente sembra come tutti gli altri: un po' più portato nelle materie scientifiche ma niente di particolare. Negli anni successivi però va sempre peggio in italiano: in particolare mischia insieme vocaboli italiani, inglesi e francesi. Inizialmente la maestra pensa che lo faccia apposta e gli dà brutti voti ma presto il ragazzino inizia a mischiare le parole anche nel parlare. A scuola riesce ad andare bene solo a matematica, stando attento a non scrivere alcuna parola ma solo i conti ma in tutte le altre materie è un disastro. Crescendo la situazione peggiora sempre più: bene o male le scuole inferiori era riuscito a farle ripetendo solo un anno ma quando arriva al liceo viene considerato un cretino dai professori e anche i compagni lo scherniscono. Lui salta un sacco di lezioni standosene per conto suo e alla fine dell'anno viene bocciato. Allora entra per la prima volta in scena il padre (nelle pagine precedenti solo la madre sembrava interessata al figlio battendosi contro i vari insegnanti affinché venisse promosso e cercando in tutte le maniere di correggere il comportamento del figlio con medicine e buone abitudini: perché i dottori le hanno detto di tenerlo il più lontano possibile da altre lingue affinché non si confonda sempre di più, etc...) che fa al figlio un discorso di questo genere: ora come ora se continui ad andare a scuola sarà uno stillicidio continuo: frustrante sia per te che per i tuoi insegnanti mentre contemporaneamente sarai lo zimbello dei tuoi compagni di classe troppo immaturi per capire le tue buone qualità "eppure ascolta le mie parole: tu ami comprendere gli altri, no? Tutte le lingue per te sono uguali e non c'`e differenza, giusto? So che ti piace studiare e allora studia. Studia per conto tuo: se ti impegni riuscirai... ma soprattutto studia le lingue straniere che ti piacciono tanto. Non temere di confonderle insieme sempre di più e di non venir più capito da nessuno. Ti dirò un segreto: tutti gli uomini anche quando parlano insieme fra loro, anche se usano la stessa lingua, non si capiscono mai veramente. Con le donne poi è ancora peggio! Quindi tu parla la lingua che preferisci: chi vorrà capire il tuo cuore lo capirà comunque..."
Ovviamente andrebbero limati alcuni spigoli a questa storia: come mai il padre interviene solo nel finale e non prima, realizzare una progressione che mostri la frustrazione crescente del ragazzo e gli sforzi inutili della madre. E il discorso finale dovrebbe essere epico!
Che dici?
Mi è venuto realmente a mente adesso mentre ti scrivevo la frase: "Anche oggi non sento di aver molta fame e spero di riuscire a mangiare poco anche oggi". Rileggendola ho notato la ripetizione finale e per un attimo ho pensato "e se al posto di oggi scrivessi today?" da cui l'idea per il racconto... ;-)
...»
Buffo no? Tutta l'idea di un racconto mi è venuta in un attimo per aver scritto una ripetizione e pensato di sostituirla con un'espressione analoga in un'altra lingua.
Per la cronaca l'amica mi ha risposto che si tratta di un'idea piuttosto frusta e abusata: un ragazzino con problemi sociali viene aiutato a superarli da un'altra persona.
Ma secondo me non aveva colto l'aspetto essenziale di questa idea, concentrandosi sulla mia brutta esposizione (davvero nata sul momento e senza averci riflettuto un solo attimo per migliorarla) senza coglierne il reale potenziale. Così le ho risposto:
«...
Beh, se lo riduci a questo allora sicuramente ne esisteranno migliaia di racconti simili: però devi considerare il potenziale dell'idea non il mio brutto riassunto di poche parole scritto realmente di getto. Secondo me l'idea essenziale non sono le difficoltà del giovane ma un'altra: il linguaggio è solo l'apparenza più esteriore della comunicazione, mi piacerebbe che il racconto riuscisse a mostrare un giovane che non riesce a farsi capire parlando ma che (eliminando il padre, deus ex machina) riesce a capire gli altri ma anche se stesso meglio che con le parole. Ovviamente non sono uno scrittore abbastanza bravo da dosare la delicatezza che questo tema richiederebbe però, in teoria, l'idea sarebbe questa...
...»
Conclusione: insomma quando, come nel corto Versione 0.3.0, scrivo che “Vero che poi, quando inizio a scrivere, le idee mi vengono da sole...» è proprio così!
lunedì 8 maggio 2017
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