«[Figlio dell'uomo] Porgi l'orecchio e ascolta le parole di KGB
e applica la tua mente alla SUA istruzione
» Pv. 22,17

Qui si straparla di vari argomenti:
1. Il genere dei pezzi è segnalato da varie immagini, vedi Legenda
2. Per contattarmi e istruzioni per i nuovi lettori (occasionali e non) qui
3. L'ultimo corto è questo
4. Molti articoli di questo blog fanno riferimento a definizioni e concetti che ho enunciato nella mia Epitome gratuitamente scaricabile QUI. Tali riferimenti sono identificati da una “E” fra parentesi quadre e uno o più capitoli. Per esempio: ([E] 5.1 e 5.4)

domenica 31 gennaio 2016

Decameron settimo giorno: comare e compare

Dopo qualche mese di pausa ho finalmente ripreso a leggere il Decameron: diversamente dal solito mi sono ricordato di prendere pochi appunti e quindi non dovrò risfogliare tutti i racconti a caccia di idee.
Ma non credo che avrò molto da scrivere: nonostante l'alta aspettativa (prima o poi troverò dei racconti boccacceschi!) e il tema della giornata apparentemente favorevole (come le mogli hanno beffato i rispettivi mariti) non ho molte annotazioni: meglio, così farò prima...

La prima annotazione è sui vocaboli “compare” e “comare”: io li consideravo degli appellativi generici, delle varianti fuori moda di amico o conoscente: magari la “comare” un po' chiacchierona e il “compare” un po' furbastro...
Invece no: il loro significato era originariamente molto più specifico e corrispondeva a “padrino” e “madrina” nei battesimi. Ma la cosa più sorprendente è che questo creava una relazione fortissima, quasi fosse una parentela, anche con i genitori del bambino.
Nella terza novella infatti un uomo, innamorato di una donna sposata a un marito gelosissimo, non trova di meglio da fare che diventare padrino del loro figlio: in questa maniera egli diviene compare della madre (che a sua volta, se ho ben capito, diviene comare di lui) e del padre. E come compare ha libero accesso alla casa dell'amata e può parlarle liberamente: può così corteggiarla anche se, almeno inizialmente, la donna ha tutte le paure e i dubbi, dell'intraprendere una relazione incestuosa...

Nella quinta novella, ma in realtà anche in molte altre, appare un tema ricorrente: l'eccesso di gelosia, in genere da parte del marito verso la moglie. Mi pare interessante perché all'epoca, almeno secondo il Boccaccio, costituiva una giustificazione morale per il tradimento della moglie.
Intendiamoci: la consapevolezza che la moglie traditrice rischi l'inferno è presente e costante ma la sensazione è che la “morale comune” fosse decisamente più comprensiva verso lei e contraria agli eccessi del marito. Invece questa stessa simpatia/comprensione manca verso le donne picchiate dai mariti (violenza che a me sembrerebbe più grave della gelosia): sarebbe interessante saperne di più...

Un'altra osservazione generale, non legata cioè a una specifica novella, sulla morale dell'epoca è la seguente: apparentemente era molto più grave avere una relazione con una donna non sposata che con una moglie. Molto più grave cioè insidiare la “figlia di” che la “moglie di”!
E per “molto più grave” intendo dire che, almeno nelle novelle del Boccaccio, quando tale relazione veniva scoperta finiva molto male per entrambi gli amanti. Anche la figlia rischiava di venire travolta dall'ira paterna...
È interessante notare che, ancora nella Francia del XVIII secolo, i libertini non insidiavano le donne nubili ma solo quelle sposate: ad esempio madame Pompadour (v. La marchesa Pompadura) può iniziare le proprie “avventure” solo dopo essersi sposata.
Sulle ragioni del fenomeno ho molti sospetti ma, visto che non conosco il periodo storico, si tratta di intuizioni troppo azzardate e che, come tali, preferisco non condividere.

Il tema della relazione fra comare e compare ritorna anche nella decima novella: due grandi amici amano la stessa donna ma uno di loro è compare di questa (quindi padrino del figlio di lei) e riesce così ad avere una relazione con essa. Dopo qualche tempo però l'uomo muore e il suo spettro torna a visitare l'amico ancora vivo: il secondo gli chiede quali siano le pene che deve subire nell'inferno per aver avuto una relazione con la propria comare ma lo spirito gli riferisce cosa gli risposero altri dannati a queste sue stesse paure: «Va, sciocco, non dubitare, ché di qua non si tiene ragione alcuna delle comari!».
Così l'amico (quello vivo!) «...avendo udito che di lá niuna ragione si teneva delle comari, cominciò a far beffe della sua sciocchezza, per ciò che già parecchie n'avea risparmiate;»
La novella mi ha colpito perché il suo unico scopo sembra essere quello di arrivare a questa affermazione evidentemente contro i principi del tempo: è quindi questo evidentemente il pensiero di Boccaccio che lui vuole ribadire fortemente: aveva forse avuto l'autore stesso una relazione con una sua comare?

Conclusione: ancora mi rimangono da leggere tre giornate ma ormai temo che Boccaccio non fosse assolutamente boccaccesco!

sabato 30 gennaio 2016

Chiave chiusa a chiave

Non ho molta manualità: mi intrigano i problemi teorici, matematici e non, ma non mi piacciono quelli pratici. C'è sempre qualcosa che sfugge al mio controllo: mi manca del materiale, non riesco a combinare gli oggetti come vorrei, etc...
Per questo motivo probabilmente, quando riesco a risolvere un problema pratico, sono molto contento.

Ieri mattina mi preparavo a partire, avevo già caricato la mia roba in macchina, quando mi accorgo di aver dimenticato la giacca. Senza pensarci troppo chiudo lo sportello e salgo in casa: quando ritorno scopro l'amara sorpresa. La mia macchina si era chiusa con le chiavi all'interno, nel portamonete accanto al cambio fra i due sedili anteriori...
Non riuscivo a capacitarmene: la mia macchina quando si apre resta aperta così come, una volta chiusa, rimane chiusa. Com'era possibile che si fosse chiusa da sola?
Anzi: da tempo la chiudo sempre a chiave perché altrimenti ho un assorbimento maggiore di energia che mi scarica la batteria in pochi giorni... Questo per sottolineare che quando mi dimenticavo di chiuderla a chiave mi rimaneva aperta!

Che fare? Il problema è che la mia chiave di riserva è dispersa in casa (Bisba è sospettata) ormai da un paio di anni: in genere le cose che perdo risaltano fuori prima o poi; addirittura dopo poche ore se ricompro ciò che è andato perso: sempre... e per questo non mi ero ancora deciso a fare una copia della mia chiave...

Ovviamente non volevo rompere un finestrino né chiamare un carro attrezzi: questo non mi lasciava molte alternative.

L'idea base era quella di aprire una fessura fra lo sportello e il telaio in maniera da potervi infilare una specie di "canna da pesca": a quel punto avrei avuto più opzioni.
1. “pescare” il mazzo di chiavi e, lentamente, portarlo e farlo passare dalla fessura (mi preoccupava perché non ero sicuro che ci passasse e, se mi fosse caduta nel tentativo, non l'avrei potuta recuperare). In questo caso avevo due opzioni: usare un gancio o una calamita.
2. tirare la maniglia dello sportello: in questo caso avrei avuto due opzioni, scegliere quella vicina o quella dall'altro lato della macchina.
3. avvicinare la chiave sul sedile e poi premere il pulsantino per sbloccare le porte.
4. tentare di aprire il bagagliaio (avevo il sedile posteriore abbassato).

Creare la fessura fra sportello e telaio non è stato difficilissimo: mi sono bastate tre stecche di legno che appartenevano al sottomaterasso (rotto) di un lettino di legno. Partendo dall'angolo in alto sopra la serratura sono riuscito a fare forza (effetto leva) e a inserire sempre più in profondità i miei legnetti. Ovviamente ho avuto un problema: la guarnizione di gomma sul lato superiore dello sportello mi impediva di inserire i miei legnetti e per questo ho finito per dovermi accontentare del lato verticale, leggermente più lontano dalla chiave.

Delle varie possibilità le uniche che ho preso seriamente in considerazioni sono state la 1 e la 2. Il problema nell'aprire direttamente uno sportello tirando la rispettiva maniglia era la difficoltà nel far presa, e quindi forza, con la mia “canna da pesca”. In realtà sembrano progettate volutamente per rendere estremamente difficile questa possibilità.

Ma il problema maggiore non è stato creare la fessura quanto trovare una “canna da pesca” adeguata. Idealmente mi sarebbe bastato avere un cavo di metallo sufficientemente rigido da poterlo manovrare con precisione e piegare all'occorrenza. In realtà avevo solo un cavetto abbastanza lungo, relativamente sottile, che però si piegava sotto il proprio peso, col risultato che era praticamente impossibile da controllare con una decente accuratezza...
Riguardo all'ipotesi gancio o calamita (*1) ho optato per il gancio: prima di tutto non ricordavo dove avevo le mie calamite (non ero nemmeno sicuro passassero dalla fessura) ma poi non avrei saputo come far passare chiave e portachiavi dalla strettoia: non avrei potuto infatti fare forza perché le chiavi si sarebbero subito staccate cadendo irrecuperabilmente fra sedile e sportello.

Avevo dei pezzi di cavo un po' più rigidi ma, ovviamente (legge di Murphy), erano troppo corti.

Dopo una lunga riflessione e molti snervanti esperimenti effettuati combinando insieme i vari cavi di ferro (e canne di bambù!), con risultati sempre troppo corti o troppo flosci, sono arrivato alla conclusione che avrei dovuto rafforzare il mio unico cavo lungo, con altri due più corti...
Alla fine ho realizzato la “canna da pesca” che ho chiamato Frankestin (vedi foto): ho intrecciato il cavo verde con gli altri due più corti, usando del nastro adesivo per coprire gli spuntoni in maniera che non rimanessero incastrati nella guarnizione dello sportello...

Ah, c'è anche da dire che la fessura, essendo molto stretta, non lasciava molto spazio di manovra: per riuscire a far raggiungere al gancio la posizione che volevo dovevo estrarre il cavo e piegarlo adeguatamente (vari tentativi).

Comunque in una decina di minuti, grazie alla maggiore stabilità della Frankestin, sono infine riuscito ad agganciare il portachiavi. Così MOLTO lentamente ho iniziato a estrarre la mia “canna da pesca” con la preda all'amo.
Come temevo, una volta arrivati alla guarnizione, il portachiavi è rimasto incastrato. Fortunatamente fra i miei attrezzi avevo anche una pinza dalla punta allungata (suppongo abbia un nome specifico ma non lo conosco: vedi foto). Con questa ho iniziato a manipolare il portachiavi e alla fine sono riuscito a fare uscire il medaglione, poi ho migliorato la posizione della chiave vera e propria e, finalmente, sono riuscito a estrarla...

Ma ecco le foto dei miei scarsi strumenti a disposizione, dello sportello e la “ricostruzione” di dove fosse la chiave...

Panoramica dei miei strumenti

La Frankestin in tutta la sua lunghezza

Particolare della Frankestin

Altro particolare della Frankestin

Gancio e chiave

La chiave nel portamonete (RICOSTRUZIONE!)

Da dove ho fatto passare la chiave...

Conclusione: quasi quasi mi faccio un duplicato della chiave anche se sicuramente questo farà riapparire la copia mancante...

Nota (*1): in realtà avevo ideato anche una terza opzione (temevo che la chiave mi cadesse dal gancio a causa di un movimento troppo brusco o involontario) che mi avrebbe permesso di agganciarla con la massima sicurezza: in pratica un semi anello con al suo interno un altro semi anello collegato a un filo da cucire che avrei tirato per trasformare il semi anello in un anello completo. Ma ovviamente non avevo il materiale adatto a disposizione né la manualità necessario per crearmi i pezzi mancanti...

venerdì 29 gennaio 2016

Il libertarianismo

Ho appena finito la quinta lezione del corso di filosofia della morale e della politica (v. L'obiezione di KGB) e finalmente, dopo un paio di “puntate” un po' sottotono sull'utilitarismo, il mio interesse è stato ravvivato da una nuova filosofia: il libertarianismo (Robert Nozick).

L'idea alla base del libertarianismo è il valore assoluto dell'individuo il cui diritto principale è la libertà. L'unica limitazione alla libertà del singolo è quella di non nuocere ad altri. Anzi, i diritti dei singoli sono così ampi che lo Stato, secondo Nozick, dovrebbe essere estremamente cauto a imporre qualsiasi costrizione. Le uniche tasse ammesse dovrebbero essere quelle necessarie per garantire dei servizi minimi: sicurezza, giustizia etc..

In particolare quindi lo Stato dovrebbe astenersi da:
1. Leggi paternalistiche, ovvero che mirino a difendere l'individuo da sé stesso.
2. Leggi moralizzanti, ovvero che cerchino di indirizzare la moralità dell'individuo.

E fin qui ero piuttosto entusiasta di questa ideologia (*1)...
Poi però, credo volutamente per provocazione (*2), c'è un terzo vincolo:
3. Leggi contro la redistribuzione della ricchezza. Cioè leggi che “prendono ai ricchi per dare ai poveri”.

È una provocazione perché subito dopo si mettono due condizioni a questo terzo punto:
A. La ricchezza deve essere stata ottenuta onestamente (senza rubare a nessuno!).
B. La ricchezza deve essere stata ottenuta senza costrizioni ma con il libero scambio.

L'argomentazione di Nozick è la seguente: di per sé la ricchezza di un individuo, grande o piccola che sia, non dice niente: non sappiamo cioè se sia “giusta” o “ingiusta”.
Per stabilirlo dobbiamo considerare come è stata ottenuta. Per Nozick, se i vincoli A e B sono rispettati, allora la ricchezza è giusta e pertanto non deve essere tassata; in caso contrario va invece ridistribuita.
Come esempio Nozick prende il cestista Michael Jordan che in una singola stagione guadagnò 31 milioni di dollari. Egli dice che lo stipendio di Jordan è fornito dai suoi tifosi che pagano per vedere le sue partite: essi decidono liberamente di pagare (vincolo B rispettato) per vederlo giocare; contemporaneamente chi non lo paga perché, ad esempio, non segue la pallacanestro, non ne riceve alcun danno (punto A e principio generale del libertarianismo rispettati). Ne consegue che il guadagno di Jordan è legittimo. Nozick spiega poi perché tassarlo sarebbe sbagliato: il chiedere a Jordan una parte dei soldi guadagnati, diciamo il 25% (non siamo in Italia!), equivalerebbe a pretendere che Jordan dedichi il 25% del suo lavoro allo Stato: ovvero tasse = lavoro forzato; ma il lavoro forzato = schiavitù in quanto si priva l'individuo della disponibilità di una parte del proprio tempo ledendone quindi la libertà.

Sfortunatamente per Nozick avevo già riflettuto su questa specifica problematica e ho quindi le idee piuttosto chiare al riguardo. La logica di Nozick mi sta bene fino a quando enuncia i due criteri per stabilire se una ricchezza è legittima e, quindi, se tassabile o no.
I due vincoli che propone sono infatti troppo semplicistici e inadeguati per dirimere il problema: anzi, non sono neppure sicuro che si possa risolvere!

La mia principale obiezione è che più si è ricchi e più è facile accumulare ulteriore ricchezza. Questo lo si vede quotidianamente: provate a vedere banalmente quanto vi dà la banca come tasso di interesse se avete un deposito di 10.000€ e quanto su uno da 1.000.000€! Oppure considerate le maggiori opportunità di investimento che si hanno avendo un grande capitale a disposizione...
Questo significa che intrinsecamente la quantità di denaro a disposizione provoca delle ingiustizie per il solo fatto di poter accrescersi più o meno facilmente.

Nella mia “ideologia” sono giunto alla conclusione che sia fondamentale garantire pari opportunità a tutti. E con pari opportunità non intendo la miope distinzione fra uomini e donne ma per tutti gli individui.
Per questo ritengo fondamentale garantire a tutti, o almeno ai più meritevoli, un'istruzione di alta qualità. La parità dei diritti fra gli individui inizia proprio dalle opportunità che si hanno nell'infanzia e nella giovinezza.
Ovviamente garantire l'istruzione non è una condizione sufficiente: al riguardo avrei molte altre idee ma, prima o poi, ne scriverò in un pezzo a parte...

Conclusione: io credo che alla fine l'essenza della morale sia come si considerano gli uomini. L'eredità cristiana che considera tutti gli uomini uguali (perché dotati di anima) alla fine, scontrandosi con la realtà che tutti gli uomini sono diversi (almeno questa è la mia teoria), porta a delle contraddizioni più o meno evidenti come, ad esempio, nella filosofia dell'utilitarismo.

Nota (*1): anche se avevo delle riserve su quali avrebbero dovuti essere i servizi minimi garantiti dallo Stato: a mio parere dovrebbero includere anche l'istruzione e la sanità. Né il testo né il professor Sandel li specificano ma ho la sensazione che Nozick non sarebbe d'accordo con me!
Nota (*2): Robert Nozick pubblicò le sue tesi nel 1974 e credo che non gli sfuggisse l'equazione: scalpore = pubblicità = + vendite. Si sarebbe potuto costruire tutto il sistema di argomentazioni in maniera diversa facendo in modo che il punto 3 fosse una conseguenza: avrebbe avuto più senso ma avrebbe fatto meno rumore...

giovedì 28 gennaio 2016

Il giglio di ghiaccio

Poesiuola pensata nella notte e messa nero su bianco al mattino, prima di dimenticarla: come un sogno infatti l'ispirazione evapora alla luce del giorno. Le tracce che lascia sono troppo labili per ricordarla ma abbastanza forti da far rimpiangere ciò che era stato e non potrà più essere...

Il giglio di ghiaccio
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Ho visto il giglio:
Candido, fresco e incontaminato;
Mai fiore più bello ho incontrato.
Ho preso il giglio:
L'ho piantato, a casa, in vaso raro
E l'ho curato ché già mi era caro.
Ho amato il giglio:
Sul mio tavolo splendeva al sole,
La sua luce mi accendeva il cuore
Ho odiato il giglio:
Ma ignorava il mio caldo affetto;
E l'indifferenza mi gelò il petto.
Ho ucciso il giglio:
Brillava per la sua grande bellezza
Ma poi essa lo tradì alla nettezza...

lunedì 25 gennaio 2016

Mamma vs ciccia

Ho scelto a casaccio un altro libro di mia mamma: Il santuario delle ragazze morte di Stephen Dobyns, Ed. Club degli Editori, 1997, trad. Gianni Pannofino.
L'avevo riposto nella mia libreria di fantascienza e non so perché mia madre l'avesse comprato non essendo il suo genere. Pensavo fosse un giallo/orroroso e, senza troppa convinzione (non è neppure il mio genere!), l'avevo scelto come “libro da bagno” (a sostituzione dell'enciclopedia della filosofia che leggevo aprendola a casaccio! (*1)).

Invece è un libro anomalo: l'unico elemento da giallo che ha è quello di non rivelare il nome dell'assassino fino all'ultimo capitolo; di aspetti orrorifici non ce ne sono: non c'è magia né altri elementi soprannaturali. Mancano anche capitoli vibranti d'azione: anche perché tutta la vicenda è raccontata da un anonimo professore che ha vissuto gli eventi senza esserne mai coinvolto direttamente.
È invece un libro psicologico che presenta una grande varietà di personaggi ottimamente caratterizzati e che lasciano il segno. Soprattutto vuole mostrare la psicologia collettiva di una piccola cittadina americana e del progressivo deterioramento dei suoi valori o volendo, da un altro punto di vista, dello sgretolarsi della sua ipocrisia.
In definitiva un libro che si legge bene e che, una volta appassionatomi, ho terminato in pochi giorni.

Sfortunatamente questi libri, per quanto piacevoli, non sono particolarmente istruttivi: al massimo ci si può imbattere in qualche citazione altrui...
Così è stato con gradito e inatteso stupore che, svoltando pagina, ho subito notato un breve paragrafo sottolineato da mia madre. Ho riconosciuto il suo tratto perché era una sottolineatura a penna (orrore!) un po' incerta e storta, tracciata di fretta senza molta attenzione...

L'emozione era dovuta al fatto di rientrare in contatto con lei, con la logica dei suoi pensieri, di ricordarmi i suoi gusti e di ricostruirne il filo dei ragionamenti analizzando ciò che l'aveva colpita...

Il passaggio sottolineato è il seguente:
«Quando si sedeva a terra aveva bisogno di aiuto per rialzarsi. Jesse e Shannon lo aiutavano, mentre gli altri ridevano. Anche Chihani riteneva che ci fosse qualcosa di male nel fatto di essere così grassi. Era indizio di mancanza di disciplina. … … [Il ciccione è un po' dimagrito e si suppone che avesse] ridotto le dosi giornaliere di Coca-Cola o che … … fosse passato alla Diet Coke.»

Che dire? Non è la citazione di Oscar Wilde o di Lattanzio che sarebbe piaciuta a me...
Ha però il merito di avermi ricordato un aspetto di mia madre al quale non avevo mai prestato particolare attenzione ma che, in effetti, era piuttosto caratteristico.
La mamma ha sempre curato molto il proprio aspetto, sia nel vestire, sia nel truccarsi e, soprattutto, stando attenta a non mangiare troppo per non ingrassare.
Mi rendo conto adesso che, anche se non era mai stata una buona forchetta, aveva comunque sempre dovuto fare ricorso a una costante autodisciplina per evitare di abbuffarsi dell'occasionale ghiottoneria che le piacesse. Mi è quindi chiaro perché abbia sottolineato il pensiero di Chihani sulla disciplina...
Poi era sempre un po' fissata contro le bevande gassate: non perché facessero male ma perché facevano ingrassare! Anch'io, che da giovane ero magro come un chiodo, ero sempre ripreso se bevevo troppa Coca Cola...
Il fatto che poi il ragazzo ciccione del passaggio fosse deriso anche dai suoi compagni potrebbe aver ricordato a mia madre gli anni dell'infanzia quando anche lei era, relativamente, grassoccia.

Insomma il passaggio evidenziato non mi ha dato spunti per profonde meditazioni ma mi ha comunque fornito ricordi di mia mamma a cui ho ripensato sorridendo.

Conclusione: ci sarebbero da menzionare un altro paio di cosette secondarie ma preferisco chiudere qui con questo pizzico di nostalgia...

Nota (*1): per la cronaca, ora che il Santuario delle ragazze morte è stato prontamente promosso e terminato, il mio nuovo libro “da bagno” è divenuto una grammatica italiana della Zanichelli...

sabato 23 gennaio 2016

L'obiezione di KGB

Da pochi giorni, grazie al suggerimento di un'amica, sto seguendo un corso bellissimo: ancora non sono sicuro di come sia intitolato (sono andato direttamente alle lezioni saltando tutto il contorno!) ma direi che sia una sorta di Introduzione alla Filosofia della morale e della politica con molteplici collegamenti alla giustizia...

Detto così sembrerebbe un corso noiosissimo dove, per sopravvivere senza morire di noia, ci si addormenta per risvegliarsi al suono della campanella: ma non è così...
Il professore, Michael Sandel, insegna ad Harward e, fra le qualità dell'insegnamento, è evidentemente compresa anche la capacità di appassionare gli studenti alla materia: le lezioni infatti sono tenute in una specie di teatro, letteralmente gremito, e l'insegnante coinvolge tutti fin dall'inizio. Sandel non si limita a elencare principi spiegando la relazione che c'è fra gli stessi o magari eventuali contraddizioni o casi limite: al contrario egli propone delle situazioni (talvolta immaginarie, talvolta tratte da veri processi) che presentano un dilemma morale e chiede al pubblico di alzare la mano per votare la “scelta giusta” da fare; poi chiede a qualche studente il motivo per cui ha fatto una scelta e non un'altra e l'aiuta a far emergere il principio morale che ha applicato. Poi tramite altre domande, magari cambiando leggermente lo scenario proposto, mostra i limiti o le contraddizioni di tale principio facendolo, contemporaneamente, comprendere più pienamente.
In altre parole l'insegnante, grazie a una guida e supervisione attenta, è in grado di far arrivare gli studenti autonomamente ai concetti che vuole spiegare: ovviamente in questa maniera la comprensione delle problematiche è massima (*1).
Ho dato un'occhiata alla biografia di Michael Sandel e non sono certo che sia un grande filosofo (*2) (mentre, ad esempio, Harari lo considero un grande storico) ma di sicuro è un magnifico insegnante e divulgatore!

Senza entrare nei dettagli (*3) nella prima lezione è emersa chiaramente, tramite quattro divertenti esempi con i quali ha coinvolto il pubblico, la differenza fra morale categorica e morale consequenziale (*4).
Nella seconda e terza lezione, partendo da un caso reale, il processo del 1884 "The Queen vs Dudley and Stephens", ha approfondito la teoria dell'utilitarismo (*4) di Jeremy Bentham che si basa sulla morale consequenziale. Come al solito, interrogando il pubblico, ne ha evidenziato due grosse obiezioni.

Anch'io, autonomamente, mi ero in precedenza divertito ad appuntarmi una lista di obiezioni all'utilitarismo. Due di queste sono le stesse del professore Sandel, la mia terza è minore ma la quarta mi pare che distrugga completamente tale teoria: magari mi sfugge qualcosa ma comunque si tratta sicuramente di un'obiezione molto interessante.

Ma procediamo con ordine.
Le obiezioni (*3) del professore all'utilitarismo sono le seguenti:
1 – non vengono rispettate i diritti/volontà/preferenze dei singoli o delle minoranze.
2 – è impossibile trovare un'unità di misura comune per emozioni come piacere/dolore/felicità/etc... in particolare non è possibile confrontare il piacere di, ad esempio, di tre persone contro il dolore di una e concludere che il primo è maggiore del secondo e quindi preferibile.

La mia terza obiezione è la seguente:
3 – Il piacere/dolore provato da ogni persona è soggettivo e variabile e non è possibile quindi giungere a conclusioni universali. Ad esempio si potrebbe avere una situazione A che è considerata auspicabile perché “sottraendo” al bene ricevuto dalla società la sofferenza di, diciamo, cento persone si ottiene un risultato marginalmente positivo: ecco però che se queste cento persone hanno tutte i capelli rossi (uno studio scientifico di qualche anno fa ha dimostrato che queste sono più sensibili al dolore) la differenza potrebbe divenire negativa. In altre parole le conclusioni prodotte dall'utilitarismo non sarebbero assolute ma dipenderebbero dagli individui coinvolti...

Ma ecco la mia quarta obiezione:
4 – Nel calcolare il bene/felicità/piacere della società Bentham propone di fare semplicemente la somma del bene/felicità/piacere di tutti gli individui che la compongono: in altre parole considera tutti gli uomini uguali.
D'altra parte ogni uomo, sempre per la teoria dell'utilitarismo, ha capacità diverse di aumentare o diminuire il bene della società (pensiamo ad esempio a come un chirurgo che salva quotidianamente delle vite produca un bene/felicità infinitamente maggiore di un ladro o di un assassino) e ne consegue quindi che sono intrinsecamente diversi.
Ma considerare contemporaneamente tutti gli uomini sia uguali che diversi è una contraddizione.
Mi si potrebbe obiettare che gli uomini sono diversi come capacità ma uguali nei diritti: in generale questa affermazione potrebbe anche essere vera giustificandola, ad esempio, col fatto che tutti gli uomini hanno un anima. Ma la teoria di Bentham si vanta di far discendere tutte le sue conclusioni da l'unico principio del bene/piacere/felicità contapposto al male/dolore dell'individuo e, mediante somma algebrica, della società: in questa concezione non c'è spazio per “l'anima” o per altri principi che potrebbero giustificare l'uguaglianza di tutti gli uomini una volta che se ne è dimostrato (e molto facilmente) il diverso peso nel bene/felicità/piacere collettivo. Nell'utilitarismo c'è un'unica misura e in base a questa gli uomini sono tutti diversi e non ha quindi senso considerarli tutti uguali.

Conclusione: attualmente sono all'inizio della quarta lezione, forse un po' sottotono rispetto alle precedenti, e come detto sono entusiasta del corso. Spero che nel prosieguo invece di sfiorare appena la superficie delle varie problematiche le si approfondisca maggiormente, ma anche così è già piacevole e utile.

Nota (*1): in realtà non è un procedimento nuovo: è famoso l'esempio di Socrate (maieutica) che era capace di insegnare il teorema di Pitagora a uno schiavo facendocelo arrivare autonomamente tramite una successione di domande...
Nota (*2): come regola di pollice sono molto scettico sui “filosofi” che inseguono il denaro e quelli che si sposano più di due volte! Non vorrei che Sandel appartenesse alla prima specie...
Nota (*3): per conoscerne i dettagli iscrivetevi al corso: è gratuito!
Nota (*4): come sempre, non conoscendo la materia, traduco dall'inglese usando dei termini che potrebbero non essere quelli classici usati in italiano: l'importante è capirsi...

giovedì 21 gennaio 2016

Il pericolo nascosto...

La conclusione del pezzo L'origine della dittatura è negativa: l'uomo (*1) moderno non è immune alla dittatura ma è protetto solo da alcune specifiche forme che saprebbe riconoscere: quelle che esaltano gli ideali di nazione e di razza.

Ideologie sotto forme diverse, che non si basino sugli ideali di “nazione e razza”, magari propugnati non da specifiche forze politiche, e che magari non sembrano neppure delle ideologie, potrebbero essere considerate innocue o forse addirittura semplicemente ignorate dalla maggior parte della popolazione.
Come spiegato in L'origine della dittatura è importante esaminare e comprendere il mito alla base di un'ideologia per valutare il pericolo di possibili degenerazioni della stessa. Questa operazione non è banale in quanto richiede anche una buona dose di fantasia per riuscire a immaginare le possibili conseguenze di situazioni nuove e dei loro possibili sviluppi. Non si tratta cioè di una scienza esatta (altrimenti basterebbe una persona che desse l'allarme fornendo una “dimostrazione”!) ma di semplici congetture e la gente, si sa, preferisce non ascoltare le cassandre e fare invece finta che tutto vada bene.
Eppure avere anche solo la consapevolezza dei possibili rischi sarebbe già molto importante: tutti gli occhi sarebbero pronti a cogliere i primi sintomi del concretizzarsi dei pericoli vaticinati e così, forse, si riuscirebbe a evitarli.

Permettetemi una divagazione.
Recentemente mi sono imbattuto nel termine “palingenesi” che è usato in filosofia e geologia oltre ad avere il significato generico di “totale rinnovamento”. Ma “palingenesi” è anche usato in biologia: il danese Haeckel utilizzò tale termine per indicare la sua “legge fondamentale della biogenetica”. Tale legge ha un'enunciazione piuttosto carina che colpisce l'immaginazione: “l'ontogenesi dell'individuo riassume la filogenesi della specie”. In altre parole significa che l'embrione, durante il suo sviluppo, sembra ripercorrere l'evoluzione della specie: ad esempio l'embrione umano sembrerà prima un pesciolino, poi un anfibio, poi un rettile, poi un mammifero, poi una piccola scimmietta...
Oziosamente mi chiedevo se tale legge avesse delle analogie in altri campi e, sebbene un po' una forzata, in effetti qualcosa ho trovato: le istituzioni umane in genere sembrano ripercorrere le tappe della vita di un uomo. Da giovani sono piene di ideali e speranze, durante la giovinezza prendono forma e si delineano nei dettagli, nella maturità provano il loro valore effettivo mentre nella vecchiaia si ammalano di tutti gli acciacchi possibili e immaginabili...
Ovviamente ci sono delle eccezioni ma raramente sfuggono a questa parabola senza evolversi in maniera significativa e quindi trasformandosi in altre istituzioni affini. E questa "evoluzione" è un po' come un figlio: per certi aspetti simile al padre ma anche diverso. E l'istituzione figlia poi non fa altro che incamminarsi lungo la parabola che ho precedentemente evidenziato.
Anche le forme di governo non sfuggono alla legge della palingenesi!
In passato l'uomo si è organizzato in tribù, poi in città stato, poi in piccoli e grandi regni; abbiamo avuto le monarchie assolute e poi i primi parlamenti che limitavano il potere del sovrano; e infine nel 1787 fu scritto il capolavoro (*2) che è la costituzione americana. E la creazione della costituzione americana coincide con la nascita della moderna democrazia.
Si può quindi affermare che la democrazia occidentale ha ormai oltre duecento anni e, già nel secolo scorso, aveva ormai raggiunto la propria “maturità”. Impossibile stabilire una data precisa (*3), diciamo un po' arbitrariamente che dagli anni '80 in poi è entrata nella vecchiaia.
Sfortunatamente non si tratta di una vecchiaia serena e tranquilla: la democrazia è stata colpita da un brutto male, un tumore che non lascia scampo e uccide rapidamente.
Fuor di metafora di quale male sto parlando?
Prima di spiegarlo rimando ad alcune letture propedeutiche: Capitolo VI su alcune delle possibili degenerazioni della democrazia ipotizzate da Tocqueville circa 200 anni fa e che in molti aspetti si sono già realizzate; KGB sullo stato del mondo 2 dove accenno a quali siano le tendenze attuali e le conseguenze per la democrazia; nella seconda parte di Depressione democratica accenno alla mancanza di sensibilità sulla crisi della democrazia di cui in pochi sembrano accorgersi; Comode illusioni dove elenco una serie di concause che spiegano il motivo dell'apatia della popolazione verso i pericoli del calo di libertà; Illusione democratica dove spiego chiaramente perché la democrazia debba essere considerata un mito.
Mi sarebbe piaciuto poter rimandare a un unico pezzo ma il concetto che ho in mente l'ho accennato spesso ma senza mai approfondirlo. Proviamoci oggi...
Il male oscuro della democrazia sono i potentati economici e finanziari, le multinazionali e le grandi banche. Vediamo perché.
Rispetto a 200 anni fa, quando la democrazia era nella sua prima “giovinezza” cosa è cambiato?
In KGB sullo stato del mondo 2 scrissi «fra i singoli uomini di oggi e quelli di un paio di secoli fa non ci sono differenze sostanziali», la democrazia di per sé è cambiata pochissimo (ad esempio il suffragio universale non ne ha rivoluzionato la forma) ma «al contrario le “grandi” aziende di allora sono diventate adesso delle multinazionali che hanno fatturati paragonabili a quelli di stati medio piccoli.»
Questo significa che le istituzioni democratiche, pensate quando le aziende più grandi avevano al massimo il peso economico di una città, non sono state progettate per resistere efficacemente alla pressione e ai condizionamenti che ora questi potentati, proprio come se fossero dei piccoli stati, sono capaci di esprimere.
«Cosa significa questo? È semplice: mentre la capacità del singolo elettore di scegliere il meglio per il proprio interesse è rimasta più o meno costante, l'influenza dei poteri economici/finanziari si è moltiplicata a dismisura, sia al voto grazie al condizionamento dei media (che appartengono a grandi gruppi economico/finanziari) che dopo di esso con pressioni dirette sui politici.»
E a cosa mirano questi potentati economici? A causa della miopia tipica degli imperi commerciali questi si limitano a cercare di massimizzare i propri profitti nel breve o al massimo nel medio termine. Sono quindi prontissimi a fare pressioni per ottenere leggi che aumentino i loro profitti a scapito dell'ambiente, della salute e della giustizia sociale.
Da un punto di vista più “ideologico” e meno “economico” vedono nella popolazione non degli individui ma solo dei consumatori: per questo non sono interessati ai loro diritti ma vogliono solo dei buoni acquirenti e lavoratori a basso costo (di nuovo, a causa della loro miopia, non vedono l'evidente contraddizione) che non diano noie intralciando i loro progetti. Questo significa che i potentati vedono di buon occhio una riduzione delle libertà e della democrazia.
Non è un caso che già nel 1975 la Trilaterale (il prototipo del Gruppo Bilderberg) indicasse fra i mali del mondo occidentale un eccesso di democrazia che portava a scarsa governabilità: senza evocare fantasmi di complotti è logico supporre che con “scarsa governabilità” questi industriali fossero preoccupati per la difficoltà con la quale i propri interessi (non so, dazi doganali, trattati commerciali, vincoli sul lavoro etc...) erano portati avanti e non certo della libertà dei singoli individui. Da allora una generazioni di giovani è ormai andata in pensione portando con sé i propri ideali di un tempo; al contrario le grandi aziende sono cresciute e sono diventate multinazionali sempre perseverando costantemente nel perseguimento dei loro obiettivi: è evidente la disparità di forze fra l'uomo comune, che può dedicare per il tempo limitato della propria vita solo una frazione del suo tempo libero alla politica, e le multinazionali con i loro stuoli di avvocati, lobbisti ed esperti che sono profumatamente stipendiati per lavorare quotidianamente in un'unica direzione...
Ma questi potentati economici come influenzano la democrazia?
Lo fanno in maniera laterale: hanno capito che la maniera più facile per farlo non è quella di scendere nell'agone politico propugnando le proprie idee e interessi; in tal caso, nonostante tutti i loro soldi e influenza, non andrebbero troppo oltre un 5%... Molto più semplice tenersi nell'ombra e portare le proprie istanze, e tutte le relative pressioni, alla coalizione vincente, indipendentemente dal colore politico della stessa: certo, alcuni partiti e politici saranno più o meno malleabili di altri, ma non è questo il problema: la vita di un'azienda è molto più lunga di quella di un uomo e può quindi permettersi di aspettare per tutto il tempo necessario. Una delle conseguenze è che, al di là dei programmi, destra e sinistra (o repubblicani e democratici negli USA) finiscono per assomigliarsi perché, a parte qualche provvedimento di facciata, tendono sempre più a essere dei burattini che portano avanti le volontà dei potentati economici internazionali invece che quella dei propri elettori.
Ecco quindi che lentamente i diritti e le libertà dei cittadini vengono erosi e ridimensionati mentre questi ultimi sono sempre più allontanati dal potere reale in maniera che diventino apatici (v. Fine capitolo V, parte 1) e non possano opporsi a decisioni sgradite o che, addirittura, vadano palesemente contro i propri interessi.
Il trattato TTIP è una mostruosità illuminante (v. parte finale di KGB sullo stato del mondo 2): si tenta addirittura di aggirare il potere politico dei cittadini, in pratica i governi nazionali, subordinandolo a un trattato commerciale: un orrore che solo politici corrotti o completamente folli potrebbero ratificare... e vedrete che lo sarà...
Fine divagazione.

Conclusione: non ho fatto in tempo a concludere questo pezzo ma credo che la direzione dei miei pensieri inizi a essere intuibile...

Nota (*1): E per uomo, giova ripeterlo e specificarlo, intendo una fetta consistente della società non pochi singoli individui.
Nota (*2): Mi chiedo quanto tale costituzione debba al genio di Benjamin Franklin: né solone né leguleio ma grande scienziato...
Nota (*3): In effetti anche per le persone è così: si conosce con esattezza la data di nascita ma non c'è un giorno specifico nel quale si diventa vecchi...

mercoledì 20 gennaio 2016

L'origine della dittatura

Ogni tanto mi chiedo come abbiano fatto fascismo e nazismo a prendere il potere. È di per sé una domanda oziosa poiché le mie scarse conoscenze storiche dell'epoca risalgono a pochi ricordi scolastici e, quindi, ogni risposta che mi do è basata in pratica solo sulla mia intuizione e, pertanto, non è particolarmente affidabile né significativa.
Eppure anche riflettere su argomenti su cui non si è preparati può essere importante e utile: ci si può incuriosire su aspetti della questione che poi ci motivano a informarsi per saperne di più; aiuta a inquadrare le vicende storiche in maniera tale che un successivo approfondimento delle stesse sia grandemente facilitato; queste riflessioni possono essere riapplicate in situazioni simili o con almeno delle similitudini... ed è questo il caso di oggi...

Sono dell'opinione che la maggior parte degli italiani e tedeschi non volessero la dittatura: sono infatti convinto che gli uomini, per natura, anelino alla giustizia e che solo l'incapacità collettiva li tenga lontani da essa. Nessuno vorrebbe la dittatura perché, oltre che per la sua insita ingiustizia, sa che in qualche maniera, magari anche marginale, finirà per esserne vittima.
Eppure le dittature esistono e, in qualche maniera, riescono a raggiungere il potere.

La mia conclusione è che quindi esistano almeno due fasi nella "vita" di una dittatura: nella prima le idee, i programmi politici, gli ideali di quel partito o movimento che si trasformerà in dittatura, devono sembrare legittimi e non pericolosi: la sua vera natura non è immediatamente manifesta né intelligibile; solo nella seconda fase la dittatura avrà acquisito abbastanza potere e si rivelerà tale imponendo le proprie decisioni anche senza l'approvazione della maggior parte della popolazione. Probabilmente esiste anche una fase intermedia che potrà, più o meno a lungo, sovrapporsi con la seconda: in questo periodo la dittatura inizia a fare scelte moralmente dubbie ma chi prima l'aveva sostenuta in buona fede, piuttosto che riconoscere il proprio errore di valutazione e opporsi a essa, si limita a storcere il naso e in qualche maniera trova giustificazioni per l'ingiustizia sempre più palese.

Nella prima fase quindi la dittatura non si presenta come tale ma si legittima con giustificazioni più o meno speciose; magari talvolta le sue iniziative più dubbie sono viste come il male minore: non piacciono, fanno storcere il naso, una voce dal fondo dell'animo ci avverte che in esse c'è qualcosa di profondamente sbagliato anche se forse non evidente e non immediatamente definibile... ma non le diamo ascolto perché non si vedono alternative migliori.
Nella seconda fase viene fuori il lato peggiore dell'animo umano: nessuno vuole la dittatura ma pochi hanno il coraggio di opporsi perché, passato il punto di “non ritorno”, essa è ormai divenuta troppo forte. Opporsi significherebbe infatti mettere a repentaglio la propria vita e magari quella dei propri cari: si preferisce allora subire, evitare guai e non guardare là dove avvengono le ingiustizie.

È evidente quindi che la maniera più efficace e meno dolorosa per porre termine a una dittatura è evitare che questa giunga alla “seconda fase”, quando sarà in grado di moltiplicare autonomamente il proprio potere.

Diviene quindi una domanda fondamentale chiedersi se sia sempre possibile riconoscere, durante la sua prima fase, se un certo movimento o partito politico abbia la potenzialità, una volta preso il potere ("fase due") di trasformarsi in una dittatura.

Io credo che spesso sia possibile comprenderlo: per vincere i cuori e convincere le menti della popolazione, e raggiungere così la massa critica per la fase successiva, sono necessari degli ideali in cui credere. Questi ideali sono protomiti (v. Protomiti e distorsioni) e a questa loro sfuggente essenza devono il proprio potere. Ad esempio il 99,9% della popolazione non vota un programma ma i miti che sovrappone a esso e con i quali si identifica. Soprattutto si tende a non considerarne le estreme conseguenze: si considera il mito nel contesto attuale senza valutare i figli e figliastri che da esso potrebbero derivare. Il motivo è che nessuno vede il futuro e prevederlo in maniera attendibile, soprattutto se non si conoscono analogie a cui rifarsi, richiede un'analisi attenta e approfondita del mito. Voglio dire che, ad esempio, il nazionalismo estremo, all'inizio dello scorso secolo, era considerato un mito legittimo visto che non se ne erano sperimentate le sue deleterie degenerazioni: ancora oggi, gli italiani che ne patirono le conseguenze, percepiscono il mito del nazionalismo con sospetto perché, in un certo qual modo, hanno sviluppato degli anticorpi a esso.
È quindi nell'essenza dei miti di un'ideologia e soprattutto oltre essi, nelle loro possibili conseguenze, che si deve guardare per individuare le potenziali dittature.
Ma non potrebbe una dittatura, una volta giunta alla “fase due”, abbandonare i vecchi miti, magari pacifici e innocui, sostituendoli con dei nuovi più pericolosi? È un'operazione possibile ma sicuramente lunga, difficile e complessa: probabilmente fattibile solo nel caso in cui il nuovo mito fosse facilmente derivabile dal vecchio, ovvero se, appunto, ne fosse una delle sue estreme conseguenze. Inoltre la dittatura, a forza di ribadirli, inizia a credere veramente nei propri miti anche se, magari, inizialmente erano stati costruiti ad arte per accattivarsi l'approvazione della popolazione. Un'interessante esempio di questo meccanismo psicologico l'abbiamo nella caccia alle streghe (v. Un bel libro) quando anche le alte sfere ecclesiastiche finirono per credere a un mito che avevano creato in precedenza per sfruttarlo a proprio vantaggio contro gli eretici.
Per questo motivo i miti caratterizzanti la fase iniziale di un'ideologia, visto che difficilmente saranno cambiati, sono comunque già significativi .

Diventa quindi fondamentale riuscire a immaginare come queste idee, in genere ritenute accettabili nel contesto storico del momento in cui vengono proposte, possano degenerare quando portate ai loro estremi.

Questa operazione di studio è però estremamente complessa e poche persone hanno il tempo, la capacità e la volontà di approfondire tali problematiche. La difficoltà sta nel riuscire a cogliere le analogie storiche, ma anche le differenze significative, e intuire il risultato dell'interazione di così tanti e disparati elementi (*1).

Io credo che, per quanto difficile, gli italiani negli anni che portarono all'ascesa del fascismo avrebbero avuto la possibilità di riconoscere in esso i germi della dittatura ma non ne ebbero però la capacità. Come scritto, sarebbe infatti occorso tempo, dedizione e cultura che pochi all'epoca potevano permettersi di avere.

E oggi siamo liberi dal pericolo della dittatura?
Sarebbe bello poter rispondere qualcosa del tipo “sì, adesso abbiamo capito e non ricadremo negli errori del passato” ma non è così.
Il problema è che la storia non si ripete uguale a se stessa: adesso siamo per così dire “vaccinati” da ideologie che portino a dittature basate su miti nazionalistici o sulla “razza”. Di certo, a parte pochi esaltati, la stragrande maggioranza delle persone diffiderebbe di un partito che facesse propri tali ideali.
Ma come detto le manifestazioni con cui la storia si ripete variano ed evolvono: se l'ideologia (con i germi della dittatura) non fosse presentata da una specifica forza politica? Se l'ideologia (con i germi della dittatura) non si basasse sugli ideali di “nazione” o “razza”? Se l'ideologia fosse presentata non come tale ma come, ad esempio, un "provvedimento tecnico"? Se apparisse per certi versi giustificabile? Se avesse la generale approvazioni dei media? Saremo realmente in grado di accorgerci del pericolo prima che fosse troppo tardi?

Rispondo a queste domande con un'altra domanda (retorica): l'uomo di oggi ha il tempo, la capacità e la volontà di cogliere e studiare con attenzione specifici cambiamenti che influenzino la società contemporanea?
La risposta è ovviamente “no”. Quando parlo di “uomo” non intendo infatti un singolo o pochi individui ma una fetta significativa della popolazione...

Come anno dopo anno, in inverno, ci ammaliamo di nuove forme di influenza così non siamo immuni ai nuovi pericoli che, assumendo forme mai viste prima, minacciano la nostra libertà futura.

Conclusione: il pericolo maggiore è però dato dal fatto che quando saremo vittima di una nuova dittatura sarà ormai troppo tardi per evitarla e sarà quindi estremamente difficile spezzarne le catene. Più in generale temo che sia nella natura dell'uomo non vedere la gabbia che gli viene lentamente costruita intorno e dalla quale, una volta chiusa, solo con grande fatica e sacrificio riuscirà, forse, a evadere...

Nota (*1): sfortunatamente lo studio della storia mi pare sia principalmente rivolto a costruire una “foto” statica di un certo momento nel passato, analizzandole attentamente ogni dettaglio ma perdendo di vista le dinamiche generali che regolano, o almeno influenzano pesantemente, l'evoluzione degli eventi. Un tentativo in questo senso lo feci io stesso nel pezzo Le leggi del potere ma è ovvio che dei veri esperti di storia potrebbero produrre delle teorie più approfondite e affidabili ma, soprattutto, utili a interpretare la direzione che il futuro prenderà...

lunedì 18 gennaio 2016

Mistero duro anzi rigido

Il mio soprannome “KGB” ha origini scacchistiche (v. Le origini di KGB) ma, come più volte spiegato, mi piace perché ricorda altre mie caratteristiche come l'attenzione ai dettagli, l'estrema riservatezza, la diffidenza e un pizzico di paranoia tipiche delle spie.

Dalla scorsa settimana mi è parso di iniziare a sentire un suono di attività intenso e regolare (pochi attimi ogni 10 minuti esatti) provenire dal disco rigido del mio calcolatore. Dico “mi è parso” perché non ho l'assoluta certezza che questo suono non ci sia sempre stato!

Dubito che la maggior parte delle persone lo avrebbero notato o se ne sarebbero preoccupati ma, come spiegato nella premessa, non mi chiamo KGB per caso: ho subito iniziato a pensare che “probabilmente non è nulla... ma se fosse un virus che ha preso il controllo del mio calcolatore e sta adesso esaminando tutti i miei archivi?”

Così ho iniziato a fare delle ricerche...

Il primo tentativo è stato quello di lanciare:
sudo iotop
che mostra l'accesso al disco rigido dei vari processi.

Ovviamente più il nome del processo era strano e più mi insospettivo. Fra questi nomi spiccava ad esempio [jbd2/sda1-8] che ogni pochi secondi si attivava per scrivere qua e là.
Eppure in corrispondenza del suono che sentivo non era mostrata alcuna attività particolare. Ho quindi supposto che potesse trattarsi di un processo che riusciva a rendersi invisibile a iotop. Cercando in rete ho trovato maniere un po' più esoteriche per monitorare l'attività sul disco:
sudo su -
sync
echo 1 > /proc/sys/vm/block_dump
dmesg -c


In questa maniera si ordina al kernel di loggare tutta l'attività sul disco rigido. Ogni accesso viene quindi registrato sull'archivio di loggaggio di sistema visionabile tramite il comando dmesg -c.
Ovviamente prima di fare questo tentativo avevo chiuso tutti i programmi aperti in maniera da minimizzare l'accesso al disco e individuare più facilmente il colpevole.

Ero molto speranzoso ma di nuovo non riuscii a individuare nessuna attività particolare in corrispondenza del suono molesto.
Possibile che il virus riuscisse a evitare anche questo loggaggio di livello così basso? Mi sembrava improbabile ma, visto che mi chiamo KGB, pensavo già che potesse trattarsi di programmi governativi semi legali con i quali si era preso il controllo del mio calcolatore sfruttando qualche falla del sistema.

C'è da aprire una parentesi: per natura sto molto attento quando navigo in rete, nell'aprire epistole sospette e, sicuramente, ad esempio non lancerei mai un programma minimamente sospetto. Diffido ad esempio dei downloader (in KGB vs la OpenGL 1/?? spiego che inizialmente non installai la IDE QT_Creator per generici dubbi ma parte del motivo è la mia diffidenza verso i downloader (*1)) e per questo ritengo più probabile essere vittima di una falla nella sicurezza del sistema piuttosto che di una mia imprudenza: dopo tutto sul mio calcolatore ho installati dei programmi che considero “rischiosi” come Steam (per i giochini!), Flash (per i video) ma anche Chrome per non parlare dei driver video chiusi della nVidia (la mia scheda video: devo usare i driver proprietari perché più efficienti di quelli aperti... sempre per colpa dei giochini).
E come mai, anche se mi chiamo KGB, uso tutti questi programmi “pericolosi”?
Semplicemente perché non ho niente da nascondere! Devo dire però che la tentazioni di farmi un sistema “sicuro” (per quanto possibile) è sempre più forte: ha poco senso perché sarebbe come avere in casa una cassaforte blindata ultrasicura senza aver nessun gioiello o contante da nascondere al suo interno eppure... l'idea di essere spiato mi è talmente intollerabile che prima o poi lo farò...

Più o meno in quei giorni contattai anche l'amico (ingegnere) esperto di informatica.
Con molta pazienza rispose alle mie domande e formulò anche un'ipotesi molto verosimile: ovvero che il rumore di attività del disco rigido che sentivo a intervalli regolari (10 minuti e qualche secondo) fosse dovuto a un meccanismo hardware. Nei portatili, per risparmiare batteria, gli HD si spengono dopo un periodo fissato di inutilizzo: l'idea era che, per qualche motivo, il calcolatore riavviasse immediatamente il disco rigido e che quindi il rumore che sentivo fosse semplicemente la sua accensione.
L'idea era buona anche se in verità, a me sembrava più il suono di scrittura/lettura che di avvio, comunque iniziai a fare vari esperimenti.
Ah, dimenticavo! Oltre all'HD principale ne ho anche uno secondario che di solito non è neppure montato nel file system. Ovviamente era questo secondo HD quello sospettato di spegnersi per risparmiare energia ed essere poi immediatamente riavviato dal sistema operativo!
Provai quindi a usarlo intensamente pochi minuti prima di udire lo strano rumore (che essendo ogni 10 minuti è facilmente prevedibile) in maniera da far ripartire un eventuale timer per lo spegnimento automatico ma, come al solito, non ottenni niente.
Lo stesso amico ingegnere mi confermò (avevo già sbirciato su Google) che il processo [jbd2/sda1-8] stava probabilmente svolgendo un'attività legittima visto che si tratta di un programma che mantiene il file system...

Anche in questo caso feci una riprova: l'archivio di loggaggio del sistema di accesso al disco non mi indicava sempre i nomi degli archivi coinvolti ma il nodo fisico sul disco rigido. Così, cercando in rete, trovai la maniera per risalire dal nodo all'archivio vero e proprio:
debugfs -R 'ncheck NUM_NODO' /dev/sda1 2>/dev/null
Ma i blocchi su cui operava [jbd2/sda1-8] non risultavano appartenere a nessun archivio: ed è logico visto il suo scopo...

Non ricordo più bene quando ma, già che c'ero, iniziai a rimuovere tutti i servizi che mi sembravano inutili. Ma non risolsi niente.

Ebbi poi l'idea che il problema fosse dato da qualche processo di basso livello (tanto da sfuggire alla tracciatura del sistema operativo) di gestione del disco rigido. Considerato che (colpa dei giochi di Steam!) una delle mie partizioni sull'HD principale è quasi piena mi venne in mente che i rumori che sentivo in sottofondo potessero essere dovuti alla deframmentazione eseguita in background. Avevo infatti verificato che la percentuale di archivi “non-contigui” era circa del 12% mentre, per dare l'idea, nell'altra partizione dello stesso disco rigido, solo dello 0.5%...
A dire il vero, per capire se l'ipotesi è verosimile, bisognerebbe sapere come si comportano i file system ext3 ed ext4 che ho montato su queste due partizioni: avevo chiesto al mio amico ingegnere ma non mi ha più risposto forse stufo della mia fissazione su questo problema...

Contemporaneamente ho pensato potesse trattarsi di una causa hardware e ho quindi iniziato a investigare sulla modalità SMART dei dischi rigidi. In pratica si tratta di un sistema di autocontrollo con cui si cerca di prevedere possibili guasti e dare così tempo all'utente di salvare altrove i propri dati. In realtà, leggendo in rete, tale sistema di autodiagnosi funziona più o meno solo il 50% delle volte. Comunque al momento sembrò tutto a posto e anzi, il solito amico ingegnere, mi disse di non perderci tempo...
Stressato per non aver risolto il problema, nei giorni successivi usai il calcolatore il meno possibile, in genere scollegato dalla rete, e ascoltando della musica ad alto volume in maniera da non udire il gracchio del disco rigido.

Ieri sera avevo fatto nuovi esperimenti e pensavo di aver risolto l'arcano...
Col comando:
udisksctl monitor
è possibile controllare l'attività del processo che gestisce i dischi e ho cosi potuto notare che, ogni 10 minuti, viene segnalata dell'attività:
Viene controllata la temperatura dei dischi (gradi fahrenheit forse?) e, se troppo bassa, viene avviato per alcuni secondi (per riscaldarlo?) il disco rigido (vedi "SmartPowerOnSeconds", ieri sera molto più frequente). Guarda caso qualche giorno fa era stato più freddo del solito ed era quindi plausibile che lo strano suono si sentisse più spesso, ovvero ogni dieci minuti...

Stamani ho però ricontrollato e, almeno negli orari indicati, non c'è corrispondenza fra quanto riportato da udisksctl e il fastidioso rumore.

Nel pomeriggio ho fatto un nuovo esperimento: ho avviato il calcolatore da una chiavetta USB appena creata scaricando una distribuzione linux dalla rete, ho montato i miei dischi rigidi e mi sono messo in ascolto.
L'idea è che la distribuzione appena scaricata dalla rete dovrebbe essere “pulita” e quindi senza virus o programmi di spionaggio.
Comunque anche in questo caso, ogni dieci minuti, c'è il solito inconfondibile suono che proviene dal disco rigido.

Quest'ultima prova mi ha rassicurato, non completamente perché mi chiamo KGB e continuo a sospettare l'improbabile, ma abbastanza.
Non credo quindi di voler reinstallare un nuovo sistema operativo anche se forse sarò comunque costretto a farlo visto che, in preda al sospetto, avevo adocchiato un misterioso processo che si era azzardato ad accedere improvvisamente al disco rigido con una grande attività di lettura e scrittura.
Il suo nome era apt-xapian-index e soprattutto il suffisso “index” lo leggo come “pericolo” o “attenzione” e anche “xapian” sa di cinese come “(Deng) Xiaoping” (*2)...
Così sono andato in rete a cercare informazioni e l'ho trovato menzionato in un filone di un forum: il primo suggerimento che ho trovato era quello di rimuoverlo con:
sudo apt-get autoremove --purge apt-xapian-index
sudo apt-get autoremove --purge

Solo in seguito, continuando nella lettura, ho scoperto che si tratta di un processo utile che serve a mantenere la banca dati dei pacchetti installati sul calcolatore: insomma era un programma (apparentemente!) benigno...
Ma come scrissi al mio amico ingegnere non è che io legga con troppa attenzione i testi di informatica. In particolare l'amico protestava per il fatto che lui aveva scritto “partizioni” e non “dischi” e io mi ero così giustificato:
Quando leggo una tua email in genere faccio:
1) lettura veloce, interpretazione tropologica del testo.
2) Copia e incolla di eventuale codice.
3) Mi lamento (anche via email) che non funziona.
4) Rilettura veloce della email, interpretazione allegorica.
5) Modifico il codice in base a quanto suggerito dall'allegoria.
6) Mi lamento che non funziona;
7) Copio e incollo su Google;
8) Interpretazione tropologica del primo collegamento fornito da Google
9) Copio e incollo eventuale codice;
10) I passi 8 e 9 possono venire iterati molte volte; talvolta fondo insieme codice di collegamenti diversi; successive riletture seguono lo stesso collaudato schema di interpretazione metafisica.
11) Constato che non funziona;
12) Rilettura veloce della tua email; interpretazione anagogica del testo.
13) Modifico il codice in base alla realtà intelligibile e futura che ho intuito dalle tue parole.
14) funziona!
15) Penso: "Certo che H. [l'amico] non riesce a essere chiaro..."
Insomma l'interpretazione letterale non è il mio forte... ;-)
Sal.
KGB
(*3)

Conclusione: qualche giorno fa ero ospite di un amico ingegnere (un altro) che mi diceva che aveva notato quanto io fossi diffidente dai miei pezzi sulla OpenGL (qualcuno li ha letti!). Non mi ricordo esattamente a cosa si riferisse ma io gli confermai che aveva completamente ragione. Ma una cosa è ammettere un proprio difetto e un'altra è cercare di eliminarlo... Ma la diffidenza è davvero un difetto? Un altro mio amico (non ingegnere ma che spesso passa come tale!) mi disse un giorno un proverbio di sua ideazione: “Gatto prudente, gatto vivente”. Penso che si riferisse principalmente ai felini che vivono presso strade dal traffico molto intenso ma io credo si possa applicare anche a KGB!

Nota (*1): lo so, non ha senso: se si vuole inserire del codice “nocivo” lo si può mettere direttamente nel programma vero e proprio. Probabilmente anzi l'attività di un downloader è più facilmente controllabile e quindi meno adatto a nasconderci qualcosa... Però continuo a non fidarmi...
Nota (*2): di nuovo sono consapevole che se dovessi dare un nome a un virus non lo chiamerei “trojan-index-spy” ma userei qualcosa di innocente che passi inosservato... però...
Nota (*3): il riferimento all'ermeneutica è chiaro vero?

domenica 17 gennaio 2016

Generali e soldatini

Sono tornato più volte a riflettere sul significato profondo del corto Lavoro in Irlanda e sono giunto alla conclusione che esso evidenzi un'importante realtà della mentalità italiana.

L'articolo di per sé è molto specifico: descrive la fuga degli informatici dall'Italia verso l'Irlanda; leggendo i commenti si scopre poi che ci sono molte altre destinazioni europee e non...

Gli informatici hanno una caratteristica interessante che li distingue da altre tipologie di lavoratori: il loro campo di lavoro è in evoluzione continua, conoscenze di dieci anni prima non sono semplicemente vecchie: sono completamente obsolete. L'aggiornamento deve essere continuo: gli ambienti di sviluppo e tutti gli strumenti a essi collegati si rinnovano anno dopo anno; alcuni finiscono nell'oblio ma molti altri se ne aggiungono senza sosta.

“Vabbè” - mi direte voi - “in tutti i lavori è necessario mantenersi aggiornati!”
Certamente: ma non colla rapidità del mondo informatico.
Prendete un'autovettura degli anni '70 e confrontatela con una dei giorni nostri: ovviamente c'è stata una notevole evoluzione ma sostanzialmente sono ancora comparabili. Ma se provate a fare lo stesso confronto con dei calcolatori si hanno dei risultati incredibili: ad esempio la memoria è passata dalle poche migliaia alle decine di miliardi di bytes, ovvero circa un milione di volte più grande!
A queste trasformazioni “fisiche” corrisponde una quasi altrettanto grande evoluzione del mestiere dell'informatico.
Un altro esempio: dieci anni fa gli smart phone e i tablet non esistevano mentre adesso imperversano minacciando il mercato dei desktop tradizionali. La conseguenza è che gli informatici, per creare prodotti per questi nuovi strumenti hanno dovuto aggiornarsi, imparando nel corso di pochi anni strumenti completamente nuovi...

Comunque ciò a cui volevo arrivare è che il valore di un informatico è direttamente proporzionale alle sue conoscenze e capacità (soprattutto quella di mantenersi aggiornato!) e queste doti possono variare enormemente fra persona e persona.
Non me ne vogliano gli operai ma dubito che uno di essi alla catena di montaggio, per quanto esperto e volenteroso, possa essere produttivo il doppio di un altro: dopotutto per definizione la catena di montaggio si muove per tutti alla stessa velocità, no?
Beh, in informatica è comune incontrare persone che, grazie alla loro preparazione e capacità, possano essere dieci volte più produttive della media dei loro colleghi; per non parlare poi di coloro che hanno una preparazione eccezionale e per i quali il rapporto fra la loro produttività e quella dei colleghi “normali” è semplicemente non definibile.

Per questo motivo il mondo informatico si presterebbe a offrire retribuzioni molto variabili: dopotutto chi può fare il lavoro di dieci persone dovrebbe guadagnare molto di più, no?
Invece il contratto degli informatici è quello dei metalmeccanici, con i quali condividono poco o nulla, e prevedibilmente è estremamente uniformato al ribasso: ovvero stipendio piccino piccino per tutti...
Cioè anche alla persona che vale 10x non gli si offre uno stipendio 5x, ma neanche 3x, ma neanche 2x... se proprio va bene 1,5x. Per non parlare del paradosso delle offerte di lavoro in campo informatico: si cercano persone con grandi competenze, conoscenze approfondite in decine di strumenti diversi, e gli si offre in cambio un piatto di lenticchie...
Mi pare ovvio che la conseguenza sia che chi è preparato, magari giovane e per questo ancora senza troppi legami, vada dove le opportunità di essere valorizzati (e retribuiti) sono enormemente maggiori.

Ampliando l'orizzonte della problematica all'intero mondo del lavoro italiano ci si accorge che questo male, la scarsa valorizzazione dell'individuo, non riguarda solo gli informatici ma praticamente tutte le tipologie di lavoro. Negli informatici è solo più evidente nelle sue conseguenze (emigrazione/fuga di cervelli) perché, come spiegato, il valore dei singoli lavoratori è estremamente variabile mentre i datori di lavoro vorrebbero dare lo stesso “becchime” sia ai polli che alle aquile.

La mentalità del mondo del lavoro italiano sembra rimasta indietro di un secolo quando le industrie reclutavano i propri operai fra gli ex contadini. All'epoca l'idea di offrire un salario minimo e assumere chi lo accettava, benché cinica, poteva avere senso: difficilmente ci sarebbe stato un rendimento significativamente diverso da un individuo a un altro e quindi, se Caio non accettava il lavoro, sarebbe andato bene anche Sempronio.
Ma adesso l'economia è sempre più spostata sul terziario dove il singolo individuo può fare la differenza: per questo, volendo essere globalmente competitivi, bisognerebbe far crescere e valorizzare le proprie risorse umane.
Perché multinazionali come Google, Apple o anche Facebook trattano con i guanti le proprie risorse umane? Semplicemente sanno che per avere il meglio e motivarlo a dare il massimo bisogna pagarlo. In altre parole queste aziende non pagano bene i loro dipendenti perché hanno un sacco di soldi e se lo possono permettere, piuttosto hanno un sacco di soldi perché pagano bene i propri dipendenti!

L'Italia è ancora lontanissima da questa filosofia: da noi abbiamo solo generali e soldati semplici. I generali sono i dirigenti e i soldati semplici tutti gli altri dipendenti: l'idea di pagare un soldato semplice quanto un generale, anche se il primo da solo vale un reggimento, è inconcepibile.
Non solo: altra peculiarità tutta italiana è che i soldati semplici non avranno mai la possibilità di divenire generali: non importa quanto siano preparati. Questa è la logica conseguenza del non volere riconoscere i meriti individuali visto che, altrimenti, ci sarebbe il dovere di remunerarli adeguatamente.

Conclusione: come al solito deprimente. Volendo rimanere nella metafora, vista la crisi dell'economia, i posti da “generale” sono sempre meno e distribuiti quindi solo fra i più raccomandati, normalmente i più incapaci, col risultato di affossare sempre più, con della zavorra senza cervello, le nostre aziende. Da questa spirale di inefficienza e incapacità si salvano, forse, solo le piccole e medie aziende private che non hanno rapporti con la politica.
Intendiamoci: la mancanza di meritocrazia e adeguata valorizzazione degli individui non è l'unico problema dell'economia italiana! Ce ne sono mille altri, magari anche con un peso specifico maggiore (sono sicuro che un mio amico ingegnere punterebbe il dito contro il costo dell'energia!), però mi pare significativo sottolineare come questo specifico problema diventi proporzionalmente più importante nei lavori dove è fondamentale l'importanza della preparazione delle singole risorse umane.

sabato 16 gennaio 2016

Animavversione

Ieri ho scritto il pezzo Anni belli, brutti e peggio dove rievocavo vecchi ricordi, in particolare le liti domestiche fra i miei genitori, e stanotte ho sognato che...

Sedevo all'estremità di un tavolo con la mamma poco distante che leggeva una rivista; di fronte a me c'era invece il babbo che voleva leggermi a voce alta un articolo. Però era estate e siccome faceva caldo tutte le finestre erano aperte cosicché dalla strada veniva un frastuono di traffico che copriva le parole del babbo. Così la mamma ha protestato dicendogli di alzare la voce. Il babbo allora ha iniziato a punzecchiarla. Hanno continuato per un po' ma, prima che la lite si accendesse del tutto, sono intervenuto io che alzandomi, a mia volta arrabbiato, gli ho fatto un lungo discorso esordendo con un “Vi comportate come due bambini, prima ha sbagliato la mamma [mi riferivo a un sogno precedente in cui era stata lei la “cattiva”] e adesso tu [perché in quel momento mi rivolgevo al babbo]...”

Mi è sembrato buffo...

Avi - 22/1/2016
Stanotte ho sognato che ero andato nella parrocchia dei miei nonni per fare un'indagine genealogica (al modico prezzo di 40€) e scoprire così i miei antenati.
Il registro sembrava più che altro un diario tenuto male, con vecchie foto (tipo carta d'identità) attaccate qua e là e poche informazioni scarabocchiate in maniera confusa e non sistematica. Non scopro niente.
Poi però mi viene dato un nuovo registro, che sembra un elenco del telefono, e qui riesco a trovare mio nonno: risolvo così il mistero del suo nome che era Oris. Sul registro leggo infatti “Viviani Oris nato Aldo”!!

Interiezione negativa - 26/1/2016
Bah! Ho da poco iniziato a leggere una grammatica italiana ma al momento l'esperienza è deludente.
Si tratta infatti di catalogare e classificare regole e conoscenze che al 90% sappiamo già inconsciamente: da questo punto di vista il principale pregio della conoscenza della grammatica italiana è quello di facilitare l'apprendimento di altre lingue.
Ma sarà poi così? Questo modo di imparare le lingue partendo dalla grammatica, l'esatto contrario di quanto fanno i bambini, è davvero il migliore? O forse qui la grammatica è più di intralcio che di aiuto?

Non dico che studiare la grammatica sia inutile: certo che il suo peso, rispetto ad altre materie trascurate o non esistenti come educazione civica, psicologia o sociologia, mi pare esagerato.

Composizione - 26/1/2016
Ieri mi è venuta voglia di provare a comporre una musichetta per la prima scena della mia tragedia (v. AedE – Scena I, Atto I e seguenti). Da questo punto di vista l'esercizio di improvvisazione che ho fatto per molti mesi mi è molto servito: adesso sono molto più creativo di prima...

Il problema è passare dallo strimpellare la chitarra a mettere, nero su bianco, le note sul pentagramma. Non avendo fatto studi teorici ho molta difficoltà a trovare la giusta durata delle note. Inoltre mi è difficile scrivere battute della stessa lunghezza: se mi accontentassi della melodia non sarebbe un problema però, volendo aggiungere una base di accordi, è necessario che ogni sequenza di note non mi sconfini dalla battuta. Gli accordi seguono infatti un tempo regolare che le note devono, almeno in parte, riprendere...

In definitiva passo 5 secondi a ideare una sequenza gradevole di note e 50 minuti a memorizzarla sul calcolatore!

Riammalato - 10/2/2
Da ieri sono ufficialmente di nuovo ammalato: stavolta febbre, mal di gola e tosse (per adesso occasionale sebbene già fastidiosa). Stanotte ho dormito poco o nulla, ieri lo stesso...
Certo che sono proprio una buccia...