Ieri ho rimesso mano all’algoritmo che associa epigrafi a capitoli e sottocapitoli (v. Epigrafi, capitoli [...]). Come spiegato avevo eliminato i picchi di epigrafi associati a un singolo autore dividendo il punteggio di una associazione per la varianza del numero di epigrafi per autore usate.
I risultati erano stati molto buoni ed ero arrivato ad avere “appena” 5 epigrafi per Hobsbawm, Aristotele e Machiavelli; 4 per Rawls e Sartori; 3 per 28 autori; 2 per 35 autori e 1 per i rimanenti (valore non annotato).
Il punto era, mi ero poi reso conto, che dividendo per la varianza spingevo a preferire associazioni con un numero di epigrafi per autore tendente alla media di questi che, calcolai poi, era circa 2.
Allora ho deciso di cambiare la formula della varianza trasformandola in una distanza non dalla media ma dalla costante 1. In questa maniera il numero di epigrafi per autore delle associazioni tenderà a 1.
Eseguendo il programma più volte sono arrivato a 5 epigrafi per Hobsbawm, Aristotele e Machiavelli; 4 per 4 autori; 3 per 25; 2 per 31 e 1 per 43…
Ma non ero ancora contento…
Mi sembrava infatti “sbagliato” considerare un autore sconosciuto alla pari di Aristotele tendendo quindi ad assegnare a ciascuno di essi un’unica epigrafe.
Allora ho ricambiato l’algoritmo: il calcolo della “varianza” non più come distanza dalla costante 1 ma da 2 se l’autore è deceduto o è un classico e 3 se è contemporaneamente deceduto e un classico.
Quindi, per esempio, il numero di epigrafi per Aristotele tenderà a 3; per Ferdinando Petruccelli della Gattina a 2 (perché morto!) e a 1 per l’ex generale Fabio Mini...
Questo perché essenzialmente avevo già questi dati nel mio archivio degli autori ma è probabile che in futuro modificherò questa struttura affinché abbia maggior senso per ciò che ho in mente: forse potrei inserire direttamente il valore ideale di epigrafi per autore che vorrei avere invece di calcolarla con altri dati…
In questa maniera, dopo qualche esecuzione, ho ottenuto: Hobsbawm con 6 epigrafi; 5 per Machiavelli e Aristotele; 10 autori con 4 epigrafi; 20 con 3; 28 con 2 e 40 con 1.
Chiaramente gli autori con molte epigrafi tendono a essere classici e morti…
Sì, dovrò inserire un nuovo campo per l’oggetto Autore dove indicherò il numero di epigrafi “desiderato/sperato”: al momento la variabile vivo/morto favorisce ingiustamente troppi autori che starebbero meglio con una sola epigrafe!
Conclusione: volevo scrivere un corto...
giovedì 29 febbraio 2024
mercoledì 28 febbraio 2024
Raffica di Rawls
Pezzo diverso dal solito oggi: mi sono messo in pari copiandomi (in un apposito archivio) delle potenziali epigrafi di Rawls scorrendo una ventina di pagine di annotazioni.
Il fatto è che difficilmente arriveranno sulla mia Epitome dato che di Rawls ne uso già quattro e voglio scendere a una, massimo due o tre per autore. Allo stesso tempo è però un peccato non evidenziarle un minimo perché sono molto profonde e talvolta belle nella loro chiarezza.
Le seguenti sono tutte tratte da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini dalle pagine indicate.
«Perciò, nonostante certe somiglianze tra il mercato e le elezioni, il meccanismo di mercato e la procedura legislativa ideali sono diversi in punti cruciali. Essi mirano a raggiungere scopi diversi: il primo, quello dell’efficienza, il secondo, se possibile, quello della giustizia.» pag. 344-345
Beh, questo paragrafo sembra un po’ monco ma potenzialmente lo userei come epigrafe per un sottocapitolo dove spiego che idealmente si dovrebbe massimizzare sia l’efficienza che la giustizia della democrazia ([E] 11.2 “Efficienza e giustizia”).
«È senza dubbio possibile immaginare un sistema giuridico in cui il credere in coscienza che la legge è ingiusta è accettato come difesa per la non osservanza.» pag. 351.
Questa breve frase (e per essere breve ottiene un bonus) potrebbe forse entrare nell’Epigrafe ([E] 18.1 “Obiettivi e doveri”) sostituendone un’altra sempre di Rawls.
Una delle mie idee più controverse (nella mia testa!) è quella di inserire nella costituzione, come primo articolo, un qualcosa del tipo: «Il cittadino ha il dovere di non obbedire alle leggi o agli ordini inumani».
Chiaramente questa idea avrebbe ripercussioni profonde ma non entro nei dettagli visto che l’essenza dei pro e contro sarà riassunta mirabilmente da Rawls in una delle prossime epigrafi qui di seguito.
«E, data la tendenza delle nazioni, e in particolare delle grandi potenze, a impegnarsi in guerre ingiustificabili e a mettere in moto l’apparato dello stato per eliminare il dissenso, il rispetto accordato al pacifismo serve allo scopo serve allo scopo di risvegliare l’attenzione dei cittadini sulle ingiustizie che i governi sono pronti a commettere in loro nome.» pag. 354.
Come non pensare all’attuale guerra in Ucraina dove la propaganda occidentale è spacciata come informazione fattuale? Possibile che ancora non si comprenda che la democrazia è un gioco truccato dove chi comanda non è il popolo ma delle cricche di potenti? Possibile che non si capisca che tutta l’informazione non indipendente sia progettata per influenzare e manipolare il pubblico e renderlo acquiescente verso le decisioni politiche più perniciose?
Evidentemente la risposta è sì.
«Si può quindi protestare per il fatto che la descrizione precedente non stabilisce chi debba dire quando le circostanze sono tali da giustificare la disobbedienza civile. Essa inviterebbe all’anarchia, poiché incoraggia ognuno a decidere per se stesso, e ad abbandonare l’interpretazione pubblica dei principi politici. Si può rispondere che in realtà ciascuno deve prendere le proprie decisioni. Anche se, di norma, gli uomini ricercano consigli e suggerimenti e accettano le imposizioni di coloro che detengono l’autorità, quando ciò sembri loro ragionevole, essi sono pur sempre responsabili delle proprie azioni. Non possiamo spogliarci delle nostre responsabilità e riversarne il peso sugli altri.» pag. 370.
Ecco: questo è il passaggio più ampio dove Rawls prende in considerazione l’ipotesi di un meccanismo che giustifichi ufficialmente la disobbedienza alla legge.
«È vero che esistono opere dotate di autorità, ma esse rappresentano la somma del consenso di numerose persone, ciascuna delle quali decide per se stessa, L’assenza di un’autorità suprema che decida, e quella di un’interpretazione ufficiale che tutti debbono accettare, non conduce alla confusione, è, invece, la condizione per un progresso teorico.» pag. 371.
E non poteva mancare un accenno alla scienza (utile per [E] 9.1 “La natura del potere scientifico” oppure 9.5 “Necessità e pericoli per la scienza”) che deve essere libera per poter progredire.
Ovviamente il contrario di quello che è successo durante la crisi pandemica (e sta ancora accadendo con diversi tipi di censura su più fronti): a chi, e intendo medici e scienziati, la pensava diversamente non è stato permesso di esprimere le proprie opinioni e anzi, spesso, sono stati costretti al silenzio oppure ridicolizzati.
La scienza dovrebbe funzionare così? Ovviamente no.
La ragione è chiara prima si è voluto garantire il profitto di alcune case farmaceutiche e adesso si vogliono coprire le responsabilità politiche di scelte avventate e che probabilmente hanno moltiplicato il numero delle vittime invece di ridurlo.
Conclusione: pezzo breve ma le frasi di Rawls dovrebbero far riflettere a lungo...
Il fatto è che difficilmente arriveranno sulla mia Epitome dato che di Rawls ne uso già quattro e voglio scendere a una, massimo due o tre per autore. Allo stesso tempo è però un peccato non evidenziarle un minimo perché sono molto profonde e talvolta belle nella loro chiarezza.
Le seguenti sono tutte tratte da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini dalle pagine indicate.
«Perciò, nonostante certe somiglianze tra il mercato e le elezioni, il meccanismo di mercato e la procedura legislativa ideali sono diversi in punti cruciali. Essi mirano a raggiungere scopi diversi: il primo, quello dell’efficienza, il secondo, se possibile, quello della giustizia.» pag. 344-345
Beh, questo paragrafo sembra un po’ monco ma potenzialmente lo userei come epigrafe per un sottocapitolo dove spiego che idealmente si dovrebbe massimizzare sia l’efficienza che la giustizia della democrazia ([E] 11.2 “Efficienza e giustizia”).
«È senza dubbio possibile immaginare un sistema giuridico in cui il credere in coscienza che la legge è ingiusta è accettato come difesa per la non osservanza.» pag. 351.
Questa breve frase (e per essere breve ottiene un bonus) potrebbe forse entrare nell’Epigrafe ([E] 18.1 “Obiettivi e doveri”) sostituendone un’altra sempre di Rawls.
Una delle mie idee più controverse (nella mia testa!) è quella di inserire nella costituzione, come primo articolo, un qualcosa del tipo: «Il cittadino ha il dovere di non obbedire alle leggi o agli ordini inumani».
Chiaramente questa idea avrebbe ripercussioni profonde ma non entro nei dettagli visto che l’essenza dei pro e contro sarà riassunta mirabilmente da Rawls in una delle prossime epigrafi qui di seguito.
«E, data la tendenza delle nazioni, e in particolare delle grandi potenze, a impegnarsi in guerre ingiustificabili e a mettere in moto l’apparato dello stato per eliminare il dissenso, il rispetto accordato al pacifismo serve allo scopo serve allo scopo di risvegliare l’attenzione dei cittadini sulle ingiustizie che i governi sono pronti a commettere in loro nome.» pag. 354.
Come non pensare all’attuale guerra in Ucraina dove la propaganda occidentale è spacciata come informazione fattuale? Possibile che ancora non si comprenda che la democrazia è un gioco truccato dove chi comanda non è il popolo ma delle cricche di potenti? Possibile che non si capisca che tutta l’informazione non indipendente sia progettata per influenzare e manipolare il pubblico e renderlo acquiescente verso le decisioni politiche più perniciose?
Evidentemente la risposta è sì.
«Si può quindi protestare per il fatto che la descrizione precedente non stabilisce chi debba dire quando le circostanze sono tali da giustificare la disobbedienza civile. Essa inviterebbe all’anarchia, poiché incoraggia ognuno a decidere per se stesso, e ad abbandonare l’interpretazione pubblica dei principi politici. Si può rispondere che in realtà ciascuno deve prendere le proprie decisioni. Anche se, di norma, gli uomini ricercano consigli e suggerimenti e accettano le imposizioni di coloro che detengono l’autorità, quando ciò sembri loro ragionevole, essi sono pur sempre responsabili delle proprie azioni. Non possiamo spogliarci delle nostre responsabilità e riversarne il peso sugli altri.» pag. 370.
Ecco: questo è il passaggio più ampio dove Rawls prende in considerazione l’ipotesi di un meccanismo che giustifichi ufficialmente la disobbedienza alla legge.
«È vero che esistono opere dotate di autorità, ma esse rappresentano la somma del consenso di numerose persone, ciascuna delle quali decide per se stessa, L’assenza di un’autorità suprema che decida, e quella di un’interpretazione ufficiale che tutti debbono accettare, non conduce alla confusione, è, invece, la condizione per un progresso teorico.» pag. 371.
E non poteva mancare un accenno alla scienza (utile per [E] 9.1 “La natura del potere scientifico” oppure 9.5 “Necessità e pericoli per la scienza”) che deve essere libera per poter progredire.
Ovviamente il contrario di quello che è successo durante la crisi pandemica (e sta ancora accadendo con diversi tipi di censura su più fronti): a chi, e intendo medici e scienziati, la pensava diversamente non è stato permesso di esprimere le proprie opinioni e anzi, spesso, sono stati costretti al silenzio oppure ridicolizzati.
La scienza dovrebbe funzionare così? Ovviamente no.
La ragione è chiara prima si è voluto garantire il profitto di alcune case farmaceutiche e adesso si vogliono coprire le responsabilità politiche di scelte avventate e che probabilmente hanno moltiplicato il numero delle vittime invece di ridurlo.
Conclusione: pezzo breve ma le frasi di Rawls dovrebbero far riflettere a lungo...
martedì 27 febbraio 2024
Introversi ed estroversi
Ho finito quello che fino ad adesso è stato il miglior capitolo di “Tipi psicologici”, “4. Il problema dei tipi nella conoscenza degli uomini”, di cui avevo già scritto in Trotsky-Giovane.
In particolare dopo essermi ritrovato nella descrizione degli introversi (comprese le critiche) ho letto quella riguardante gli estroversi.
Fino a oggi la mia capacità di distinzione fra i tipi introversi ed estroversi era molto scarsa: mi basavo essenzialmente sulla regola grezza del “ricaricamento pile”. Ovvero l’introverso recupera energie stando da solo, l’estroverso stando insieme agli altri.
Per me che sono super introverso il problema era che tutti mi sembravano estroversi! Un secondo problema è che questo aspetto della personalità lo si giudica facilmente in persone che conosciamo bene ma con molta più difficoltà negli sconosciuti.
Secondo Jung invece la questione è, prevedibilmente, molto più articolata e complessa. Provo a riassumerlo ma non prendete per oro colato quanto sto per scrivere!
L’introverso è concentrato su se stesso, nella propria mente: l’informazione che gli arriva dall’esterno viene trasformata in qualcosa di astratto che viene elaborato all’interno della mente. Per questo l’introverso tende a essere ponderato e riflessivo: non elabora direttamente ciò che vede ma prima lo deve interiorizzare, lo deve trasportare dentro di sé per valutarlo ed, eventualmente, scegliere come reagire.
L’estroverso è invece concentrato sull’esterno: gli oggetti (parlo di “oggetti” nel più ampio significato espressivo: possono anche essere persone o concetti) non sono interiorizzati ma è l’io dell’estroverso che si “spalma” su di essi, si identifica con essi, diventa (anche, non solo) quegli oggetti. Per questo le reazioni dell’estroverso sono più rapide di quelle dell’introverso: salta un passaggio, il processo decisionale e di valutazione è ridotto. L’estroverso è per questo una persona pratica e spontanea che sa immediatamente come reagire a ogni situazione: non ha bisogno di pensarci a fondo. Chiaro che questa velocità è in certi casi deleteria. È sicuro di sé perché identificandosi con l’oggetto (in questo caso concetti o idee) non ha dubbi di fraintenderlo (l'introverso invece separa nettamente il proprio io dall'idea: questo gli dà più oggettività e distacco ma anche meno sicurezza). L’estroverso tende ad agire, l’introverso a riflettere.
Qui ho cercato di descrivere gli estremi opposti: poi ci saranno ovviamente tutti i casi intermedi anche se, secondo Jung, sebbene auspicabile un perfetto equilibrio non è mai possibile.
Questa profonda diversità di carattere provoca una incomprensione di fondo fra introversi ed estroversi soprattutto quando emergono gli aspetti inconsci delle relative psicologie. Come spiegato nel precedente pezzo nell’inconscio tende a svilupparsi l’aspetto simmetrico del conscio: nell’introverso quindi la “sovrapposizione” (è un concetto difficile da definire) con l’oggetto; nell’estroverso la riflessione sull’oggetto. Ma si tratta di facoltà primitive che, quando emergono nel comportamento effettivo, appaiono grezze e mal formate: l’introverso agirà impulsivamente magari eccedendo in parole e/o azioni; l’estroverso agirà seguendo una logica rozza, troppo apparente, che lo farà sembrare avere secondi fini, un’ipocrita insomma.
Grazie a questa nuova consapevolezza della diversità fra introversi ed estroversi ho capito meglio la psicologia del lettore anonimo che nelle ultime settimane ha spesso commentato, con rapide e a volte aspre osservazioni assertive, molti miei pezzi. Anzi era talmente rapido che io faticavo a stargli dietro con le mie risposte: il suo pensiero era infatti tutt'uno con ciò che scriveva mentre io, come sempre, avevo bisogno di leggere e “trasportare” le sue parole dentro di me per poi potergli rispondere sensatamente.
In pratica lui è un perfetto estroverso e io un perfetto introverso: da qui la difficoltà di comprensione reciproca.
Ma diamo la parola a Jung e giudichi il lettore (chi ovviamente ha avuto la pazienza di seguire le nostre “discussioni”) se non sembra una buona descrizione dell’anonimo commentatore:
«Il continuo emettere giudizi, mai basati su una vera riflessione, è l’estroversione di un’impressione fugace la quale non ha nulla a che fare con un pensiero vero e proprio. A tale proposito mi sovvengo di uno spiritoso aforisma, che ho letto non ricordo dove: “Pensare è così difficile che la maggior parte degli uomini emette giudizi.” Riflettere richiede innanzi tutto tempo, perciò chi riflette non può continuamente esprimere giudizi. L’incoerenza e l’incongruenza dei giudizi, la loro dipendenza dalla tradizione e dall’autorità denunciano l’assenza di un pensiero autonomo; allo stesso modo la mancanza di autocritica e di opinioni personali indica una deficienza nella funzione del giudizio. L’assenza di un’intima vita spirituale in questo tipo è chiara più di quanto non lo sia la sua presenza nel tipo introverso, così com’è stato descritto in precedenza.» (*1)
In seguito: «Ma, come l’introverso finisce con il disturbare per la veemenza della sua passionalità, così l’estroverso finisce col farsi irritante con il suo modo di pensare e di sentire semi-inconscio, che viene applicato incoerentemente e sconsideratamente nei confronti degli altri uomini, spesso sotto forma di giudizi privi di tatto e di riguardo.» (*2)
Devo ammettere che, da super introverso forse invidioso della facilità verbale e sociale degli estroversi, mi sono divertito a riportare gli aspetti più negativi del loro carattere secondo Jung.
In realtà essi hanno anche molti lati positivi e sono massimamente utili alla società grazie alla loro affabilità e capacità di smussare le differenze (quando vogliono farlo). Diciamo che pregi e difetti di introversi ed estroversi si completano a vicenda e, a seconda delle circostanze, l’uno può essere migliore dell’altro tipo e viceversa.
Qui di seguito un esempio di caratteristiche positive degli estroversi con in più una frecciatina agli introversi che mi ha fatto molto ridere!
«Per questo secondo tipo [gli estroversi], vorrei porre in rilievo la premurosità nell’assistenza sociale, l’attiva partecipazione al benessere altrui, come pure la spiccata tendenza a dispensare gioia al prossimo. Qualità questa che l’introverso possiede solo nella fantasia.» (*3)
Già che ci sono voglio presentare un bell’esempio di difficoltà di comprensione fra introversi ed estroversi. Nell’esempio specifico è l’introverso che fraintende l’estroverso ma, come detto, l’incomprensione è reciproca.
«È certamente vero che l’estroverso, quando non ha null’altro da dire, fa se non altro aprire o chiudere una finestra. Ma chi bada a ciò? Chi ne è rimasto colpito? Solo chi cerca di capire le possibili ragioni e intenzioni di un simile comportamento, cioè chi riflette, analizza e sintetizza, mentre per tutti gli altri questo piccolo rumore si perde nel gran chiasso della vita, senza che vi sia motivo di interpretarlo in questo o in quell’altro senso. Ma è appunto in questa maniera che si manifesta la psicologia dell’estroverso: essa appartiene ai fatti del quotidiano umano e non significa niente di più e niente di meno.»
Io sono esattamente l’introverso che prende accuratamente nota di questi piccoli episodi e cerca di interpretarli.
E Jung spiega poi che questa interpretazione è errata nel giudicare il conscio dell’estroverso (che ha aperto o chiuso la finestra spontaneamente, senza pensarci) ma è corretta nell’individuare il ragionamento inconscio (magari farsi notare dalla ragazza accanto alla finestra!). Solo che attribuire troppo valore al pensiero inconscio è spesso ingiusto e fuorviante: è come giudicare un uomo dalla sua ombra. È vero che magari inconsciamente l’estroverso voleva farsi notare dalla ragazza ma ha agito spontaneamente seguendo la propria natura senza pensarci. L’estroverso pensa “Toh, bella quella ragazza…” e poi senza pensarci va ad aprire la finestra; passandole davanti, sempre senza pensarci, la guarda e le sorride o le dice una battuta scherzosa; è l’introverso che invece pensa: “Toh, bella quella ragazza: come posso fare per farmi notare da lei?” e conclude di andare ad aprire la finestra ma passandole davanti, e sentendosi un po’ con la coscienza sporca (*4), incespica o arrossisce quando lei lo guarda per un attimo…
Come “bonus” voglio proporre un brevissimo passaggio tratto da “Il giuoco delle perle di vetro” di Hesse dove il protagonista, un introverso, si confronta con un amico-antagonista estroverso: «I due mondi, i due principi erano impersonati in Knecht e Designori, ognuno dei due potenziava l’altro, ciascuna disputa diventava una gara solenne e rappresentativa che riguardava tutti. E come Plinio da ogni vacanza, da ogni contatto col suolo materno portava con sé nuove energie, cosi Josef succhiava forze novelle da ogni riflessione, da ogni lettura, dagli esercizi di concentrazione, dagli incontri col Magister Musicae e diventava sempre più adatto a rappresentare e a difendere la Castalia.» (*5)
Plinio Designori, l’estroverso, recupera energie dagli oggetti esterni mentre Josef Knecht, l’introverso, da dentro se stesso…
Conclusione: mi ci vorrà un po’ di tempo per assorbire questi nuovi concetti ma sono sicuro che diverrò molto più abile nel capire se le altre persone sono introverse o estroverse...
Nota (*1): tratto da “Tipi psicologici” di Carl Gustav Jung, (E.) Bollati Boringhieri, 2022, trad. Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, pag. 171-172.
Nota (*2): ibidem, pag. 173.
Nota (*3): ibidem, pag. 174.
Nota (*4): l’introverso infatti vuole essere fedele al proprio pensiero: se la ragazza gli piace dovrebbe essere esplicito nel manifestare il proprio apprezzamento e ricorrere invece a un “sotterfugio” così indiretto appare squallido e meschino.
Nota (*5): tratto da “Il giuoco delle perle di vetro” di Hermann Hesse, (E.) Oscar Mondadori, trad. Ervino Pocar, pag. 106.
In particolare dopo essermi ritrovato nella descrizione degli introversi (comprese le critiche) ho letto quella riguardante gli estroversi.
Fino a oggi la mia capacità di distinzione fra i tipi introversi ed estroversi era molto scarsa: mi basavo essenzialmente sulla regola grezza del “ricaricamento pile”. Ovvero l’introverso recupera energie stando da solo, l’estroverso stando insieme agli altri.
Per me che sono super introverso il problema era che tutti mi sembravano estroversi! Un secondo problema è che questo aspetto della personalità lo si giudica facilmente in persone che conosciamo bene ma con molta più difficoltà negli sconosciuti.
Secondo Jung invece la questione è, prevedibilmente, molto più articolata e complessa. Provo a riassumerlo ma non prendete per oro colato quanto sto per scrivere!
L’introverso è concentrato su se stesso, nella propria mente: l’informazione che gli arriva dall’esterno viene trasformata in qualcosa di astratto che viene elaborato all’interno della mente. Per questo l’introverso tende a essere ponderato e riflessivo: non elabora direttamente ciò che vede ma prima lo deve interiorizzare, lo deve trasportare dentro di sé per valutarlo ed, eventualmente, scegliere come reagire.
L’estroverso è invece concentrato sull’esterno: gli oggetti (parlo di “oggetti” nel più ampio significato espressivo: possono anche essere persone o concetti) non sono interiorizzati ma è l’io dell’estroverso che si “spalma” su di essi, si identifica con essi, diventa (anche, non solo) quegli oggetti. Per questo le reazioni dell’estroverso sono più rapide di quelle dell’introverso: salta un passaggio, il processo decisionale e di valutazione è ridotto. L’estroverso è per questo una persona pratica e spontanea che sa immediatamente come reagire a ogni situazione: non ha bisogno di pensarci a fondo. Chiaro che questa velocità è in certi casi deleteria. È sicuro di sé perché identificandosi con l’oggetto (in questo caso concetti o idee) non ha dubbi di fraintenderlo (l'introverso invece separa nettamente il proprio io dall'idea: questo gli dà più oggettività e distacco ma anche meno sicurezza). L’estroverso tende ad agire, l’introverso a riflettere.
Qui ho cercato di descrivere gli estremi opposti: poi ci saranno ovviamente tutti i casi intermedi anche se, secondo Jung, sebbene auspicabile un perfetto equilibrio non è mai possibile.
Questa profonda diversità di carattere provoca una incomprensione di fondo fra introversi ed estroversi soprattutto quando emergono gli aspetti inconsci delle relative psicologie. Come spiegato nel precedente pezzo nell’inconscio tende a svilupparsi l’aspetto simmetrico del conscio: nell’introverso quindi la “sovrapposizione” (è un concetto difficile da definire) con l’oggetto; nell’estroverso la riflessione sull’oggetto. Ma si tratta di facoltà primitive che, quando emergono nel comportamento effettivo, appaiono grezze e mal formate: l’introverso agirà impulsivamente magari eccedendo in parole e/o azioni; l’estroverso agirà seguendo una logica rozza, troppo apparente, che lo farà sembrare avere secondi fini, un’ipocrita insomma.
Grazie a questa nuova consapevolezza della diversità fra introversi ed estroversi ho capito meglio la psicologia del lettore anonimo che nelle ultime settimane ha spesso commentato, con rapide e a volte aspre osservazioni assertive, molti miei pezzi. Anzi era talmente rapido che io faticavo a stargli dietro con le mie risposte: il suo pensiero era infatti tutt'uno con ciò che scriveva mentre io, come sempre, avevo bisogno di leggere e “trasportare” le sue parole dentro di me per poi potergli rispondere sensatamente.
In pratica lui è un perfetto estroverso e io un perfetto introverso: da qui la difficoltà di comprensione reciproca.
Ma diamo la parola a Jung e giudichi il lettore (chi ovviamente ha avuto la pazienza di seguire le nostre “discussioni”) se non sembra una buona descrizione dell’anonimo commentatore:
«Il continuo emettere giudizi, mai basati su una vera riflessione, è l’estroversione di un’impressione fugace la quale non ha nulla a che fare con un pensiero vero e proprio. A tale proposito mi sovvengo di uno spiritoso aforisma, che ho letto non ricordo dove: “Pensare è così difficile che la maggior parte degli uomini emette giudizi.” Riflettere richiede innanzi tutto tempo, perciò chi riflette non può continuamente esprimere giudizi. L’incoerenza e l’incongruenza dei giudizi, la loro dipendenza dalla tradizione e dall’autorità denunciano l’assenza di un pensiero autonomo; allo stesso modo la mancanza di autocritica e di opinioni personali indica una deficienza nella funzione del giudizio. L’assenza di un’intima vita spirituale in questo tipo è chiara più di quanto non lo sia la sua presenza nel tipo introverso, così com’è stato descritto in precedenza.» (*1)
In seguito: «Ma, come l’introverso finisce con il disturbare per la veemenza della sua passionalità, così l’estroverso finisce col farsi irritante con il suo modo di pensare e di sentire semi-inconscio, che viene applicato incoerentemente e sconsideratamente nei confronti degli altri uomini, spesso sotto forma di giudizi privi di tatto e di riguardo.» (*2)
Devo ammettere che, da super introverso forse invidioso della facilità verbale e sociale degli estroversi, mi sono divertito a riportare gli aspetti più negativi del loro carattere secondo Jung.
In realtà essi hanno anche molti lati positivi e sono massimamente utili alla società grazie alla loro affabilità e capacità di smussare le differenze (quando vogliono farlo). Diciamo che pregi e difetti di introversi ed estroversi si completano a vicenda e, a seconda delle circostanze, l’uno può essere migliore dell’altro tipo e viceversa.
Qui di seguito un esempio di caratteristiche positive degli estroversi con in più una frecciatina agli introversi che mi ha fatto molto ridere!
«Per questo secondo tipo [gli estroversi], vorrei porre in rilievo la premurosità nell’assistenza sociale, l’attiva partecipazione al benessere altrui, come pure la spiccata tendenza a dispensare gioia al prossimo. Qualità questa che l’introverso possiede solo nella fantasia.» (*3)
Già che ci sono voglio presentare un bell’esempio di difficoltà di comprensione fra introversi ed estroversi. Nell’esempio specifico è l’introverso che fraintende l’estroverso ma, come detto, l’incomprensione è reciproca.
«È certamente vero che l’estroverso, quando non ha null’altro da dire, fa se non altro aprire o chiudere una finestra. Ma chi bada a ciò? Chi ne è rimasto colpito? Solo chi cerca di capire le possibili ragioni e intenzioni di un simile comportamento, cioè chi riflette, analizza e sintetizza, mentre per tutti gli altri questo piccolo rumore si perde nel gran chiasso della vita, senza che vi sia motivo di interpretarlo in questo o in quell’altro senso. Ma è appunto in questa maniera che si manifesta la psicologia dell’estroverso: essa appartiene ai fatti del quotidiano umano e non significa niente di più e niente di meno.»
Io sono esattamente l’introverso che prende accuratamente nota di questi piccoli episodi e cerca di interpretarli.
E Jung spiega poi che questa interpretazione è errata nel giudicare il conscio dell’estroverso (che ha aperto o chiuso la finestra spontaneamente, senza pensarci) ma è corretta nell’individuare il ragionamento inconscio (magari farsi notare dalla ragazza accanto alla finestra!). Solo che attribuire troppo valore al pensiero inconscio è spesso ingiusto e fuorviante: è come giudicare un uomo dalla sua ombra. È vero che magari inconsciamente l’estroverso voleva farsi notare dalla ragazza ma ha agito spontaneamente seguendo la propria natura senza pensarci. L’estroverso pensa “Toh, bella quella ragazza…” e poi senza pensarci va ad aprire la finestra; passandole davanti, sempre senza pensarci, la guarda e le sorride o le dice una battuta scherzosa; è l’introverso che invece pensa: “Toh, bella quella ragazza: come posso fare per farmi notare da lei?” e conclude di andare ad aprire la finestra ma passandole davanti, e sentendosi un po’ con la coscienza sporca (*4), incespica o arrossisce quando lei lo guarda per un attimo…
Come “bonus” voglio proporre un brevissimo passaggio tratto da “Il giuoco delle perle di vetro” di Hesse dove il protagonista, un introverso, si confronta con un amico-antagonista estroverso: «I due mondi, i due principi erano impersonati in Knecht e Designori, ognuno dei due potenziava l’altro, ciascuna disputa diventava una gara solenne e rappresentativa che riguardava tutti. E come Plinio da ogni vacanza, da ogni contatto col suolo materno portava con sé nuove energie, cosi Josef succhiava forze novelle da ogni riflessione, da ogni lettura, dagli esercizi di concentrazione, dagli incontri col Magister Musicae e diventava sempre più adatto a rappresentare e a difendere la Castalia.» (*5)
Plinio Designori, l’estroverso, recupera energie dagli oggetti esterni mentre Josef Knecht, l’introverso, da dentro se stesso…
Conclusione: mi ci vorrà un po’ di tempo per assorbire questi nuovi concetti ma sono sicuro che diverrò molto più abile nel capire se le altre persone sono introverse o estroverse...
Nota (*1): tratto da “Tipi psicologici” di Carl Gustav Jung, (E.) Bollati Boringhieri, 2022, trad. Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, pag. 171-172.
Nota (*2): ibidem, pag. 173.
Nota (*3): ibidem, pag. 174.
Nota (*4): l’introverso infatti vuole essere fedele al proprio pensiero: se la ragazza gli piace dovrebbe essere esplicito nel manifestare il proprio apprezzamento e ricorrere invece a un “sotterfugio” così indiretto appare squallido e meschino.
Nota (*5): tratto da “Il giuoco delle perle di vetro” di Hermann Hesse, (E.) Oscar Mondadori, trad. Ervino Pocar, pag. 106.
lunedì 26 febbraio 2024
Rompicapo fuorviante
Sono ingenuo così, quando ho letto il titolo "Impossible" Logic Puzzle - How Many Liars Are At The Party?, ho davvero pensato che si trattasse di un problema difficilissimo. Col senno di poi credo che questa supposizione mi abbia portato un po’ fuori strada facendomi perdere più tempo del dovuto…
Il testo, non ho voglia di tradurlo, è il seguente:
Questo problema avevo già provato a risolverlo lo scorso venerdì (o sabato forse?) senza successo ma, come al solito, ho una scusante (sebbene vagamente imbarazzante): da quando ho fatto la visita urologica, con allegata profanazione anale, direi una volta alla settimana mi prende un fortissimo prurito che si calma grattando bene (a fondo) l'orifizio segreto.
Ecco proprio durante la scorsa escursione, a metà percorso, sono stato colto da questo prurito terribile che mi sono portato dietro fino a quando non sono rientrato a casa e ho soddisfatto l’innominabile bisogno…
In pratica per colpa del prurito ho potuto pensare al rompicapo molto meno del previsto interrompendo oltretutto la catena dei pensieri improvvisamente.
Giudicate voi se sia una buona scusa!
SCIUPATRAMA
1° Uscita:
Durante l’andata avevo cercato di capire bene gli estremi del problema: come avete visto (anche per questo non ho voluto riassumerlo io) il testo è molto scarno e non fornisce molti particolari su cosa significhi “darsi la mano” alla festa, quante persone si incontrano fra loro etc.
Forse parte della difficoltà del rompicapo è proprio non farsi sommergere da tutta questa incertezza e riuscire a mettere dei punti fermi.
Ecco le mie conclusioni:
a. ogni invitato può incontrare un numero arbitrario di altre persone (se tutti incontravano tutti era troppo semplice; è limitare il numero arbitrariamente sarebbe stato, appunto, arbitrario).
b. legato al punto precedente: i mentitori non indicano un numero di persone più alto di quelle effettivamente incontrate.
c. ogni invitato è magicamente in grado di capire dalla stretta di mano (sudaticcia?) se la controparte è sincera o bugiarda.
Probabilmente il punto b, come vedremo nel prosieguo, è superfluo (ci dovrei riflettere).
Poi avevo fatto un buon ragionamento: nel tentativo di rappresentarmi graficamente il problema mi ero immaginato i sinceri, tutti da una parte, come dei puntini bianchi e i bugiardi, tutti dall’altra come dei puntini neri. Le strette di mano come degli archi che congiungono i due puntini coinvolti.
Si vede subito (almeno io l’ho visto nella mia testa) che la somma dei numeri indicati dai sinceri è pari al numero di archi che legano insieme i puntini bianchi moltiplicato per due: in altre parole sarà un numero pari.
Non è molto ma ci dice che se la somma dei numeri da 0 a 99 fosse dispari allora ci sarebbe almeno un bugiardo.
Poi provai a “ridurre” il problema immaginando una festa con due partecipanti, poi con tre, per vedere se vi trovavo degli “schemi” o degli spunti utili. Ma in realtà non arrivai a niente.
Poi calcolai la somma dei numeri da 1 a 5 per vedere se il risultato era pari o dispari e se potevo quindi applicare la logica vista sopra. Ah! Qui infatti avevo fatto un errore logico/matematico (corretto nell’uscita di oggi) in cui davo per scontato che somme pari e dispari si alternassero mentre invece cambiano solo quando il numero successivo è dispari: questo perché se la somma è pari aggiungendovi un numero pari il nuovo totale resta pari e se la somma è dispari aggiungendo un pari resta dispari; al contrario se la somma è pari aggiungendo un dispari il totale diventa dispari mentre se la somma è dispari il totale diventa pari…
Comunque, dando per scontato che il rompicapo fosse “difficilissimo” mi sono perso in questi ragionamenti astrusi in genere confondendomi senza arrivare a niente.
Devo anche dire che il problema mi dava molti spunti e così ero ancora in modalità “riflessione libera”, ovvero seguivo indisciplinatamente tutte le idee che mi venivano in mente senza cercare di essere “logico”.
2° Uscita:
Oggi ho fatto di nuovo una breve passeggiata e ho preso l’occasione per tornare sul problema.
Per prima cosa ho cercato di ricordare le “scoperte” della volta precedente.
Poi mi sono accorto dell’errore logico/matematico e quindi ho rivalutato il tutto alla luce di esso: senza arrivare a niente di utile…
Finalmente mi sono deciso a pensare in maniera “logica”. Ora è difficile tenere traccia dei propri pensieri anche perché molte idee hanno poco senso a metterle nero su bianco o sono troppo vaghe da poter essere spiegate chiaramente. Inoltre tenere traccia di cosa si stia pensando toglie concentrazione mentre, se non lo si fa, è poi difficile ricordare i pensieri precedenti, specialmente le false piste…
Comunque ho pensato che i bugiardi danno poca informazione mentre i sinceri un po’ di più ma col fatto che non si sa quante persone incontrano non è facile sfruttare questi dati.
Anzi, mi rendo conto adesso, si può immaginare che ci sia un sincero timidissimo che alla festa si chiuda in bagno senza incontrare nessuno: se sinceri e bugiardi non sanno della sua esistenza come possono darci con le loro risposte l’informazione corretta sul numero totale dei sinceri?
La persona nascosta in bagno potrebbe essere sincera o bugiarda e gli altri partecipanti alla festa non ne saprebbero niente: come possono quindi le loro risposte darci un’indicazione al riguardo?
Allora sono finalmente giunto all’idea corretta: è la forma delle risposte, tutti i numeri da 0 a 99, che implica il valore della soluzione.
Qui ho preso un’altra falsa pista: il numero di sinceri totali sarà maggiore o uguale al numero massimo di sinceri indicato da un sincero. Ma anche questa idea di per sé non mi ha portato a niente.
Poi finalmente ho fatto quello che, credo, avrei fatto fra i primi tentativi se non avessi pensato che il problema fosse “difficilissimo” e che quindi richiedesse qualche soluzione particolarmente profonda…
Anzi in realtà ci avevo già provato il primo giorno ma cercavo di combinare i miei ragionamenti con l’idea della somma totale dispari o pari e questo mi impediva di vedere l’ovvio.
Il problema infatti è, mi sembra, semplicissimo.
Consideriamo l’ospite che dice di aver incontrato 99 sinceri (il 100°) e supponiamo che sia sincero: questo significherebbe che ha incontrato tutti gli altri ospiti e che questi sono a loro volta tutti sinceri. Questo significherebbe anche che ha incontrato anche l’ospite (1°) che dice di aver incontrato 0 sinceri quando invece dovrebbe aver almeno incontrato l’ospite (100°) che ha incontrato tutti. Questa è una contraddizione e quindi l’ospite che dice di aver incontrato 99 sinceri è un bugiardo.
Consideriamo l’ospite successivo (il 99°) che dice di aver incontrato 98 sinceri e supponiamo che sia sincero. Sappiamo già che l’ospite 100° è bugiardo quindi i 98 sinceri dovrebbero essere gli ospiti dal 1° al 98°. Ma di nuovo l’ospite 1° dice di non aver incontrato sinceri, quindi solita contraddizione, quindi ospite 99° è bugiardo.
In questa maniera si procede fino all’ospite 2° che dice di aver incontrato 1 sincero: siccome sappiamo che gli ospiti dal 3° al 100° sono tutti bugiardi allora l’unico sincero che avrebbe potuto aver incontrato sarebbe il 1° che però, come nei casi precedenti, dice di non aver incontrato alcun sincero. Di conseguenza anche l’ospite 2° è bugiardo.
Arriviamo quindi a valutare l’ospite 1° sapendo che quelli dal 2° al 100° sono tutti bugiardi.
Evidentemente 1° non può aver incontrato nessun sincero: se fosse bugiardo dovrebbe quindi rispondere un numero diverso da zero (perché il testo del rompicapo dice che il bugiardo mente sempre e comunque) mentre se fosse sincero dovrebbe rispondere 0: quindi 1° è sincero…
Totale: 1 sincero e 99 bugiardi.
Insomma alla fine il problema era molto molto semplice e se ci avessi ragionato così “rozzamente” fin dall’inizio lo avrei risolto molto più rapidamente…
Alla fine era semplicemente la “struttura” delle risposte che contava: se il 100° bugiardo avesse detto di aver incontrato 98 sinceri invece che 99 non si sarebbe potuto concludere niente...
Conclusione: per questo io non vado mai alle feste dato che mi sentirei sempre solo!
Il testo, non ho voglia di tradurlo, è il seguente:
Questo problema avevo già provato a risolverlo lo scorso venerdì (o sabato forse?) senza successo ma, come al solito, ho una scusante (sebbene vagamente imbarazzante): da quando ho fatto la visita urologica, con allegata profanazione anale, direi una volta alla settimana mi prende un fortissimo prurito che si calma grattando bene (a fondo) l'orifizio segreto.
Ecco proprio durante la scorsa escursione, a metà percorso, sono stato colto da questo prurito terribile che mi sono portato dietro fino a quando non sono rientrato a casa e ho soddisfatto l’innominabile bisogno…
In pratica per colpa del prurito ho potuto pensare al rompicapo molto meno del previsto interrompendo oltretutto la catena dei pensieri improvvisamente.
Giudicate voi se sia una buona scusa!
SCIUPATRAMA
1° Uscita:
Durante l’andata avevo cercato di capire bene gli estremi del problema: come avete visto (anche per questo non ho voluto riassumerlo io) il testo è molto scarno e non fornisce molti particolari su cosa significhi “darsi la mano” alla festa, quante persone si incontrano fra loro etc.
Forse parte della difficoltà del rompicapo è proprio non farsi sommergere da tutta questa incertezza e riuscire a mettere dei punti fermi.
Ecco le mie conclusioni:
a. ogni invitato può incontrare un numero arbitrario di altre persone (se tutti incontravano tutti era troppo semplice; è limitare il numero arbitrariamente sarebbe stato, appunto, arbitrario).
b. legato al punto precedente: i mentitori non indicano un numero di persone più alto di quelle effettivamente incontrate.
c. ogni invitato è magicamente in grado di capire dalla stretta di mano (sudaticcia?) se la controparte è sincera o bugiarda.
Probabilmente il punto b, come vedremo nel prosieguo, è superfluo (ci dovrei riflettere).
Poi avevo fatto un buon ragionamento: nel tentativo di rappresentarmi graficamente il problema mi ero immaginato i sinceri, tutti da una parte, come dei puntini bianchi e i bugiardi, tutti dall’altra come dei puntini neri. Le strette di mano come degli archi che congiungono i due puntini coinvolti.
Si vede subito (almeno io l’ho visto nella mia testa) che la somma dei numeri indicati dai sinceri è pari al numero di archi che legano insieme i puntini bianchi moltiplicato per due: in altre parole sarà un numero pari.
Non è molto ma ci dice che se la somma dei numeri da 0 a 99 fosse dispari allora ci sarebbe almeno un bugiardo.
Poi provai a “ridurre” il problema immaginando una festa con due partecipanti, poi con tre, per vedere se vi trovavo degli “schemi” o degli spunti utili. Ma in realtà non arrivai a niente.
Poi calcolai la somma dei numeri da 1 a 5 per vedere se il risultato era pari o dispari e se potevo quindi applicare la logica vista sopra. Ah! Qui infatti avevo fatto un errore logico/matematico (corretto nell’uscita di oggi) in cui davo per scontato che somme pari e dispari si alternassero mentre invece cambiano solo quando il numero successivo è dispari: questo perché se la somma è pari aggiungendovi un numero pari il nuovo totale resta pari e se la somma è dispari aggiungendo un pari resta dispari; al contrario se la somma è pari aggiungendo un dispari il totale diventa dispari mentre se la somma è dispari il totale diventa pari…
Comunque, dando per scontato che il rompicapo fosse “difficilissimo” mi sono perso in questi ragionamenti astrusi in genere confondendomi senza arrivare a niente.
Devo anche dire che il problema mi dava molti spunti e così ero ancora in modalità “riflessione libera”, ovvero seguivo indisciplinatamente tutte le idee che mi venivano in mente senza cercare di essere “logico”.
2° Uscita:
Oggi ho fatto di nuovo una breve passeggiata e ho preso l’occasione per tornare sul problema.
Per prima cosa ho cercato di ricordare le “scoperte” della volta precedente.
Poi mi sono accorto dell’errore logico/matematico e quindi ho rivalutato il tutto alla luce di esso: senza arrivare a niente di utile…
Finalmente mi sono deciso a pensare in maniera “logica”. Ora è difficile tenere traccia dei propri pensieri anche perché molte idee hanno poco senso a metterle nero su bianco o sono troppo vaghe da poter essere spiegate chiaramente. Inoltre tenere traccia di cosa si stia pensando toglie concentrazione mentre, se non lo si fa, è poi difficile ricordare i pensieri precedenti, specialmente le false piste…
Comunque ho pensato che i bugiardi danno poca informazione mentre i sinceri un po’ di più ma col fatto che non si sa quante persone incontrano non è facile sfruttare questi dati.
Anzi, mi rendo conto adesso, si può immaginare che ci sia un sincero timidissimo che alla festa si chiuda in bagno senza incontrare nessuno: se sinceri e bugiardi non sanno della sua esistenza come possono darci con le loro risposte l’informazione corretta sul numero totale dei sinceri?
La persona nascosta in bagno potrebbe essere sincera o bugiarda e gli altri partecipanti alla festa non ne saprebbero niente: come possono quindi le loro risposte darci un’indicazione al riguardo?
Allora sono finalmente giunto all’idea corretta: è la forma delle risposte, tutti i numeri da 0 a 99, che implica il valore della soluzione.
Qui ho preso un’altra falsa pista: il numero di sinceri totali sarà maggiore o uguale al numero massimo di sinceri indicato da un sincero. Ma anche questa idea di per sé non mi ha portato a niente.
Poi finalmente ho fatto quello che, credo, avrei fatto fra i primi tentativi se non avessi pensato che il problema fosse “difficilissimo” e che quindi richiedesse qualche soluzione particolarmente profonda…
Anzi in realtà ci avevo già provato il primo giorno ma cercavo di combinare i miei ragionamenti con l’idea della somma totale dispari o pari e questo mi impediva di vedere l’ovvio.
Il problema infatti è, mi sembra, semplicissimo.
Consideriamo l’ospite che dice di aver incontrato 99 sinceri (il 100°) e supponiamo che sia sincero: questo significherebbe che ha incontrato tutti gli altri ospiti e che questi sono a loro volta tutti sinceri. Questo significherebbe anche che ha incontrato anche l’ospite (1°) che dice di aver incontrato 0 sinceri quando invece dovrebbe aver almeno incontrato l’ospite (100°) che ha incontrato tutti. Questa è una contraddizione e quindi l’ospite che dice di aver incontrato 99 sinceri è un bugiardo.
Consideriamo l’ospite successivo (il 99°) che dice di aver incontrato 98 sinceri e supponiamo che sia sincero. Sappiamo già che l’ospite 100° è bugiardo quindi i 98 sinceri dovrebbero essere gli ospiti dal 1° al 98°. Ma di nuovo l’ospite 1° dice di non aver incontrato sinceri, quindi solita contraddizione, quindi ospite 99° è bugiardo.
In questa maniera si procede fino all’ospite 2° che dice di aver incontrato 1 sincero: siccome sappiamo che gli ospiti dal 3° al 100° sono tutti bugiardi allora l’unico sincero che avrebbe potuto aver incontrato sarebbe il 1° che però, come nei casi precedenti, dice di non aver incontrato alcun sincero. Di conseguenza anche l’ospite 2° è bugiardo.
Arriviamo quindi a valutare l’ospite 1° sapendo che quelli dal 2° al 100° sono tutti bugiardi.
Evidentemente 1° non può aver incontrato nessun sincero: se fosse bugiardo dovrebbe quindi rispondere un numero diverso da zero (perché il testo del rompicapo dice che il bugiardo mente sempre e comunque) mentre se fosse sincero dovrebbe rispondere 0: quindi 1° è sincero…
Totale: 1 sincero e 99 bugiardi.
Insomma alla fine il problema era molto molto semplice e se ci avessi ragionato così “rozzamente” fin dall’inizio lo avrei risolto molto più rapidamente…
Alla fine era semplicemente la “struttura” delle risposte che contava: se il 100° bugiardo avesse detto di aver incontrato 98 sinceri invece che 99 non si sarebbe potuto concludere niente...
Conclusione: per questo io non vado mai alle feste dato che mi sentirei sempre solo!
domenica 25 febbraio 2024
Scuola rischiosa
È da qualche giorno che volevo scrivere questo pezzo: come ho già spiegato “A Hunter-Gatherers’s Guide to the 21st Century” di Heying e Weinstein era cominciato ottimamente ma poi mi stava deludendo: da un capitolo iniziale con i legami fra cultura e DNA con implicazioni profonde si era infatti passati a una sfilza di capitoli di consigli pratici di buon senso ma di scarso interesse. Forse anche perché la parte psicologica già la conoscevo, non so…
Comunque, non me ne sono neppure accorto subito, improvvisamente mi sono ritrovato in un capitolo dove ho iniziato a buttare già molte annotazioni a margine, chiara indicazione che il materiale era di mio gradimento.
L’idea alla base del libro è quella di spiegare come l’uomo, costruito per essere un cacciatore-raccoglitore per centinaia di migliaia di anni, debba adattarsi e sacrificare alla vita moderna come è successo negli ultimi millenni: tantissimo tempo per la vita di un uomo ma niente dal punto di vista dell’evoluzione.
Il capitolo in questione è intitolato “10. Scuola” che si apre con un’introduzione lunghissima che non fa presagire niente di buono, poi si arriva al primo sottocapitolo “Cos’è la scuola?” e iniziano a moltiplicarsi gli spunti!
Il concetto base è che la scuola dovrebbe formare lo studente, farlo crescere come persona, invece di riempirgli la testa di nozioni astratte: qui niente di nuovo, già Gramsci (v. seconda parte di I buoni libri) a inizio XX secolo ce lo diceva!
Si aggiunge poi che la scuola spinge al conformismo: raramente i professori premiano le idee personali e creative degli studenti (a meno che non vadano incontro alla visione di specifici insegnanti) ed è molto più sicuro limitarsi a ripetere ciò che si è sentito a lezione piuttosto che sviluppare opinioni proprie.
Cito (traducendo al volo): «Scommettere contro le posizioni marginali è una scommessa facile, di solito sicura, e quando l’insegnamento è fatto in un tono di paternalistica indulgenza o sdegno autoritario, generalmente spazza via ogni dissenso. Sebbene molte idee marginali siano effettivamente errate, è proprio da queste che deriva il progresso. Qui è dove avviene l’innovazione e la creatività e, sì, molte di queste sono sbagliate o inutili, ma le idee più importanti sulle quali noi ora basiamo la comprensione del mondo e della società provengono proprio dagli [in passato] estremo.» (*1)
Successivamente un’altra serie di concetti interessanti:
- dalle punizioni fisiche si è passati a quelle psicologiche (forse ancor più dannose)
- ribadito il concetto in salsa scolastica della differenza fra “autorità” e “potestà”: l’insegnante deve guadagnarsi la stima degli studenti.
- si abitua i giovani all’obbedienza: cosa che ha pregi ma anche difetti.
Ma ecco forse il concetto che più mi ha fatto pensare. L’idea di base ricorda molto una mia vecchia intuizione (v. Puericultura base e Scelte e decisioni) ma la porta poi a estreme conseguenze a cui io non ero arrivato.
Uno dei concetti chiave è che uno scopo della scuola dovrebbe essere, come detto, far crescere gli studenti come persone. Questo si ottiene non solo facendoli ragionare con la propria testa ma anche rendendoli più responsabili. Per renderli responsabili essi dovranno essere abituati a prendere decisioni: io scrivevo di decisioni con conseguenze concrete (non il colore della maglietta!), gli autori qui di rischi. Alla fine l’obiettivo è analogo: per imparare il giovane deve sperimentare sulla propria pelle.
Ma ecco il concetto estremo: il rischio implica una certa dose di pericolo concreto e questo, in casi estremi, può portare a danni fisici o perfino alla morte. Nel mondo moderno invece qualsiasi forma di pericolo è accuratamente evitata e si preferisce eccedere nella protezione degli studenti. Il risultato che si ottiene però quando questi escono dalla scuola sono giovani uomini e donne non totalmente maturi, non capaci di pensare autonomamente né di criticare eventuali errori della società. Proteggiamo l’individuo ma rendiamo la società più debole.
Cito (traducendo al volo): dopo aver spiegato che i giovani per maturare devono correre dei rischi «Questo viene comunque a un costo: sperimentare un rischio non può essere fatto proteggendo completamente da ogni pericolo.
In breve il rischio è rischioso! Delle tragedie sono destinate ad accadere e ciò non è cosa da niente. Per quelli di noi che hanno avuto la fortuna di non sperimentarlo, è quasi impossibile come una persona possa andare avanti se un figlio muore o se è stato coinvolto nella morte di un altro bambino. Al contrario le tragedie a livello dell’intera società, accadono perché intere fasce della popolazione hanno difficoltà a comprendere il rischio e per questo cercano di evitarlo a ogni costo – sono anch’esse delle tragedie ma di portata molto più vasta.
La scuola moderna tende a proteggere contro le tragedie individuali ma così facendo facilità quelle più ampie sociali.» (*2)
Concetto interessante e difficile da affrontare: per questo preferisco la mia versione “più morbida” con decisioni che provocano sì conseguenze ma non pericoli (tipo: “studiare poesia corta e difficile o lunga o facile?” o far scegliere a studente attività diverse per difficoltà ma con premi commisurati etc.).
Infine un esempio di come la famiglia insegni che il lamentarsi, nel senso di fare le bizze, paga e la scuola il conformismo e il pensiero acritico:
«Alla mamma non piace quando io urlo e piagnucolo ma se insisto la mamma cede per farmi smettere? Preso nota.
L’insegnante mi lascia in pace e prendo buoni voti se io occasionalmente contribuisco con un commento in classe sebbene mi limiti a rigurgitare il contenuto del libro di testo? Ho capito.
Congratulazione società, hai prodotto con successo dei piagnucoloni compiaciuti abituati a ottenere ciò che vogliono, che sono bravi a scuola ma non a pensare e che, in realtà, non sono né svegli né saggi.» (*3)
Conclusione: bo, forse mi sono entusiasmato per questo capitolo perché vi ho rivisto una decisa conferma alla mia teoria che la responsabilità si possa insegnare proponendo scelte con conseguenze! Mi è tornato in mente adesso un mio vecchio pezzo dove riflettevo che lo Stato tenda ultimamente a trattare la popolazione come bambini irresponsabili privandoli della libertà di compiere scelte per proprio conto: evidentemente anche la scuola ha delle responsabilità contribuendo a creare i cittadini ideali per un potere che non per paternalismo (sebbene mal indirizzato) ma per interesse di pochi voglia influenzarli e controllarli; sudditi il cui primo dovere sia obbedire e non cittadini liberi con facoltà di pensare.
Nota (*1): tratto da “A Hunter-Gatherers’s Guide to the 21st Century” di Heying e Weinstein, (E.) Swift, 2022, pag. 171.
Nota (*2): ibidem, pag. 173.
Nota (*3): ibidem, pag. 174.
Comunque, non me ne sono neppure accorto subito, improvvisamente mi sono ritrovato in un capitolo dove ho iniziato a buttare già molte annotazioni a margine, chiara indicazione che il materiale era di mio gradimento.
L’idea alla base del libro è quella di spiegare come l’uomo, costruito per essere un cacciatore-raccoglitore per centinaia di migliaia di anni, debba adattarsi e sacrificare alla vita moderna come è successo negli ultimi millenni: tantissimo tempo per la vita di un uomo ma niente dal punto di vista dell’evoluzione.
Il capitolo in questione è intitolato “10. Scuola” che si apre con un’introduzione lunghissima che non fa presagire niente di buono, poi si arriva al primo sottocapitolo “Cos’è la scuola?” e iniziano a moltiplicarsi gli spunti!
Il concetto base è che la scuola dovrebbe formare lo studente, farlo crescere come persona, invece di riempirgli la testa di nozioni astratte: qui niente di nuovo, già Gramsci (v. seconda parte di I buoni libri) a inizio XX secolo ce lo diceva!
Si aggiunge poi che la scuola spinge al conformismo: raramente i professori premiano le idee personali e creative degli studenti (a meno che non vadano incontro alla visione di specifici insegnanti) ed è molto più sicuro limitarsi a ripetere ciò che si è sentito a lezione piuttosto che sviluppare opinioni proprie.
Cito (traducendo al volo): «Scommettere contro le posizioni marginali è una scommessa facile, di solito sicura, e quando l’insegnamento è fatto in un tono di paternalistica indulgenza o sdegno autoritario, generalmente spazza via ogni dissenso. Sebbene molte idee marginali siano effettivamente errate, è proprio da queste che deriva il progresso. Qui è dove avviene l’innovazione e la creatività e, sì, molte di queste sono sbagliate o inutili, ma le idee più importanti sulle quali noi ora basiamo la comprensione del mondo e della società provengono proprio dagli [in passato] estremo.» (*1)
Successivamente un’altra serie di concetti interessanti:
- dalle punizioni fisiche si è passati a quelle psicologiche (forse ancor più dannose)
- ribadito il concetto in salsa scolastica della differenza fra “autorità” e “potestà”: l’insegnante deve guadagnarsi la stima degli studenti.
- si abitua i giovani all’obbedienza: cosa che ha pregi ma anche difetti.
Ma ecco forse il concetto che più mi ha fatto pensare. L’idea di base ricorda molto una mia vecchia intuizione (v. Puericultura base e Scelte e decisioni) ma la porta poi a estreme conseguenze a cui io non ero arrivato.
Uno dei concetti chiave è che uno scopo della scuola dovrebbe essere, come detto, far crescere gli studenti come persone. Questo si ottiene non solo facendoli ragionare con la propria testa ma anche rendendoli più responsabili. Per renderli responsabili essi dovranno essere abituati a prendere decisioni: io scrivevo di decisioni con conseguenze concrete (non il colore della maglietta!), gli autori qui di rischi. Alla fine l’obiettivo è analogo: per imparare il giovane deve sperimentare sulla propria pelle.
Ma ecco il concetto estremo: il rischio implica una certa dose di pericolo concreto e questo, in casi estremi, può portare a danni fisici o perfino alla morte. Nel mondo moderno invece qualsiasi forma di pericolo è accuratamente evitata e si preferisce eccedere nella protezione degli studenti. Il risultato che si ottiene però quando questi escono dalla scuola sono giovani uomini e donne non totalmente maturi, non capaci di pensare autonomamente né di criticare eventuali errori della società. Proteggiamo l’individuo ma rendiamo la società più debole.
Cito (traducendo al volo): dopo aver spiegato che i giovani per maturare devono correre dei rischi «Questo viene comunque a un costo: sperimentare un rischio non può essere fatto proteggendo completamente da ogni pericolo.
In breve il rischio è rischioso! Delle tragedie sono destinate ad accadere e ciò non è cosa da niente. Per quelli di noi che hanno avuto la fortuna di non sperimentarlo, è quasi impossibile come una persona possa andare avanti se un figlio muore o se è stato coinvolto nella morte di un altro bambino. Al contrario le tragedie a livello dell’intera società, accadono perché intere fasce della popolazione hanno difficoltà a comprendere il rischio e per questo cercano di evitarlo a ogni costo – sono anch’esse delle tragedie ma di portata molto più vasta.
La scuola moderna tende a proteggere contro le tragedie individuali ma così facendo facilità quelle più ampie sociali.» (*2)
Concetto interessante e difficile da affrontare: per questo preferisco la mia versione “più morbida” con decisioni che provocano sì conseguenze ma non pericoli (tipo: “studiare poesia corta e difficile o lunga o facile?” o far scegliere a studente attività diverse per difficoltà ma con premi commisurati etc.).
Infine un esempio di come la famiglia insegni che il lamentarsi, nel senso di fare le bizze, paga e la scuola il conformismo e il pensiero acritico:
«Alla mamma non piace quando io urlo e piagnucolo ma se insisto la mamma cede per farmi smettere? Preso nota.
L’insegnante mi lascia in pace e prendo buoni voti se io occasionalmente contribuisco con un commento in classe sebbene mi limiti a rigurgitare il contenuto del libro di testo? Ho capito.
Congratulazione società, hai prodotto con successo dei piagnucoloni compiaciuti abituati a ottenere ciò che vogliono, che sono bravi a scuola ma non a pensare e che, in realtà, non sono né svegli né saggi.» (*3)
Conclusione: bo, forse mi sono entusiasmato per questo capitolo perché vi ho rivisto una decisa conferma alla mia teoria che la responsabilità si possa insegnare proponendo scelte con conseguenze! Mi è tornato in mente adesso un mio vecchio pezzo dove riflettevo che lo Stato tenda ultimamente a trattare la popolazione come bambini irresponsabili privandoli della libertà di compiere scelte per proprio conto: evidentemente anche la scuola ha delle responsabilità contribuendo a creare i cittadini ideali per un potere che non per paternalismo (sebbene mal indirizzato) ma per interesse di pochi voglia influenzarli e controllarli; sudditi il cui primo dovere sia obbedire e non cittadini liberi con facoltà di pensare.
Nota (*1): tratto da “A Hunter-Gatherers’s Guide to the 21st Century” di Heying e Weinstein, (E.) Swift, 2022, pag. 171.
Nota (*2): ibidem, pag. 173.
Nota (*3): ibidem, pag. 174.
sabato 24 febbraio 2024
Due combloddi
Due riflessioni avariate su un paio di complotti: il primo su tutti i media da vari giorni, il secondo che troverete solo qui perché è solo un mio sospetto…
1.
La morte in carcere di Navalny. Capisco che, come la Russia, anche l’Occidente voglia fare propaganda: ma è così difficile inventarsela che abbia senso?
Navalny, secondo l’Occidente, il grande oppositore politico di Putin (a me risulta che al suo massimo avesse il 2% dei consensi ma non importa: fingiamo che avesse il 20% o, come sostengono i nostri media, il 200%) è in carcere. Le elezioni russe saranno fra un mese circa, Navalny in carcere, che pericolo politico rappresenta per Putin? Zero. Che bisogno aveva di farlo uccidere? Nessuno.
E come è morto Navalny? Secondo i media Occidentali è stato ucciso con un pugno al cuore tipico, non dei monaci Shaolin o forse dei vulcaniani come pensavo io, ma del KGB! Questa è per i nostri media la prova provata che è stato Putin (forse in persona?) a ucciderlo perché egli era, negli anni ‘90, un colonnello del KGB.
Onestamente non so quale sia la fonte che abbia divulgato la causa della morte ma: a. se è una fonte russa ufficiale perché non comunicare una causa diversa? Qualcosa che non incolpasse il KGB intendo? b. se non è ufficiale, che attendibilità ha? Scarsa o nulla a mio avviso.
Ma non è questo il problema: diciamo che Putin, in uno dei suoi attacchi di “follia mattutina”, abbia telefonato al KGB dando l’ordine di uccidere l’oppositore che non poteva opporsi a nulla perché già in carcere.
Perché il KGB avrebbe dovuto ucciderlo utilizzando la propria “firma”, ovvero il temibile “pugno al cuore”? Perché, approfittando che la vittima si trovasse in carcere, non farla morire in una rissa fra detenuti con tanto di filmato video con le guardie che non arrivano in tempo e l’omicida da mostrare all’occidente? Magari poi la Russia avrebbe avuto gioco facile, in un processo farsa ovviamente, a diffondere squallide voci su traffici illeciti di Navalny…
Oppure perché non fare come i maestri, come la CIA intendo, con Epstin? Che, morto soffocato, si appese poi a un cappio nella propria cella. Non poteva il KGB organizzare qualcosa di simile? No, il pugno al cuore è più spettacolare…
Insomma, riassumendo, le mie obiezioni sono due:
A. Navalny, in carcere, non rappresentava alcun pericolo per Putin che non aveva quindi alcun motivo di farlo uccidere.
B. Se proprio lo si fosse voluto uccidere in carcere (che dovrebbe rendere tutto più facile) perché non inscenare, per esempio, un suicidio o una rissa fra detenuti per prevenire le prevedibili narrative occidentali “ha stato Putin”?
Ah già! i media avranno spiegato queste contraddizioni logiche con la solita motivazione: “Putin è pazzo”…
E a proposito di pazzi:
2.
Premetto che questo è un mio sospetto a cui nessuna delle mie fonti ha fatto cenno: insomma tutta farina del mio sacco!
Avete notato cosa successe, forse una decina di giorni fa, all’indomani del proscioglimento di Biden dall’accusa di aver dimenticato nella propria autorimessa dei documenti segreti riservati non perché non avesse compiuto il fatto ma perché, secondo il procuratore, la giuria avrebbe avuto pietà di un anziano non più in sé e non lo avrebbe condannato?
Il giorno dopo (o la sera stessa, non ricordo) Biden piuttosto scocciato fece una conferenza stampa, per dire che lui è completamente lucido, ma però confuse l’Egitto con il Messico (per esempio: VEDI QUI) (*1)!
Ecco, il giorno seguente, anche i grossi quotidiani statunitensi ventilarono piuttosto chiaramente il “sospetto” dell’incapacità mentale del presidente USA.
Io pensai di scriverci un pezzo per dire come, con un anno e passa di ritardo su quanto scrivo qui sul ghiribizzo, anche i media americani si erano finalmente accorti che il re, anzi il presidente, è nudo. Ma a questa “fiammata” di informazione non ci fu un seguito e i media americani (quelli importanti intendo) sembrarono essersi già “dimenticati” della loro recente “scoperta”…
Come io leggo il fatto, ovvero la mia teoria di complotto.
Come forse saprete quest’anno in autunno vi saranno le elezioni presidenziali negli USA e Biden è, almeno al momento, il candidato democratico. Prevedibilmente Biden vuole essere rieletto, magari sfruttando il fatto di essere un Presidente in guerra (che storicamente compatta gli elettori sul presidente in carica), ma al momento ha un grosso problema (beh, più di uno in verità!): il “sospetto” genocidio nella striscia di Gaza a opera dell’esercito israeliano.
Soprattutto i giovani americani sono contro il pugno duro d’Israele e, sebbene anche Trump abbia detto di supportare Tel Aviv, sembrano decisi a voler che Biden perda. Lo stesso vale per le comunità musulmane negli USA.
Biden vorrebbe quindi che la guerra di Israele finisse il più presto possibile perché gli fa perdere consensi (e già non è in vantaggio): non escludo quindi che abbia effettivamente cercato di fare pressioni su Netanyahu per farla cessare. Paradossalmente gli USA avrebbero la forza per ordinare a Israele di sospendere le ostilità perché i suoi aiuti militari e bellici sono indispensabili per proseguirle ma deve invece limitarsi a chiedere perché l’influenza della lobbi israeliana è estremamente forte.
Io credo quindi che Biden avesse effettivamente provato a fare la voce grossa con Netanyahu ma che questo, in risposta, avesse fatto una telefonata ordinando ai media di dare un “avvertimento” a Biden: qualcosa tipo “se non continui ad appoggiarci al 100% noi ti stronchiamo la campagna elettorale”.
In questo senso leggo le illazioni sulle capacità mentali del presidente USA improvvisamente giunte alla ribalta per essere poi subitamente riposte nel cassetto (da cui però possono riuscire in qualsiasi momento).
Ovviamente questa è solo una mia teoria ma una verifica potrebbe essere possibile: se Israele la combinerà grossa, Biden potrebbe decidere “per mostrarsi forte” di protestare vigorosamente con Netanyahu. In questo caso la stampa USA potrebbe riprendere, sempre toccata e fuga però, l’argomento della salute mentale del presidente. “Toccata e fuga” perché se Biden si rendesse conto di aver perso le elezioni potrebbe decidere di vendicarsi bloccando armi e denaro a Israele. Per questo mi aspetto che dopo il “bastone” vi sarebbe la “carota” e gli stessi media che avevano attaccato Biden il giorno successivo “bastonerebbero” Trump per dimostrare al presidente in carica che, come possono fargli perdere le elezioni, possono anche fargliele vincere...
La debolezza di questa mia teoria è ovviamente il controllo che presume quasi totale dei maggiori media USA da parte di Israele. Valuti il lettore se e quanto sia plausibile…
Conclusione: volevo essere breve ma non ci sono riuscito...
Nota (*1): non so se sia vero ma il giorno dopo, a mio avviso con molta ironia, fonti ufficiali messicane avrebbero smentito di tenere chiuso il confine con la Striscia di Gaza!
1.
La morte in carcere di Navalny. Capisco che, come la Russia, anche l’Occidente voglia fare propaganda: ma è così difficile inventarsela che abbia senso?
Navalny, secondo l’Occidente, il grande oppositore politico di Putin (a me risulta che al suo massimo avesse il 2% dei consensi ma non importa: fingiamo che avesse il 20% o, come sostengono i nostri media, il 200%) è in carcere. Le elezioni russe saranno fra un mese circa, Navalny in carcere, che pericolo politico rappresenta per Putin? Zero. Che bisogno aveva di farlo uccidere? Nessuno.
E come è morto Navalny? Secondo i media Occidentali è stato ucciso con un pugno al cuore tipico, non dei monaci Shaolin o forse dei vulcaniani come pensavo io, ma del KGB! Questa è per i nostri media la prova provata che è stato Putin (forse in persona?) a ucciderlo perché egli era, negli anni ‘90, un colonnello del KGB.
Onestamente non so quale sia la fonte che abbia divulgato la causa della morte ma: a. se è una fonte russa ufficiale perché non comunicare una causa diversa? Qualcosa che non incolpasse il KGB intendo? b. se non è ufficiale, che attendibilità ha? Scarsa o nulla a mio avviso.
Ma non è questo il problema: diciamo che Putin, in uno dei suoi attacchi di “follia mattutina”, abbia telefonato al KGB dando l’ordine di uccidere l’oppositore che non poteva opporsi a nulla perché già in carcere.
Perché il KGB avrebbe dovuto ucciderlo utilizzando la propria “firma”, ovvero il temibile “pugno al cuore”? Perché, approfittando che la vittima si trovasse in carcere, non farla morire in una rissa fra detenuti con tanto di filmato video con le guardie che non arrivano in tempo e l’omicida da mostrare all’occidente? Magari poi la Russia avrebbe avuto gioco facile, in un processo farsa ovviamente, a diffondere squallide voci su traffici illeciti di Navalny…
Oppure perché non fare come i maestri, come la CIA intendo, con Epstin? Che, morto soffocato, si appese poi a un cappio nella propria cella. Non poteva il KGB organizzare qualcosa di simile? No, il pugno al cuore è più spettacolare…
Insomma, riassumendo, le mie obiezioni sono due:
A. Navalny, in carcere, non rappresentava alcun pericolo per Putin che non aveva quindi alcun motivo di farlo uccidere.
B. Se proprio lo si fosse voluto uccidere in carcere (che dovrebbe rendere tutto più facile) perché non inscenare, per esempio, un suicidio o una rissa fra detenuti per prevenire le prevedibili narrative occidentali “ha stato Putin”?
Ah già! i media avranno spiegato queste contraddizioni logiche con la solita motivazione: “Putin è pazzo”…
E a proposito di pazzi:
2.
Premetto che questo è un mio sospetto a cui nessuna delle mie fonti ha fatto cenno: insomma tutta farina del mio sacco!
Avete notato cosa successe, forse una decina di giorni fa, all’indomani del proscioglimento di Biden dall’accusa di aver dimenticato nella propria autorimessa dei documenti segreti riservati non perché non avesse compiuto il fatto ma perché, secondo il procuratore, la giuria avrebbe avuto pietà di un anziano non più in sé e non lo avrebbe condannato?
Il giorno dopo (o la sera stessa, non ricordo) Biden piuttosto scocciato fece una conferenza stampa, per dire che lui è completamente lucido, ma però confuse l’Egitto con il Messico (per esempio: VEDI QUI) (*1)!
Ecco, il giorno seguente, anche i grossi quotidiani statunitensi ventilarono piuttosto chiaramente il “sospetto” dell’incapacità mentale del presidente USA.
Io pensai di scriverci un pezzo per dire come, con un anno e passa di ritardo su quanto scrivo qui sul ghiribizzo, anche i media americani si erano finalmente accorti che il re, anzi il presidente, è nudo. Ma a questa “fiammata” di informazione non ci fu un seguito e i media americani (quelli importanti intendo) sembrarono essersi già “dimenticati” della loro recente “scoperta”…
Come io leggo il fatto, ovvero la mia teoria di complotto.
Come forse saprete quest’anno in autunno vi saranno le elezioni presidenziali negli USA e Biden è, almeno al momento, il candidato democratico. Prevedibilmente Biden vuole essere rieletto, magari sfruttando il fatto di essere un Presidente in guerra (che storicamente compatta gli elettori sul presidente in carica), ma al momento ha un grosso problema (beh, più di uno in verità!): il “sospetto” genocidio nella striscia di Gaza a opera dell’esercito israeliano.
Soprattutto i giovani americani sono contro il pugno duro d’Israele e, sebbene anche Trump abbia detto di supportare Tel Aviv, sembrano decisi a voler che Biden perda. Lo stesso vale per le comunità musulmane negli USA.
Biden vorrebbe quindi che la guerra di Israele finisse il più presto possibile perché gli fa perdere consensi (e già non è in vantaggio): non escludo quindi che abbia effettivamente cercato di fare pressioni su Netanyahu per farla cessare. Paradossalmente gli USA avrebbero la forza per ordinare a Israele di sospendere le ostilità perché i suoi aiuti militari e bellici sono indispensabili per proseguirle ma deve invece limitarsi a chiedere perché l’influenza della lobbi israeliana è estremamente forte.
Io credo quindi che Biden avesse effettivamente provato a fare la voce grossa con Netanyahu ma che questo, in risposta, avesse fatto una telefonata ordinando ai media di dare un “avvertimento” a Biden: qualcosa tipo “se non continui ad appoggiarci al 100% noi ti stronchiamo la campagna elettorale”.
In questo senso leggo le illazioni sulle capacità mentali del presidente USA improvvisamente giunte alla ribalta per essere poi subitamente riposte nel cassetto (da cui però possono riuscire in qualsiasi momento).
Ovviamente questa è solo una mia teoria ma una verifica potrebbe essere possibile: se Israele la combinerà grossa, Biden potrebbe decidere “per mostrarsi forte” di protestare vigorosamente con Netanyahu. In questo caso la stampa USA potrebbe riprendere, sempre toccata e fuga però, l’argomento della salute mentale del presidente. “Toccata e fuga” perché se Biden si rendesse conto di aver perso le elezioni potrebbe decidere di vendicarsi bloccando armi e denaro a Israele. Per questo mi aspetto che dopo il “bastone” vi sarebbe la “carota” e gli stessi media che avevano attaccato Biden il giorno successivo “bastonerebbero” Trump per dimostrare al presidente in carica che, come possono fargli perdere le elezioni, possono anche fargliele vincere...
La debolezza di questa mia teoria è ovviamente il controllo che presume quasi totale dei maggiori media USA da parte di Israele. Valuti il lettore se e quanto sia plausibile…
Conclusione: volevo essere breve ma non ci sono riuscito...
Nota (*1): non so se sia vero ma il giorno dopo, a mio avviso con molta ironia, fonti ufficiali messicane avrebbero smentito di tenere chiuso il confine con la Striscia di Gaza!
giovedì 22 febbraio 2024
Non dire gatto...
Da ieri (v. il corto Accidenti ai leoni e agli gnu) mi era rimasta la voglia di risolvere un rompicapo decente!
Oggi non avevo molto tempo perché alle 16:00 avevo un appuntamento dal dentista (una tragedia: ne scriverò in seguito!) così sono uscito di corsa dopo pranzo prendendo la bicicletta per raggiungere il centro e da lì procedere a piedi. Questi rompicapi infatti li posso affrontare solo mentre cammino perché con la bici sarebbero una distrazione troppo pericolosa…
Prima di partire mi sono cercato un nuovo problema: ci sono cinque sacchi, tutti in fila e numerati da 1 a 5, e un gatto che dorme ogni notte in un sacco diverso. Però si sposta solo in un sacco adiacente: cioè se dorme nel sacco 3 il giorno dopo potrà dormire solo nel 2 o nel 4; se dorme nel 5 il giorno dopo dormirà per forza nel 4.
La domanda è trovare un procedimento per individuare il gatto, sempre che sia possibile!
Dunque, dicevo, arrivato sui viali ho lasciato la bici e mi sono addentrato in centro a piedi pensando al problema. Per prima cosa mi sono ricordato che lo avevo già risolto qualche anno fa!
Questo in verità non mi ha aiutato perché ripetutamente, invece di concentrarmi su come risolverlo, mi distraevo involontariamente a tentare di ricordare come avevo fatto (senza riuscirci!). Insomma il sapere di averlo già risolto era più una distrazione che un aiuto…
La seconda cosa che mi è venuta in mente è che il gatto passa dai sacchi dispari ai pari e viceversa. Non mi sembrava di aver usato questo dato quando lo risolsi anni fa ma, avendo ormai fatto vari rompicapi, ho iniziato a notare subito questo tipo di dettagli…
Dopo poco però ho preso un gelato: ho continuato a mangiare camminando ma, anche qui per motivi di sicurezza, ho smesso di pensarci: da bambino rimasi traumatizzato quando mi cascò a terra il gelato dal cono e da allora ci sto particolarmente attento!
Sono poi arrivato al mercato delle pulci (dove mi sono affrettato a finire il gelato per non avere distrazioni) e mi sono messo a cercare il DVD o de “Il nome della rosa” o de “Il silenzio degli innocenti”: ho trovato il secondo che ho pagato 3€…
Sulla via del ritorno ho continuato a pensare pochissimo al problema ma piuttosto a come sistemare il DVD sulla bici. Come se non bastasse mi sono fermato anche ad assaggiare la schiacciata di un locale che mi era parso allettante…
Ritornato in bici non ci ho più pensato. Poi sono andato dal dentista dove ho aspettato tantissimo ma mi ero portato un libro da leggere.
Tornato a casa ero però molto agitato e così ho deciso di addolcire il mio dolore per le grane dentistiche andando a comprare delle caramelle di zucchero dette “ginevrine”. Però ci sono andato in bici fermandomi a 5-10 minuti di distanza dal negozio di caramelle. Comunque ho ripensato al rompicapo ma senza fare progressi.
Stasera ho scoperto di essere senza cena e così sono riuscito per andare a prendermi un kebab a un negozietto a 10 minuti di distanza. Sulla via del ritorno mi sono ricordato del rompicapo.
SCIUPATRAMA
Per prima cosa ho provato a semplificarlo: cosa succede se le scatole fossero solo 3? basterebbe controllare due volte di seguito la scatola 2 e al massimo al secondo tentativo vi troveremo il gatto.
Però già passando a 4 scatole non vedevo come fare progressi.
Ho notato che la cosa più difficile di questi problemi è staccarsi dall’ipotesi su cui stiamo lavorando per provarne una totalmente nuova: non so, per me è proprio uno sforza significativo.
Però, quando ormai ero vicino a casa, ci ho provato e sono tornato a pensare a come sfruttare l’idea che il gatto passa dalle scatole dispari a quelle pari e viceversa. Mi sono detto se controllo tutte le dispari al turno dispari e le pari al turno pari forse riesco a individuarlo? Ci ho pensato un po’ (perché infatti l’idea se non vi sembra chiara è perché non lo è!) e poi mi sono detto: “il gatto inizialmente può essere o in una scatola dispari o in una pari: supponiamo quindi che al primo turno sia in una scatola dispari…”
In questa ipotesi il gatto sarà o nella scatola 1, 3 o 5.
Controllo la scatola 1: se c’è ho finito, se non c’è al turno 2 sarà in una scatola pari (o la 2 o la 4).
Al secondo turno controllo la 2: se c’è ho finito, se non c’è allora era alla 4. Al terzo turno sarà quindi o nella scatola 3 o nella 5.
Al terzo turno controllo la scatola 3: se c’è ho finito, se non c’è allora era nella 5 (e al turno successivo tornerà per forza nella 4).
Al quarto turno controllo quindi la scatola 4: se c’è ho finito altrimenti significa che l’ipotesi iniziale, il gatto al primo turno in una scatola dispari era errata. Se l’ipotesi iniziale era errata allora significa che adesso il gatto è in una scatola dispari anziché pari e che quindi al quinto turno andrà in una scatola pari (o la 2 o la 4).
Al quinto turno controllo la scatola 2: se c’è ho finito altrimenti significa che era nella scatola 4 e che si sposterà nella 3 o nella 5.
Al sesto turno controllo quindi la scatola 3: se c’è ho finito, se non c’è allora era nella 5 e al turno successivo tornerà nella 4.
Al settimo turno apro la scatola 4 e sicuramente vi trovo il gatto…
Una volta trovata l’idea giusta questa soluzione l’ho pensata in pochi secondi, diciamo un minuto. Ma è sempre così: il problema è avere l’intuizione giusta, poi con quella è facile risolvere ogni problema…
Mi chiedo se sia possibile trovare una soluzione più veloce: però il problema non chiedeva di trovare la soluzione ottimale e io sono troppo pigro per cercare una soluzione non richiesta!
La sequenza di scatole da aprire è quindi:
1
2
3
4
2
3
4
Stona quell’1 iniziale… Mi chiedo se ipotizzando che il gatto sia inizialmente in una scatola pari si riesca a guadagnare un turno, vediamo:
2
3
4 allora è in dispari, quindi
2
3
4
Sì, sembrerebbe possibile risolvere il rompicapo in 6 turni nel caso peggiore!
Conclusione: un rompicapo carino!
PS: ecco il video da cui ho preso il problema: How To Solve The Hiding Cat Puzzle - Microsoft Interview Riddle
Oggi non avevo molto tempo perché alle 16:00 avevo un appuntamento dal dentista (una tragedia: ne scriverò in seguito!) così sono uscito di corsa dopo pranzo prendendo la bicicletta per raggiungere il centro e da lì procedere a piedi. Questi rompicapi infatti li posso affrontare solo mentre cammino perché con la bici sarebbero una distrazione troppo pericolosa…
Prima di partire mi sono cercato un nuovo problema: ci sono cinque sacchi, tutti in fila e numerati da 1 a 5, e un gatto che dorme ogni notte in un sacco diverso. Però si sposta solo in un sacco adiacente: cioè se dorme nel sacco 3 il giorno dopo potrà dormire solo nel 2 o nel 4; se dorme nel 5 il giorno dopo dormirà per forza nel 4.
La domanda è trovare un procedimento per individuare il gatto, sempre che sia possibile!
Dunque, dicevo, arrivato sui viali ho lasciato la bici e mi sono addentrato in centro a piedi pensando al problema. Per prima cosa mi sono ricordato che lo avevo già risolto qualche anno fa!
Questo in verità non mi ha aiutato perché ripetutamente, invece di concentrarmi su come risolverlo, mi distraevo involontariamente a tentare di ricordare come avevo fatto (senza riuscirci!). Insomma il sapere di averlo già risolto era più una distrazione che un aiuto…
La seconda cosa che mi è venuta in mente è che il gatto passa dai sacchi dispari ai pari e viceversa. Non mi sembrava di aver usato questo dato quando lo risolsi anni fa ma, avendo ormai fatto vari rompicapi, ho iniziato a notare subito questo tipo di dettagli…
Dopo poco però ho preso un gelato: ho continuato a mangiare camminando ma, anche qui per motivi di sicurezza, ho smesso di pensarci: da bambino rimasi traumatizzato quando mi cascò a terra il gelato dal cono e da allora ci sto particolarmente attento!
Sono poi arrivato al mercato delle pulci (dove mi sono affrettato a finire il gelato per non avere distrazioni) e mi sono messo a cercare il DVD o de “Il nome della rosa” o de “Il silenzio degli innocenti”: ho trovato il secondo che ho pagato 3€…
Sulla via del ritorno ho continuato a pensare pochissimo al problema ma piuttosto a come sistemare il DVD sulla bici. Come se non bastasse mi sono fermato anche ad assaggiare la schiacciata di un locale che mi era parso allettante…
Ritornato in bici non ci ho più pensato. Poi sono andato dal dentista dove ho aspettato tantissimo ma mi ero portato un libro da leggere.
Tornato a casa ero però molto agitato e così ho deciso di addolcire il mio dolore per le grane dentistiche andando a comprare delle caramelle di zucchero dette “ginevrine”. Però ci sono andato in bici fermandomi a 5-10 minuti di distanza dal negozio di caramelle. Comunque ho ripensato al rompicapo ma senza fare progressi.
Stasera ho scoperto di essere senza cena e così sono riuscito per andare a prendermi un kebab a un negozietto a 10 minuti di distanza. Sulla via del ritorno mi sono ricordato del rompicapo.
SCIUPATRAMA
Per prima cosa ho provato a semplificarlo: cosa succede se le scatole fossero solo 3? basterebbe controllare due volte di seguito la scatola 2 e al massimo al secondo tentativo vi troveremo il gatto.
Però già passando a 4 scatole non vedevo come fare progressi.
Ho notato che la cosa più difficile di questi problemi è staccarsi dall’ipotesi su cui stiamo lavorando per provarne una totalmente nuova: non so, per me è proprio uno sforza significativo.
Però, quando ormai ero vicino a casa, ci ho provato e sono tornato a pensare a come sfruttare l’idea che il gatto passa dalle scatole dispari a quelle pari e viceversa. Mi sono detto se controllo tutte le dispari al turno dispari e le pari al turno pari forse riesco a individuarlo? Ci ho pensato un po’ (perché infatti l’idea se non vi sembra chiara è perché non lo è!) e poi mi sono detto: “il gatto inizialmente può essere o in una scatola dispari o in una pari: supponiamo quindi che al primo turno sia in una scatola dispari…”
In questa ipotesi il gatto sarà o nella scatola 1, 3 o 5.
Controllo la scatola 1: se c’è ho finito, se non c’è al turno 2 sarà in una scatola pari (o la 2 o la 4).
Al secondo turno controllo la 2: se c’è ho finito, se non c’è allora era alla 4. Al terzo turno sarà quindi o nella scatola 3 o nella 5.
Al terzo turno controllo la scatola 3: se c’è ho finito, se non c’è allora era nella 5 (e al turno successivo tornerà per forza nella 4).
Al quarto turno controllo quindi la scatola 4: se c’è ho finito altrimenti significa che l’ipotesi iniziale, il gatto al primo turno in una scatola dispari era errata. Se l’ipotesi iniziale era errata allora significa che adesso il gatto è in una scatola dispari anziché pari e che quindi al quinto turno andrà in una scatola pari (o la 2 o la 4).
Al quinto turno controllo la scatola 2: se c’è ho finito altrimenti significa che era nella scatola 4 e che si sposterà nella 3 o nella 5.
Al sesto turno controllo quindi la scatola 3: se c’è ho finito, se non c’è allora era nella 5 e al turno successivo tornerà nella 4.
Al settimo turno apro la scatola 4 e sicuramente vi trovo il gatto…
Una volta trovata l’idea giusta questa soluzione l’ho pensata in pochi secondi, diciamo un minuto. Ma è sempre così: il problema è avere l’intuizione giusta, poi con quella è facile risolvere ogni problema…
Mi chiedo se sia possibile trovare una soluzione più veloce: però il problema non chiedeva di trovare la soluzione ottimale e io sono troppo pigro per cercare una soluzione non richiesta!
La sequenza di scatole da aprire è quindi:
1
2
3
4
2
3
4
Stona quell’1 iniziale… Mi chiedo se ipotizzando che il gatto sia inizialmente in una scatola pari si riesca a guadagnare un turno, vediamo:
2
3
4 allora è in dispari, quindi
2
3
4
Sì, sembrerebbe possibile risolvere il rompicapo in 6 turni nel caso peggiore!
Conclusione: un rompicapo carino!
PS: ecco il video da cui ho preso il problema: How To Solve The Hiding Cat Puzzle - Microsoft Interview Riddle
mercoledì 21 febbraio 2024
Accidenti ai leoni e agli gnu!
Che rabbia quando esco per una passeggiata e scopro che il rompicapo che mi sono portato dietro è troppo facile!
Questo mi succede anche perché appena finisco di leggere il testo del problema smetto immediatamente di pensarci per gustarmelo poi con calma mentre cammino…
Il problema era: 3 gnu e 3 leoni devono attraversare un fiume (infestato da coccodrilli) con una zattera. La zattera può trasportare due animali e uno di questi è sempre necessario per guidarla da una parte all’altra. Il problema è che se i leoni sono in maggioranza su un lato del fiume (compresi gli animali sulla barca) allora l’istinto prende il sopravvento e i leoni sbranano gli gnu. Come portare tutti gli animali dall'altro lato del fiume senza che nessun gnu sia sbranato?
Appena ho iniziato a pensarci mi sono accorto che era banale: bastava provare le varie combinazioni possibili senza perdere tempo a ragionarci.
SCIUPATRAMA
Ecco la mia soluzione:
Sponda Sx. - Fiume – Sponda Dx.
. - . - LLLGGG
. - ←LL – LGGG
L – L→ – LGGG
L - ←LL – GGG
LL – L → - GGG
LL - ←GG – LG
LG - LG→ - LG
LG - ←GG – LL
GGG - L→ - LL
etc.
Quanto ci avrò messo? Bo, qualche minuto mentre disgustato provavo le varie combinazioni e ricontrollando il tutto due o tre volte: poi mi sono annoiato per il resto della passeggiata...
Risposte ai commenti - 22/2/2024
Prima notte cattiva ma non terribile: ho dormito dalle 00:00 alle 3:00 e dalle 5:00 alle 8:00…
Stamani non posso dedicarmi molto al ghiribizzo ma nel frattempo, visto che i commenti aumentano più velocemente di quanto riesca a smaltirli, ho deciso di rispondere non secondo un banale ordine cronologico ma per utente. Se ho 12 commenti di A, 2 di B e 1 di C risponderò a uno di ciascuno di essi passando a 11 di A, 1 di B e 0 C. La volta successiva risponderò a 1 di A e 1 di B e, in seguito, mi dedicherò ai commenti di A (gli unici rimasti).
In questa maniera penalizzo un po’ (i commenti di altri utenti sono abbastanza rari e quindi riceverà le mie risposte con un ritardo complessivamente lieve, ipotizzo un 10% circa) A ma salvaguardo tutti gli altri utenti che magari mi commentano raramente.
Un possibile problema è quello di confondere insieme commenti anonimi di autori diversi: suppongo che occasionalmente potrebbe accadere ma mi piace lasciare aperta la possibilità di commentare anche a chi non vuole avere un proprio profilo su queste piattaforme...
Video interessante su guerra in Ucraina - 26/2/2024
Una video “conferenza” sullo stato delle guerra in Ucraina a quattro voci:
1. Defense Politics Asia – è il conduttore; inglese scadente; normalmente pubblica quotidianamente aggiornamenti fattuali (aggiornando la situazione solo quando vi sono video di conferma) sull’evoluzione del fronte; vorrebbe essere neutrale ma si vede che tifa per la Russia; lo considero Neutrale-Filorusso.
2. HistoryLegends – è ospite; pubblica settimanalmente video sulla guerra in Ucraina ma non solo; seguitissimo e citato anche dai media ufficiali; direi Neutrale.
3. WillyOAM – è ospite; un australiano che, oltre agli aggiornamenti quotidiani, fa delle belle interviste a soldati di ambo le parti. Decisamente Neutrale-Filoucraino.
4. Wild Siberia – è ospite; questo non lo conosco: si è presentato dicendo che è un ex militare che da un paio di anni vive in Russia. A occhio mi pare Filorusso.
Lo sto ascoltando in diretta: per adesso niente di eccezionale ma dà una buona panoramica...
Dimenticavo il video! Eccolo: [ Super Panel ] HistoryLegends, WillyOAM & Wild Siberia - 2 Year of War in Ukraine - DPA
1. L’inizio: qua e là - 1/3/2024
Finalmente mi sono deciso a pubblicare il mio romanzo erotico/comico/fantascientifico su un nuovo ghiribizzo: Strabuccino Noccioloduro.
Come deciso lo pubblicherò a puntate, non so con quale cadenza e qui mi divertirò a raccontare qualche “dietro le quinte”.
La prima puntata “1. L’inizio: qua e là” non mi convince molto in realtà: non sono bravo a rompere il ghiaccio e i paragrafi iniziali mi sembrano un po’ legnosi. Come se non bastasse aggiunsi a posteriori la presentazione di molti personaggi dal punto di vista del colonnello, uno dei protagonisti secondari. Cercai di rendere queste “introduzioni” leggere ma un po’ di forzato secondo me si avverte.
Una dei quattro protagonisti, in questa prima puntata poco più che menzionata, è invece la Dottoressa Lily Ruth Saltenberger Raden von Krausslofter: inizialmente doveva rimanere semplicemente un personaggio di sfondo a cui dedicare qualche scenetta ma poi mi sono “affezionato” e nella seconda parte acquista grande spessore: bellissima la sua storia d’amore che evolverà, anche psicologicamente, per tutto il romanzo… più o meno…
Inutile dirlo ma l’altro protagonista è invece Strabuccinator T-799 che si presenta sulla scena come il suo omofono più famoso T-800 interpretato da Shwarzenegger.
La storia, soprattutto nelle prime 20 puntate o giù di lì, sembrerà abbastanza confusa ma in realtà ho costruito la trama con grande attenzione e ogni stranezza sarà giustificata.
Per poter inserire qualche battuta ho dovuto introdurre il personaggio del piccolo Timmy ma posso già annunciare che quando il gioco inizierà a “farsi duro” lui non sarà presente (mi sembra dal dentista oppure malato ma con la giustificazione della mamma): insomma nessun minore, neppure di fantasia, ha un ruolo attivo nel racconto...
Ah! Tanto per essere chiari: SCONSIGLIO a tutti di leggere questo romanzo a puntate (ehm… appena 94)...
Sondaggi - 3/3/2024
Mi sono imbattuto in un grafico che riporta tre sondaggi sullo stesso argomento fatti in Francia nel 1945, nel 1994 e nel 2004. La domanda è: “Qual è secondo voi la nazione che ha contribuito maggiormente alla sconfitta della Germania nel 1945?”
Nel 1945:
- URSS: 57%
- USA: 20%
- UK: 12%
Nel 1994:
- URSS: 25%
- USA: 49%
- UK: 16%
Nel 2004:
- URSS: 20%
- USA: 58%
- UK: 16%
Cercando in Rete ho trovato che, nel 1944, le forze tedesche erano così impegnate nei diversi fronti:
- sul fronte orientale: 3.878.000 (49%)
- in Europa occidentale: 1.873.000 (24%)
- In Italia: 961.000 (12%)
- nei Balcani (contro i sovietici): 826.000 (11%)
- e infine in Norvegia e Danimarca: 311.000 (4%)
Da questi numeri appare chiaro che il ruolo maggiore nella sconfitta della Germania lo ebbe l’URSS. E tutto sommato le percentuali del sondaggio del 1945 li riflettono abbastanza bene.
Poi, evidentemente, nei decenni successivi deve essere accaduto qualcosa che ha sostanzialmente modificato tale percezione.
Personalmente ho in mente le pellicole di guerra: quando ero ragazzino il 99% di queste raccontavano la guerra dalla parte degli USA con i loro alleati inglesi e la partecipazione straordinaria dei francesi.
Penso che fu solo al liceo che l’insegnante di storia ci spiegò che il grosso delle truppe tedesche, e anche le più esperte e meglio equipaggiate, erano sul fronte orientale!
Questo mi succede anche perché appena finisco di leggere il testo del problema smetto immediatamente di pensarci per gustarmelo poi con calma mentre cammino…
Il problema era: 3 gnu e 3 leoni devono attraversare un fiume (infestato da coccodrilli) con una zattera. La zattera può trasportare due animali e uno di questi è sempre necessario per guidarla da una parte all’altra. Il problema è che se i leoni sono in maggioranza su un lato del fiume (compresi gli animali sulla barca) allora l’istinto prende il sopravvento e i leoni sbranano gli gnu. Come portare tutti gli animali dall'altro lato del fiume senza che nessun gnu sia sbranato?
Appena ho iniziato a pensarci mi sono accorto che era banale: bastava provare le varie combinazioni possibili senza perdere tempo a ragionarci.
SCIUPATRAMA
Ecco la mia soluzione:
Sponda Sx. - Fiume – Sponda Dx.
. - . - LLLGGG
. - ←LL – LGGG
L – L→ – LGGG
L - ←LL – GGG
LL – L → - GGG
LL - ←GG – LG
LG - LG→ - LG
LG - ←GG – LL
GGG - L→ - LL
etc.
Quanto ci avrò messo? Bo, qualche minuto mentre disgustato provavo le varie combinazioni e ricontrollando il tutto due o tre volte: poi mi sono annoiato per il resto della passeggiata...
Risposte ai commenti - 22/2/2024
Prima notte cattiva ma non terribile: ho dormito dalle 00:00 alle 3:00 e dalle 5:00 alle 8:00…
Stamani non posso dedicarmi molto al ghiribizzo ma nel frattempo, visto che i commenti aumentano più velocemente di quanto riesca a smaltirli, ho deciso di rispondere non secondo un banale ordine cronologico ma per utente. Se ho 12 commenti di A, 2 di B e 1 di C risponderò a uno di ciascuno di essi passando a 11 di A, 1 di B e 0 C. La volta successiva risponderò a 1 di A e 1 di B e, in seguito, mi dedicherò ai commenti di A (gli unici rimasti).
In questa maniera penalizzo un po’ (i commenti di altri utenti sono abbastanza rari e quindi riceverà le mie risposte con un ritardo complessivamente lieve, ipotizzo un 10% circa) A ma salvaguardo tutti gli altri utenti che magari mi commentano raramente.
Un possibile problema è quello di confondere insieme commenti anonimi di autori diversi: suppongo che occasionalmente potrebbe accadere ma mi piace lasciare aperta la possibilità di commentare anche a chi non vuole avere un proprio profilo su queste piattaforme...
Video interessante su guerra in Ucraina - 26/2/2024
Una video “conferenza” sullo stato delle guerra in Ucraina a quattro voci:
1. Defense Politics Asia – è il conduttore; inglese scadente; normalmente pubblica quotidianamente aggiornamenti fattuali (aggiornando la situazione solo quando vi sono video di conferma) sull’evoluzione del fronte; vorrebbe essere neutrale ma si vede che tifa per la Russia; lo considero Neutrale-Filorusso.
2. HistoryLegends – è ospite; pubblica settimanalmente video sulla guerra in Ucraina ma non solo; seguitissimo e citato anche dai media ufficiali; direi Neutrale.
3. WillyOAM – è ospite; un australiano che, oltre agli aggiornamenti quotidiani, fa delle belle interviste a soldati di ambo le parti. Decisamente Neutrale-Filoucraino.
4. Wild Siberia – è ospite; questo non lo conosco: si è presentato dicendo che è un ex militare che da un paio di anni vive in Russia. A occhio mi pare Filorusso.
Lo sto ascoltando in diretta: per adesso niente di eccezionale ma dà una buona panoramica...
Dimenticavo il video! Eccolo: [ Super Panel ] HistoryLegends, WillyOAM & Wild Siberia - 2 Year of War in Ukraine - DPA
1. L’inizio: qua e là - 1/3/2024
Finalmente mi sono deciso a pubblicare il mio romanzo erotico/comico/fantascientifico su un nuovo ghiribizzo: Strabuccino Noccioloduro.
Come deciso lo pubblicherò a puntate, non so con quale cadenza e qui mi divertirò a raccontare qualche “dietro le quinte”.
La prima puntata “1. L’inizio: qua e là” non mi convince molto in realtà: non sono bravo a rompere il ghiaccio e i paragrafi iniziali mi sembrano un po’ legnosi. Come se non bastasse aggiunsi a posteriori la presentazione di molti personaggi dal punto di vista del colonnello, uno dei protagonisti secondari. Cercai di rendere queste “introduzioni” leggere ma un po’ di forzato secondo me si avverte.
Una dei quattro protagonisti, in questa prima puntata poco più che menzionata, è invece la Dottoressa Lily Ruth Saltenberger Raden von Krausslofter: inizialmente doveva rimanere semplicemente un personaggio di sfondo a cui dedicare qualche scenetta ma poi mi sono “affezionato” e nella seconda parte acquista grande spessore: bellissima la sua storia d’amore che evolverà, anche psicologicamente, per tutto il romanzo… più o meno…
Inutile dirlo ma l’altro protagonista è invece Strabuccinator T-799 che si presenta sulla scena come il suo omofono più famoso T-800 interpretato da Shwarzenegger.
La storia, soprattutto nelle prime 20 puntate o giù di lì, sembrerà abbastanza confusa ma in realtà ho costruito la trama con grande attenzione e ogni stranezza sarà giustificata.
Per poter inserire qualche battuta ho dovuto introdurre il personaggio del piccolo Timmy ma posso già annunciare che quando il gioco inizierà a “farsi duro” lui non sarà presente (mi sembra dal dentista oppure malato ma con la giustificazione della mamma): insomma nessun minore, neppure di fantasia, ha un ruolo attivo nel racconto...
Ah! Tanto per essere chiari: SCONSIGLIO a tutti di leggere questo romanzo a puntate (ehm… appena 94)...
Sondaggi - 3/3/2024
Mi sono imbattuto in un grafico che riporta tre sondaggi sullo stesso argomento fatti in Francia nel 1945, nel 1994 e nel 2004. La domanda è: “Qual è secondo voi la nazione che ha contribuito maggiormente alla sconfitta della Germania nel 1945?”
Nel 1945:
- URSS: 57%
- USA: 20%
- UK: 12%
Nel 1994:
- URSS: 25%
- USA: 49%
- UK: 16%
Nel 2004:
- URSS: 20%
- USA: 58%
- UK: 16%
Cercando in Rete ho trovato che, nel 1944, le forze tedesche erano così impegnate nei diversi fronti:
- sul fronte orientale: 3.878.000 (49%)
- in Europa occidentale: 1.873.000 (24%)
- In Italia: 961.000 (12%)
- nei Balcani (contro i sovietici): 826.000 (11%)
- e infine in Norvegia e Danimarca: 311.000 (4%)
Da questi numeri appare chiaro che il ruolo maggiore nella sconfitta della Germania lo ebbe l’URSS. E tutto sommato le percentuali del sondaggio del 1945 li riflettono abbastanza bene.
Poi, evidentemente, nei decenni successivi deve essere accaduto qualcosa che ha sostanzialmente modificato tale percezione.
Personalmente ho in mente le pellicole di guerra: quando ero ragazzino il 99% di queste raccontavano la guerra dalla parte degli USA con i loro alleati inglesi e la partecipazione straordinaria dei francesi.
Penso che fu solo al liceo che l’insegnante di storia ci spiegò che il grosso delle truppe tedesche, e anche le più esperte e meglio equipaggiate, erano sul fronte orientale!
Il "Giuoco" delle perle di vetro
Pezzo leggero oggi: sfortunatamente sono in partenza per tornare nel caos della città. Scrivo questo pezzo, lo pubblico e inizio a prepararmi per il viaggio…
Da qualche giorno ho iniziato un nuovo libro: “Il giuoco delle perle di vetro” di Hermann Hesse.
UUiC ne cita spesso le "castalie" e mi aveva incuriosito…
L’introduzione mi è piaciuta molto: si spiega cosa sia questo “giuoco”. È chiaro che l’autore non entrerà nei dettagli ma fa capire che si tratta di un meccanismo per ridurre la conoscenza in una forma simbolica visiva. E una volta così trasformata si possono vedere relazioni fra concetti di discipline diverse e la si può manipolare in maniera artistica arrivando a nuove teorie.
Un’idea apparentemente complicata ma con cui mi sono subito sentito a mio agio: non che fosse qualcosa a cui avevo già pensato ma questa idea di tradurre e racchiudere concetti complessi in immagini simboliche è ciò che normalmente si fa con Ti (la razionalità introversa) che è la funzione primaria degli INTP.
Per gioco mi ero quindi convinto che Hesse potesse essere un INTP: scrivo “per gioco” perché sono più che consapevole che basarsi su poche pagine, oltretutto di un romanzo, non è assolutamente sufficiente per avere dati affidabili. Lo so benissimo e, proprio per questo, questi tentativi di indovinare il tipo psicologico sono per me un gioco, un divertimento.
In subordine a INTP avevo poi ipotizzato INTJ: questo perché non ero sicuro che un INTP si sarebbe contentato di essere così vago con l’origine del “giuoco”…
In sub-subordine un **T* qualcosa...
Così sono andato a vedere sul mio sito, non affidabile, di riferimento e ho scoperto che Hesse è considerato un INFJ!
Ho trovato la cosa divertente (per aver confuso un F con un T: col senno di poi degli indizi c’erano!) ma anche interessante: i miei autori preferiti sono INTP ma poi vengono chiaramente gli INFJ (per esempio Rawls, Nietzsche, Anna Rice, l’autrice di Harry Potter etc.).
Tornando al libro ancora è presto (sarò intorno a pagina 80) per trarre conclusioni se non che al momento mi piace molto: finalmente un libro che non mi devo sforzare di leggere!
Al momento l’autore non ha descritto direttamente la “castalia” ma si intuisce che è una società di persone distaccata dal resto della popolazione: seguono regole piuttosto ascetiche e sono votate alla conoscenza e all’introspezione. Questo è strano perché UUiC gli dà un significato negativo mentre dal poco che ho letto sembrerebbe positiva…
Ipotizzo che un tema del libro sia proprio quello di mostrare questa organizzazione come apparentemente positiva per poi svelarne nel tempo i difetti via via più gravi: che non sia cioè proprio come si presenta ma ci sia qualcosa di marcio al suo interno.
Anche sul protagonista di cui viene narrata la storia: vi è un accenno all’incendio della sua scuola che ha fatto drizzare le mie antennine. Si specifica che lui “non vi ha assistito” ma vedremo nel prosieguo…
Qua e là belle frasi che condivido. Anche una potenziale epigrafe…
Magari quando avrò raccolto più materiale ci farò un pezzo a parte!
Conclusione: sì, lo so: pezzo modesto, ma sono di fretta e, anzi, già in ritardo...
Da qualche giorno ho iniziato un nuovo libro: “Il giuoco delle perle di vetro” di Hermann Hesse.
UUiC ne cita spesso le "castalie" e mi aveva incuriosito…
L’introduzione mi è piaciuta molto: si spiega cosa sia questo “giuoco”. È chiaro che l’autore non entrerà nei dettagli ma fa capire che si tratta di un meccanismo per ridurre la conoscenza in una forma simbolica visiva. E una volta così trasformata si possono vedere relazioni fra concetti di discipline diverse e la si può manipolare in maniera artistica arrivando a nuove teorie.
Un’idea apparentemente complicata ma con cui mi sono subito sentito a mio agio: non che fosse qualcosa a cui avevo già pensato ma questa idea di tradurre e racchiudere concetti complessi in immagini simboliche è ciò che normalmente si fa con Ti (la razionalità introversa) che è la funzione primaria degli INTP.
Per gioco mi ero quindi convinto che Hesse potesse essere un INTP: scrivo “per gioco” perché sono più che consapevole che basarsi su poche pagine, oltretutto di un romanzo, non è assolutamente sufficiente per avere dati affidabili. Lo so benissimo e, proprio per questo, questi tentativi di indovinare il tipo psicologico sono per me un gioco, un divertimento.
In subordine a INTP avevo poi ipotizzato INTJ: questo perché non ero sicuro che un INTP si sarebbe contentato di essere così vago con l’origine del “giuoco”…
In sub-subordine un **T* qualcosa...
Così sono andato a vedere sul mio sito, non affidabile, di riferimento e ho scoperto che Hesse è considerato un INFJ!
Ho trovato la cosa divertente (per aver confuso un F con un T: col senno di poi degli indizi c’erano!) ma anche interessante: i miei autori preferiti sono INTP ma poi vengono chiaramente gli INFJ (per esempio Rawls, Nietzsche, Anna Rice, l’autrice di Harry Potter etc.).
Tornando al libro ancora è presto (sarò intorno a pagina 80) per trarre conclusioni se non che al momento mi piace molto: finalmente un libro che non mi devo sforzare di leggere!
Al momento l’autore non ha descritto direttamente la “castalia” ma si intuisce che è una società di persone distaccata dal resto della popolazione: seguono regole piuttosto ascetiche e sono votate alla conoscenza e all’introspezione. Questo è strano perché UUiC gli dà un significato negativo mentre dal poco che ho letto sembrerebbe positiva…
Ipotizzo che un tema del libro sia proprio quello di mostrare questa organizzazione come apparentemente positiva per poi svelarne nel tempo i difetti via via più gravi: che non sia cioè proprio come si presenta ma ci sia qualcosa di marcio al suo interno.
Anche sul protagonista di cui viene narrata la storia: vi è un accenno all’incendio della sua scuola che ha fatto drizzare le mie antennine. Si specifica che lui “non vi ha assistito” ma vedremo nel prosieguo…
Qua e là belle frasi che condivido. Anche una potenziale epigrafe…
Magari quando avrò raccolto più materiale ci farò un pezzo a parte!
Conclusione: sì, lo so: pezzo modesto, ma sono di fretta e, anzi, già in ritardo...
martedì 20 febbraio 2024
Cinque condizioni
Non ne ho voglia ma devo scrivere un nuovo pezzo su Rogers: il problema è che non essendo un mio libro non posso aggiungere annotazioni a margine e quindi rischio di dimenticarmi rapidamente ciò che volevo invece memorizzare!
Per sicurezza, prima di iniziare questo articolo, ho controllato le ultime pagine lette e ho subito ricordato l’essenza di ciò che volevo scrivere.
Rogers ritorna sul problema dell’istruzione e sui principi psicologici che potrebbero favorirla; ovviamente i principi che ha in mente Rogers sono quelli che ha individuato come utili nella relazione fra dottore e paziente (basandosi non solo sulla propria esperienza ma anche sui risultati di ricerche altrui).
Come (forse) ho spiegato in passato il libro (“On becoming a person”) è una raccolta di materiale dell’autore scritto in epoche diverse. Sull’argomento infatti aveva già scritto (v. Insegnare e imparare dell’altra settimana) ma in questo capitolo riporto invece una sua ulteriore presentazione successiva di diversi anni in cui cambia leggermente prospettiva.
Ah! l’argomento in sé non mi sta particolarmente a cuore ma sono però curioso di trovarvi elementi utili per un altro problema: convincere altre persone delle proprie idee quando le sappiamo corrette e ne abbiamo le prove. Non un esercizio di sofistica quindi ma un caso molto specifico dove, l’ho già personalmente appurato, l’approccio logico e razionale di presentare all’altro dati e dimostrazioni semplicemente non funziona perché vi è un rifiuto psicologico nell’accettare una realtà che è in contrasto con quanto precedentemente si pensava e si affermava e che, proprio per questo, minerebbe la propria autostima. Ah! suppongo poi che l’interlocutore sia ragionevolmente aperto alla discussione, almeno a parole, e cerchi quindi di comprendere il nostro punto di vista: è chiaro infatti che chi già dentro di sé è convinto di essere assolutamente nel giusto sarà totalmente insensibile: le nostre parole gli entreranno da un orecchio e gli usciranno dall’altro!
Però, chiarificata così meglio l’essenza del problema, si nota subito una relazione ovvia: è impossibile far cambiare idea a un narcisista in quanto egli protegge più fortemente degli altri la propria autostima e per questo non ammetterebbe mai di essere in errore.
Ci tengo poi a precisare che questo mio interesse non ha niente a che vedere con ciò che scrivo in questo ghiribizzo (né sull’Epitome)! Qui non cerco di convincere gli altri delle mie idee ma mi limito a presentarle. Probabilmente rimasi sconcertato dalla mia esperienza di attivista nel M5S: la mia partecipazione al gruppo locale era per me solo un impegno morale a fare la “mia parte” per il bene di tutti ma non nutrivo speranza di poter incidere nel locale del nostro comune. Per questo motivo non ero particolarmente interessato a quanto veniva discusso perché comunque sarebbe stato ininfluente. Però almeno tre o quattro volte si verificarono delle situazioni in cui mi resi conto che il gruppo stava per prendere decisioni chiaramente sbagliate e mi impegnai per cercare di evidenziarne l’errore: nonostante i miei sforzi però non riuscii a far cambiare idea a nessuno…
A parte questa motivazione “personale” credo anche che sia importante comprendere questo fenomeno per capire meglio le reazioni della società e l’evoluzione delle sue tendenze.
Ma torniamo a Rogers!
In questo capitolo egli esplicitamente elenca gli elementi che portano a una relazione di successo fra terapeuta e paziente per riapplicarli all’istruzione. Così come una buona terapia è quella che porta a una modifica positiva del comportamento del paziente così una buona istruzione porta lo studente a fare proprie le nozioni che apprende: non quindi una sterile accumulazione di dati ma la loro comprensione profonda che implica la capacità di riutilizzarli in altri contesti.
1. Lo studente deve affrontare un problema.
Deve essere consapevole che ciò che impara sarà la chiave per risolverlo, che ciò che impara ha cioè una sua reale utilità.
2. Congruenza.
L’insegnante deve essere tutt'uno con le proprie emozioni: sia che sia felice o arrabbiato con i suoi studente queste sue emozioni dovranno trasparire. Non devono venire nascoste come se non esistessero.
3. Considerazione positiva incondizionata.
L’educatore deve avere una visione sempre positiva dei propri studenti: non solo quando fanno bene ma anche quando fanno male (o magari combinano una marachella!).
4. Comprensione empatica.
L’educatore non deve semplicemente essere in grado di capire le parole degli studenti ma anche le loro emozioni, anche ciò che non viene esplicitamente detto.
5. Consapevolezza negli studenti.
Gli studenti devono essere consapevoli che i punti 3 e 4 sono realizzati, ovvero che il loro insegnante li apprezza per ciò che sono e che li comprende pienamente.
Per me è sorprendente come fra questi punti non vi sia un accenno alla logica, alla necessità di spiegare in maniera piana le nuove informazioni e le relazioni fra le stesse. Capisco il punto 1 ma non i rimanenti quattro: mi sembra irrilevante per me…
Ma è davvero così?
Giorni fa ho cenato con un amico del liceo ed eravamo d’accordo che l’insegnante che più ci mancava (forse l’unico) era la professoressa G (v. La Prof G.). E con lei devo dire che anche i quattro punti (dal 2 al 5) elencati da Rogers erano abbastanza rispettati. Non sono sicuro della sua “comprensione empatica” (punto 4) né che noi studenti fossimo consapevoli di essere capiti e apprezzati (punto 5) ma forse era così a livello inconscio. Che mi apprezzasse (condizione 3) me lo fa pensare che quando andavo a parlarci mi accoglieva con un sorriso (per poi magari incazzarsi se la mia domanda era stupida): forse anche qui, a livello inconscio, ciò mi bastava per sentirmi apprezzato?
Di sicuro non nascondeva le proprie emozioni (punto 2): ci faceva regolarmente delle sfuriate terribili però era generalmente sorridente…
Non sono però sicuro di aver appreso più con lei che con altri insegnanti: ma in verità a me mancava la condizione 1, la consapevolezza dell’utilità di studiare vecchi (e nuovi) poeti e soprattutto del latino… quindi chissà...
C’è poi da ricordare l’obiezione che feci questa estate al metodo di Rogers (v. Mi vedo bene, grazie! e precedenti) in cui, secondo me, il suo meccanismo funzionava bene con specifiche psicologie ma non con tutte. Ipotesi del resto confermatami in seguito da Jung secondo il quale l’umanità è divisa in varie tipologie psicologiche spesso dalle tendenze contrapposte.
Quello che voglio dire è che questo metodo “empatico” di fare istruzione forse potrebbe funzionare bene con alcuni studenti ma non altrettanto con altri: io personalmente mi vedo apprezzare l’insegnante ma non imparare di più da esso.
Conclusione: poi Rogers passa ad approfondire le conseguenze delle sue cinque condizioni nel comportamento effettivo dell’insegnante con i suoi studenti: ma mi pare meno interessante e comunque ho già scritto abbastanza!
Per sicurezza, prima di iniziare questo articolo, ho controllato le ultime pagine lette e ho subito ricordato l’essenza di ciò che volevo scrivere.
Rogers ritorna sul problema dell’istruzione e sui principi psicologici che potrebbero favorirla; ovviamente i principi che ha in mente Rogers sono quelli che ha individuato come utili nella relazione fra dottore e paziente (basandosi non solo sulla propria esperienza ma anche sui risultati di ricerche altrui).
Come (forse) ho spiegato in passato il libro (“On becoming a person”) è una raccolta di materiale dell’autore scritto in epoche diverse. Sull’argomento infatti aveva già scritto (v. Insegnare e imparare dell’altra settimana) ma in questo capitolo riporto invece una sua ulteriore presentazione successiva di diversi anni in cui cambia leggermente prospettiva.
Ah! l’argomento in sé non mi sta particolarmente a cuore ma sono però curioso di trovarvi elementi utili per un altro problema: convincere altre persone delle proprie idee quando le sappiamo corrette e ne abbiamo le prove. Non un esercizio di sofistica quindi ma un caso molto specifico dove, l’ho già personalmente appurato, l’approccio logico e razionale di presentare all’altro dati e dimostrazioni semplicemente non funziona perché vi è un rifiuto psicologico nell’accettare una realtà che è in contrasto con quanto precedentemente si pensava e si affermava e che, proprio per questo, minerebbe la propria autostima. Ah! suppongo poi che l’interlocutore sia ragionevolmente aperto alla discussione, almeno a parole, e cerchi quindi di comprendere il nostro punto di vista: è chiaro infatti che chi già dentro di sé è convinto di essere assolutamente nel giusto sarà totalmente insensibile: le nostre parole gli entreranno da un orecchio e gli usciranno dall’altro!
Però, chiarificata così meglio l’essenza del problema, si nota subito una relazione ovvia: è impossibile far cambiare idea a un narcisista in quanto egli protegge più fortemente degli altri la propria autostima e per questo non ammetterebbe mai di essere in errore.
Ci tengo poi a precisare che questo mio interesse non ha niente a che vedere con ciò che scrivo in questo ghiribizzo (né sull’Epitome)! Qui non cerco di convincere gli altri delle mie idee ma mi limito a presentarle. Probabilmente rimasi sconcertato dalla mia esperienza di attivista nel M5S: la mia partecipazione al gruppo locale era per me solo un impegno morale a fare la “mia parte” per il bene di tutti ma non nutrivo speranza di poter incidere nel locale del nostro comune. Per questo motivo non ero particolarmente interessato a quanto veniva discusso perché comunque sarebbe stato ininfluente. Però almeno tre o quattro volte si verificarono delle situazioni in cui mi resi conto che il gruppo stava per prendere decisioni chiaramente sbagliate e mi impegnai per cercare di evidenziarne l’errore: nonostante i miei sforzi però non riuscii a far cambiare idea a nessuno…
A parte questa motivazione “personale” credo anche che sia importante comprendere questo fenomeno per capire meglio le reazioni della società e l’evoluzione delle sue tendenze.
Ma torniamo a Rogers!
In questo capitolo egli esplicitamente elenca gli elementi che portano a una relazione di successo fra terapeuta e paziente per riapplicarli all’istruzione. Così come una buona terapia è quella che porta a una modifica positiva del comportamento del paziente così una buona istruzione porta lo studente a fare proprie le nozioni che apprende: non quindi una sterile accumulazione di dati ma la loro comprensione profonda che implica la capacità di riutilizzarli in altri contesti.
1. Lo studente deve affrontare un problema.
Deve essere consapevole che ciò che impara sarà la chiave per risolverlo, che ciò che impara ha cioè una sua reale utilità.
2. Congruenza.
L’insegnante deve essere tutt'uno con le proprie emozioni: sia che sia felice o arrabbiato con i suoi studente queste sue emozioni dovranno trasparire. Non devono venire nascoste come se non esistessero.
3. Considerazione positiva incondizionata.
L’educatore deve avere una visione sempre positiva dei propri studenti: non solo quando fanno bene ma anche quando fanno male (o magari combinano una marachella!).
4. Comprensione empatica.
L’educatore non deve semplicemente essere in grado di capire le parole degli studenti ma anche le loro emozioni, anche ciò che non viene esplicitamente detto.
5. Consapevolezza negli studenti.
Gli studenti devono essere consapevoli che i punti 3 e 4 sono realizzati, ovvero che il loro insegnante li apprezza per ciò che sono e che li comprende pienamente.
Per me è sorprendente come fra questi punti non vi sia un accenno alla logica, alla necessità di spiegare in maniera piana le nuove informazioni e le relazioni fra le stesse. Capisco il punto 1 ma non i rimanenti quattro: mi sembra irrilevante per me…
Ma è davvero così?
Giorni fa ho cenato con un amico del liceo ed eravamo d’accordo che l’insegnante che più ci mancava (forse l’unico) era la professoressa G (v. La Prof G.). E con lei devo dire che anche i quattro punti (dal 2 al 5) elencati da Rogers erano abbastanza rispettati. Non sono sicuro della sua “comprensione empatica” (punto 4) né che noi studenti fossimo consapevoli di essere capiti e apprezzati (punto 5) ma forse era così a livello inconscio. Che mi apprezzasse (condizione 3) me lo fa pensare che quando andavo a parlarci mi accoglieva con un sorriso (per poi magari incazzarsi se la mia domanda era stupida): forse anche qui, a livello inconscio, ciò mi bastava per sentirmi apprezzato?
Di sicuro non nascondeva le proprie emozioni (punto 2): ci faceva regolarmente delle sfuriate terribili però era generalmente sorridente…
Non sono però sicuro di aver appreso più con lei che con altri insegnanti: ma in verità a me mancava la condizione 1, la consapevolezza dell’utilità di studiare vecchi (e nuovi) poeti e soprattutto del latino… quindi chissà...
C’è poi da ricordare l’obiezione che feci questa estate al metodo di Rogers (v. Mi vedo bene, grazie! e precedenti) in cui, secondo me, il suo meccanismo funzionava bene con specifiche psicologie ma non con tutte. Ipotesi del resto confermatami in seguito da Jung secondo il quale l’umanità è divisa in varie tipologie psicologiche spesso dalle tendenze contrapposte.
Quello che voglio dire è che questo metodo “empatico” di fare istruzione forse potrebbe funzionare bene con alcuni studenti ma non altrettanto con altri: io personalmente mi vedo apprezzare l’insegnante ma non imparare di più da esso.
Conclusione: poi Rogers passa ad approfondire le conseguenze delle sue cinque condizioni nel comportamento effettivo dell’insegnante con i suoi studenti: ma mi pare meno interessante e comunque ho già scritto abbastanza!
lunedì 19 febbraio 2024
Trotsky-Giovane
Siccome sono indietro con i pezzi da scrivere oggi ne comprimerò due insieme (sperando di riuscire a essere più sintetico del solito)…
Ho finito di leggere “La rivoluzione tradita” di Trotsky: eccezionale. Essenzialmente Trotsky era un’intelligenza notevole e straordinariamente lucida: la qualità del libro ne è una conseguenza.
Scritto nel 1936 vengono analizzati oggettivamente i difetti del regime comunista di Stalin che prese il potere negli anni successivi alla morte prematura di Lenin.
La conclusione di Trotsky, come si intuisce dal titolo, è che il regime comunista di Stalin abbia tradito i principi di Marx e Lenin per trasformarsi in una brutta copia, meno efficiente e capace, del capitalismo occidentale. La differenza importante, ma non sostanziale, è che al posto della borghesia si ha la burocrazia che, almeno in parte, si fonde col partito stesso.
Altro difetto è l’eliminazione della democrazia, e quindi della libertà di opinione e critica, all’interno del partito: questo porta con sé tutti i problemi del pensiero unico e, principalmente, di non rendersi conto dei propri errori.
Alla fine Trotsky non considera più l’URSS come un paese veramente socialista anche se continua a nutrire la speranza che lo possa diventare: col senno di poi si rischia di considerare Trotsky un po’ ingenuo perché incapace di giudicare la forza della repressione di Stalin e dell’indottrinamento della scuola come pure le convinzioni ideologiche dei comuni operai. Ma c’è da aggiungere che nutriva grande speranze nella forza innovatrice dei giovani: giustamente osserva che tale forza non può essere intrappolata e solo una valvola di sfogo come una guerra può alleviarne la pressione. Trotsky prevede anche la guerra con la Germania di Hitler ma, secondo me, ciò che era imprevedibile è il numero di morti che questa avrebbe provocato: si parla oggi di circa 20 milioni i morti. E questi morti sono soprattutto nella fascia di età in cui Trotsky riponeva le sue speranze.
Insomma la previsione dell’autore si è rivelata completamente sbagliata ma vi è stato un elemento imponderabile, il numero abnorme di morti provocati dalla guerra appunto, che non era possibile prevedere.
Meno interessanti le appendici con brevi saggi giovanili: spicca come la popolazione venga distinta fra “pensanti” e “non pensanti” di cui, prevedibilmente, i secondi sono la maggioranza (chiaramente non dà percentuali precise ma mi sembra di aver capito che ha in mente un rapporto di 1 a 10). Il popolo è quindi un potere che va controllato e non convinto: semplicemente la maggioranza delle persone non hanno gli strumenti culturali, mentali e (aggiungo io) psicologici per capire le sottigliezze di una ideologia: per questo il popolo va “nutrito” con slogan facilmente comprensibili e memorizzabili.
Molto attuale: anche oggi nella nostra democrazia degenerata la maggioranza del popolo viene facilmente controllata dall’influenza dei media: il potere agita il drappo rosso e il popolo viene subito aizzato contro il nemico di comodo…
Il libro è ottimo ma lo consiglio solo a chi abbia un interesse per la storia e la politica.
L’altro libro di cui volevo scrivere è invece “Tipi psicologici” di Jung.
Ho finito il capitolo pesantissimo su Schiller come pure il seguente su Nietzsche.
La mia critica a Jung è metodologica: invece di esporre le sue teorie, e solo successivamente confrontarle con le similitudini dei precedenti storici, l’autore si getta in analisi sottili e approfondite del pensiero di questi autori con però il lettore, che ancora non conosce la sua teoria, che rischia continuamente di confondersi a causa della terminologia variabile e del non sapere dove si voglia arrivare. Io fortunatamente un po’ me la cavo perché conosco le basi della teoria dei tipi di Meyer e Briggs che è fondata a sua volta sul lavoro di Jung.
In pratica nel primo capitolo Jung mostra come gli antichi avessero intuito la differenza fra introversione ed estroversione; successivamente come Schiller avesse intuito la differenza fra funzione razionale e funzione sentimento; poi come Nietzsche avesse intuito a differenza fra funzione di sensitività e funzione di intuizione.
Che poi, a parte forse il caso di Schiller, queste “intuizioni” mi sembrano estremamente forzate: è Jung che si dà da fare per vedervi analogie e similitudini ma a me sembrano piuttosto arbitrarie…
Comunque nel capitolo attuale, “4. Il problema dei tipi nella conoscenza degli uomini”, il pensiero di Jung inizia a essere più esplicito. In realtà anche qui imposta il tutto confrontandosi con un altro autore ma, trattandosi di uno psicologo a lui contemporaneo (Jordan), contesto e linguaggio sono psicologici: non si devono più seguire le sottili e impalpabili analogie intuite da Jung (*1).
Ma oggi mi hanno soprattutto colpito dei dettagli, delle profonde intuizioni a cui non avevo pensato e che mi sembrano corrette, oltretutto estremamente rivelanti della mia personalità (e, in vero, più o meno di quelle di tutti).
Jung riassume così il pensiero dello psicologo (tale Jordan) da cui ha preso spunto: «Chi osserva e giudica l’estroverso è portato a considerare i pensieri e i sentimenti affioranti come un tenue velo che ricopre solo imperfettamente una fredda e sottile intenzione personale. Chi cerca di comprendere l’introverso non potrà fare a meno di pensare che una violenta passione è a stento tenuta a freno da fittizi ragionamenti.» (*2)
Si tratta di affermazioni forti e nette ma in effetti talvolta mi è parso di percepire qualcosa del genere negli estroversi e, in me stesso, come introverso la “violenta passione” e i “fittizi ragionamenti”.
Ma vediamo come Jung spiega il tutto: «Entrambi i giudizi sono corretti ed errati a un tempo. Il giudizio è errato quando il punto di vista cosciente, la coscienza in genere è forte e in grado di opporre una resistenza nei riguardi dell’inconscio; ma è esatto quando il punto di vista cosciente debole si trova di fronte a un inconscio forte e deve, all’occasione, cedergli. In quest’ultima eventualità prorompe ciò che stava in fondo: nell’uno l’intenzione egoistica, nell’altro la passione sfrenata, l’affettività elementare che sfugge a qualsiasi considerazione.» (*2)
In altre parole la descrizione dei comportamenti degli estroversi e degli introversi è corretta quando in questi prevale l’inconscio (e prima o poi può accadere a tutti) ma in generale questo non è il caso.
Tanto tempo fa scrissi un pezzo in cui spiegavo che consideravo mio padre come completamente razionale e mia mamma come completamente irrazionale: mentre io a mia volta mi descrivevo come di natura al 90% emotiva e 10% razionale che però mi comportavo il 90% razionalmente e il 10% irrazionalmente (*3). Chiaramente mi piaceva l’inversione delle percentuali ma oggi, con una maggiore comprensione della psicologia e (forse) di me stesso, ritengo tali numeri decisamente eccessivi: ero io impressionato dalla forza delle mie passioni ma in realtà sottovalutavo la forza della mia razionalità! Forse oggi direi 35% emotivo e 65% razionale (*4).
Mi pare che in questa mia visione di me stesso, soprattutto sul comportamento, rifletta bene la teoria di Jung: in genere il mio conscio ha il controllo della situazione ma, occasionalmente, prevale l’inconscio con le sue passioni…
In seguito Jung aggiunge che per capire l’inconscio altrui si deve usare il proprio inconscio e questo corrisponde a usare la funzione dell’intuizione (*1).
Un altro frammento che mi sembra descriva bene le mie sensazioni giovanili (*3) e che, erroneamente, mi avevano fatto pensare di essere di natura emotiva (*4): «Quanto la sua [dell’introverso] coscienza è logica e saldamente ordinata, tanto la sua affettività è elementare, confusa e indomabile. A codesta affettività manca la nota propriamente umana: è sproporzionata, irrazionale, è un fenomeno naturale che infrange ogni ordinamento umano [...]» (*5)
Usando la mia intuizione mi sembra di iniziare a individuare uno schema nei dualismo del sistema MBTI: la funzione principale e secondaria, che saranno una di elaborazione (T o F) e l’altra di ricezione dati (N o S), sono usate dal conscio: la terziaria e la debole dall’inconscio.
Conclusione: soprattutto su Trotsky avrei avuto da scrivere di più ma ho dovuto/voluto limitarmi...
Nota (*1): e adesso, proprio grazie a quanto appreso proprio da queste pagine, mi appare evidente che la funzione principale di Jung è Ni (quindi IN-J compatibile con INFJ come indicato dalla banca dati, non affidabile, su cui normalmente mi baso). In verità dovrei distinguere: quanto ho scritto è vero nel sistema MBTI mentre letteralmente Jung dice qualcosa di diverso...
Nota (*2): tratto da “Tipi psicologici” di Carl Gustav Jung, (E.) Bollati Boringhieri, 2022, trad. Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, pag. 164.
Nota (*3): In realtà è un pensiero di quando facevo l’università, diciamo quindi vecchio di una trentina d’anni!
Nota (*4): il lettore potrà trovare forse la stima della mia parte emotiva più alta di quanto il mio scrivere potrebbe far pensare ma: 1. scrivendo con calma, avendo tempo per riflettere, è più facile tenere a bada il proprio inconscio; 2. io credo che da bambino di essere stato INFP (prima dei 6 anni) e di essermi trasformato in INTP successivamente. Il punto 2 spiegherebbe la forza dei miei principi che è l’unico aspetto che mi distingue dallo stereotipo degli INTP (che di solito hanno principi deboli).
Nota (*1): ibidem, pag. 168.
Ho finito di leggere “La rivoluzione tradita” di Trotsky: eccezionale. Essenzialmente Trotsky era un’intelligenza notevole e straordinariamente lucida: la qualità del libro ne è una conseguenza.
Scritto nel 1936 vengono analizzati oggettivamente i difetti del regime comunista di Stalin che prese il potere negli anni successivi alla morte prematura di Lenin.
La conclusione di Trotsky, come si intuisce dal titolo, è che il regime comunista di Stalin abbia tradito i principi di Marx e Lenin per trasformarsi in una brutta copia, meno efficiente e capace, del capitalismo occidentale. La differenza importante, ma non sostanziale, è che al posto della borghesia si ha la burocrazia che, almeno in parte, si fonde col partito stesso.
Altro difetto è l’eliminazione della democrazia, e quindi della libertà di opinione e critica, all’interno del partito: questo porta con sé tutti i problemi del pensiero unico e, principalmente, di non rendersi conto dei propri errori.
Alla fine Trotsky non considera più l’URSS come un paese veramente socialista anche se continua a nutrire la speranza che lo possa diventare: col senno di poi si rischia di considerare Trotsky un po’ ingenuo perché incapace di giudicare la forza della repressione di Stalin e dell’indottrinamento della scuola come pure le convinzioni ideologiche dei comuni operai. Ma c’è da aggiungere che nutriva grande speranze nella forza innovatrice dei giovani: giustamente osserva che tale forza non può essere intrappolata e solo una valvola di sfogo come una guerra può alleviarne la pressione. Trotsky prevede anche la guerra con la Germania di Hitler ma, secondo me, ciò che era imprevedibile è il numero di morti che questa avrebbe provocato: si parla oggi di circa 20 milioni i morti. E questi morti sono soprattutto nella fascia di età in cui Trotsky riponeva le sue speranze.
Insomma la previsione dell’autore si è rivelata completamente sbagliata ma vi è stato un elemento imponderabile, il numero abnorme di morti provocati dalla guerra appunto, che non era possibile prevedere.
Meno interessanti le appendici con brevi saggi giovanili: spicca come la popolazione venga distinta fra “pensanti” e “non pensanti” di cui, prevedibilmente, i secondi sono la maggioranza (chiaramente non dà percentuali precise ma mi sembra di aver capito che ha in mente un rapporto di 1 a 10). Il popolo è quindi un potere che va controllato e non convinto: semplicemente la maggioranza delle persone non hanno gli strumenti culturali, mentali e (aggiungo io) psicologici per capire le sottigliezze di una ideologia: per questo il popolo va “nutrito” con slogan facilmente comprensibili e memorizzabili.
Molto attuale: anche oggi nella nostra democrazia degenerata la maggioranza del popolo viene facilmente controllata dall’influenza dei media: il potere agita il drappo rosso e il popolo viene subito aizzato contro il nemico di comodo…
Il libro è ottimo ma lo consiglio solo a chi abbia un interesse per la storia e la politica.
L’altro libro di cui volevo scrivere è invece “Tipi psicologici” di Jung.
Ho finito il capitolo pesantissimo su Schiller come pure il seguente su Nietzsche.
La mia critica a Jung è metodologica: invece di esporre le sue teorie, e solo successivamente confrontarle con le similitudini dei precedenti storici, l’autore si getta in analisi sottili e approfondite del pensiero di questi autori con però il lettore, che ancora non conosce la sua teoria, che rischia continuamente di confondersi a causa della terminologia variabile e del non sapere dove si voglia arrivare. Io fortunatamente un po’ me la cavo perché conosco le basi della teoria dei tipi di Meyer e Briggs che è fondata a sua volta sul lavoro di Jung.
In pratica nel primo capitolo Jung mostra come gli antichi avessero intuito la differenza fra introversione ed estroversione; successivamente come Schiller avesse intuito la differenza fra funzione razionale e funzione sentimento; poi come Nietzsche avesse intuito a differenza fra funzione di sensitività e funzione di intuizione.
Che poi, a parte forse il caso di Schiller, queste “intuizioni” mi sembrano estremamente forzate: è Jung che si dà da fare per vedervi analogie e similitudini ma a me sembrano piuttosto arbitrarie…
Comunque nel capitolo attuale, “4. Il problema dei tipi nella conoscenza degli uomini”, il pensiero di Jung inizia a essere più esplicito. In realtà anche qui imposta il tutto confrontandosi con un altro autore ma, trattandosi di uno psicologo a lui contemporaneo (Jordan), contesto e linguaggio sono psicologici: non si devono più seguire le sottili e impalpabili analogie intuite da Jung (*1).
Ma oggi mi hanno soprattutto colpito dei dettagli, delle profonde intuizioni a cui non avevo pensato e che mi sembrano corrette, oltretutto estremamente rivelanti della mia personalità (e, in vero, più o meno di quelle di tutti).
Jung riassume così il pensiero dello psicologo (tale Jordan) da cui ha preso spunto: «Chi osserva e giudica l’estroverso è portato a considerare i pensieri e i sentimenti affioranti come un tenue velo che ricopre solo imperfettamente una fredda e sottile intenzione personale. Chi cerca di comprendere l’introverso non potrà fare a meno di pensare che una violenta passione è a stento tenuta a freno da fittizi ragionamenti.» (*2)
Si tratta di affermazioni forti e nette ma in effetti talvolta mi è parso di percepire qualcosa del genere negli estroversi e, in me stesso, come introverso la “violenta passione” e i “fittizi ragionamenti”.
Ma vediamo come Jung spiega il tutto: «Entrambi i giudizi sono corretti ed errati a un tempo. Il giudizio è errato quando il punto di vista cosciente, la coscienza in genere è forte e in grado di opporre una resistenza nei riguardi dell’inconscio; ma è esatto quando il punto di vista cosciente debole si trova di fronte a un inconscio forte e deve, all’occasione, cedergli. In quest’ultima eventualità prorompe ciò che stava in fondo: nell’uno l’intenzione egoistica, nell’altro la passione sfrenata, l’affettività elementare che sfugge a qualsiasi considerazione.» (*2)
In altre parole la descrizione dei comportamenti degli estroversi e degli introversi è corretta quando in questi prevale l’inconscio (e prima o poi può accadere a tutti) ma in generale questo non è il caso.
Tanto tempo fa scrissi un pezzo in cui spiegavo che consideravo mio padre come completamente razionale e mia mamma come completamente irrazionale: mentre io a mia volta mi descrivevo come di natura al 90% emotiva e 10% razionale che però mi comportavo il 90% razionalmente e il 10% irrazionalmente (*3). Chiaramente mi piaceva l’inversione delle percentuali ma oggi, con una maggiore comprensione della psicologia e (forse) di me stesso, ritengo tali numeri decisamente eccessivi: ero io impressionato dalla forza delle mie passioni ma in realtà sottovalutavo la forza della mia razionalità! Forse oggi direi 35% emotivo e 65% razionale (*4).
Mi pare che in questa mia visione di me stesso, soprattutto sul comportamento, rifletta bene la teoria di Jung: in genere il mio conscio ha il controllo della situazione ma, occasionalmente, prevale l’inconscio con le sue passioni…
In seguito Jung aggiunge che per capire l’inconscio altrui si deve usare il proprio inconscio e questo corrisponde a usare la funzione dell’intuizione (*1).
Un altro frammento che mi sembra descriva bene le mie sensazioni giovanili (*3) e che, erroneamente, mi avevano fatto pensare di essere di natura emotiva (*4): «Quanto la sua [dell’introverso] coscienza è logica e saldamente ordinata, tanto la sua affettività è elementare, confusa e indomabile. A codesta affettività manca la nota propriamente umana: è sproporzionata, irrazionale, è un fenomeno naturale che infrange ogni ordinamento umano [...]» (*5)
Usando la mia intuizione mi sembra di iniziare a individuare uno schema nei dualismo del sistema MBTI: la funzione principale e secondaria, che saranno una di elaborazione (T o F) e l’altra di ricezione dati (N o S), sono usate dal conscio: la terziaria e la debole dall’inconscio.
Conclusione: soprattutto su Trotsky avrei avuto da scrivere di più ma ho dovuto/voluto limitarmi...
Nota (*1): e adesso, proprio grazie a quanto appreso proprio da queste pagine, mi appare evidente che la funzione principale di Jung è Ni (quindi IN-J compatibile con INFJ come indicato dalla banca dati, non affidabile, su cui normalmente mi baso). In verità dovrei distinguere: quanto ho scritto è vero nel sistema MBTI mentre letteralmente Jung dice qualcosa di diverso...
Nota (*2): tratto da “Tipi psicologici” di Carl Gustav Jung, (E.) Bollati Boringhieri, 2022, trad. Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, pag. 164.
Nota (*3): In realtà è un pensiero di quando facevo l’università, diciamo quindi vecchio di una trentina d’anni!
Nota (*4): il lettore potrà trovare forse la stima della mia parte emotiva più alta di quanto il mio scrivere potrebbe far pensare ma: 1. scrivendo con calma, avendo tempo per riflettere, è più facile tenere a bada il proprio inconscio; 2. io credo che da bambino di essere stato INFP (prima dei 6 anni) e di essermi trasformato in INTP successivamente. Il punto 2 spiegherebbe la forza dei miei principi che è l’unico aspetto che mi distingue dallo stereotipo degli INTP (che di solito hanno principi deboli).
Nota (*1): ibidem, pag. 168.
domenica 18 febbraio 2024
Risposte lente...
Ultimamente ho qualche problema con i commenti: ero abituato a riceverne pochissimi e ora invece ne ho più di quanti riesca a rispondere!
Un commentatore mi ha suggerito scherzosamente di scrivere di più ma per me non è così semplice: per rispetto a chi perde tempo a farmi sapere la sua opinione voglio rispondere a tutti solo che per me è un’operazione lenta: mi piace leggere bene cosa mi viene scritto, ragionarci sopra e solo allora rispondere in maniera comprensibile. Insomma non è che leggo solo un paragrafo e poi butto giù qualche commento a casaccio: cerco al mio meglio, che magari non è molto, di comunicare produttivamente e questo richiede tempo. E, oltretutto, devo essere dell’umore giusto…
A questo problema tecnico se ne aggiunge uno più “filosofico”: come gestire il mio tempo?
Senza entrare nei dettagli le priorità sono: Epitome; ghiribizzo e lettura; commenti. A queste poi si dovrebbero aggiungere tutte le normali attività più quelle a cui di tanto in tanto mi dedico saltuariamente (per esempio ieri ho iniziato un raccontino breve).
Scrivere giornalmente sul ghiribizzo è per me una priorità piuttosto alta che, più o meno, equivale a quella di portare avanti le mie letture: anzi spesso molti pezzi mi servono per approfondire e memorizzare ciò che ho letto. Per esempio non sto andando avanti in “L’età degli imperi” perché prima voglio scriverci un pezzo, lo stesso (nonostante ne abbia scritto molto ultimamente) per “On becoming a person”. Una volta che ci scrivo sopra infatti memorizzo al meglio i concetti su cui ragiono e per questo preferisco procedere alternando lettura e scrittura in questa maniera. Inutile dire che la lettura dei libri è anche il “combustibile” (nella forma di idee e spunti) che mi è necessario per portare avanti la mia Epitome. Questo per spiegare che le mie priorità hanno una loro logica!
Tutte queste attività poi sono governate da un’altra premessa: cosa ho voglia di fare. Ho notato che, per esempio, scrivere quando non ne ho voglia produce risultati inferiori e, alla lunga, consuma la mia motivazione. Insomma, se alla fine non me la sento di fare qualcosa, visto che non si tratta di lavoro, non la faccio.
Ieri questo conflitto di priorità è stato particolarmente evidente: era una bella giornata di sole, il giorno prima avevo dovuto stare fuori mattina e sera, e mi sono chiesto “Cosa faccio adesso in questa oretta pomeridiana che ho disponibile? Rispondo a due, magari tre commenti, oppure vado in giardino a leggere?”
Ho deciso, nonostante il senso di colpa, di andare a leggere piazzando la mia sdraio nell’erba, con la giusta inclinazione del sole (che non mi facesse ombra quando avessi scritto delle note) e ho letto beatamente nel silenzio: anzi ho finito anche le appendici (modeste) del libro di Trosky “La rivoluzione tradita”…
In realtà avevo pensato di accennare brevemente al problema dei commenti e poi dedicarmi a un riepilogo di quanto letto: poi invece questa spiegazione iniziale mi ha preso più spazio del previsto e ormai rimanderò Trotsky a un pezzo a parte…
Per risolvere questo problema dei commenti devo ancora decidere cosa fare: stabilito che la priorità di questa attività è più bassa di molte altre e che comunque non voglio scrivere risposte affrettate (dal mio punto di vista non avrebbe senso) non mi resta che lavorare sul come organizzarmi.
Al momento ho molte idee in testa ma ancora non mi sono deciso su come agire anche perché ultimamente non ho ricevuto nuovi commenti. Attualmente rispondo cercando di seguire un ordine cronologico ma questo è penalizzante per chi mi commenta saltuariamente… quindi magari potrei organizzarmi con file parallele in base a chi mi scrive? Come detto ci devo pensare per valutare i diversi pro e contro…
Se stabilirò una politica di gestione ufficiale dei commenti ovviamente ne scriverò qui sul ghiribizzo.
Conclusione: ci sarebbe forse da scrivere, sempre nell’ottica di inquadrare bene le mie priorità, su perché scrivo su questo sito e con quali obiettivi ma immagino sia meglio legarlo a un pezzo su Rogers…
In definitiva in questo pezzo ho voluto chiarire che sono lento a rispondere perché ci tengo a farlo “bene”. Mi dispiace lasciare le risposte ai commenti “indietro” ma ho razionalmente stabilito che hanno una priorità più bassa rispetto ad altre attività ricreative...
Un commentatore mi ha suggerito scherzosamente di scrivere di più ma per me non è così semplice: per rispetto a chi perde tempo a farmi sapere la sua opinione voglio rispondere a tutti solo che per me è un’operazione lenta: mi piace leggere bene cosa mi viene scritto, ragionarci sopra e solo allora rispondere in maniera comprensibile. Insomma non è che leggo solo un paragrafo e poi butto giù qualche commento a casaccio: cerco al mio meglio, che magari non è molto, di comunicare produttivamente e questo richiede tempo. E, oltretutto, devo essere dell’umore giusto…
A questo problema tecnico se ne aggiunge uno più “filosofico”: come gestire il mio tempo?
Senza entrare nei dettagli le priorità sono: Epitome; ghiribizzo e lettura; commenti. A queste poi si dovrebbero aggiungere tutte le normali attività più quelle a cui di tanto in tanto mi dedico saltuariamente (per esempio ieri ho iniziato un raccontino breve).
Scrivere giornalmente sul ghiribizzo è per me una priorità piuttosto alta che, più o meno, equivale a quella di portare avanti le mie letture: anzi spesso molti pezzi mi servono per approfondire e memorizzare ciò che ho letto. Per esempio non sto andando avanti in “L’età degli imperi” perché prima voglio scriverci un pezzo, lo stesso (nonostante ne abbia scritto molto ultimamente) per “On becoming a person”. Una volta che ci scrivo sopra infatti memorizzo al meglio i concetti su cui ragiono e per questo preferisco procedere alternando lettura e scrittura in questa maniera. Inutile dire che la lettura dei libri è anche il “combustibile” (nella forma di idee e spunti) che mi è necessario per portare avanti la mia Epitome. Questo per spiegare che le mie priorità hanno una loro logica!
Tutte queste attività poi sono governate da un’altra premessa: cosa ho voglia di fare. Ho notato che, per esempio, scrivere quando non ne ho voglia produce risultati inferiori e, alla lunga, consuma la mia motivazione. Insomma, se alla fine non me la sento di fare qualcosa, visto che non si tratta di lavoro, non la faccio.
Ieri questo conflitto di priorità è stato particolarmente evidente: era una bella giornata di sole, il giorno prima avevo dovuto stare fuori mattina e sera, e mi sono chiesto “Cosa faccio adesso in questa oretta pomeridiana che ho disponibile? Rispondo a due, magari tre commenti, oppure vado in giardino a leggere?”
Ho deciso, nonostante il senso di colpa, di andare a leggere piazzando la mia sdraio nell’erba, con la giusta inclinazione del sole (che non mi facesse ombra quando avessi scritto delle note) e ho letto beatamente nel silenzio: anzi ho finito anche le appendici (modeste) del libro di Trosky “La rivoluzione tradita”…
In realtà avevo pensato di accennare brevemente al problema dei commenti e poi dedicarmi a un riepilogo di quanto letto: poi invece questa spiegazione iniziale mi ha preso più spazio del previsto e ormai rimanderò Trotsky a un pezzo a parte…
Per risolvere questo problema dei commenti devo ancora decidere cosa fare: stabilito che la priorità di questa attività è più bassa di molte altre e che comunque non voglio scrivere risposte affrettate (dal mio punto di vista non avrebbe senso) non mi resta che lavorare sul come organizzarmi.
Al momento ho molte idee in testa ma ancora non mi sono deciso su come agire anche perché ultimamente non ho ricevuto nuovi commenti. Attualmente rispondo cercando di seguire un ordine cronologico ma questo è penalizzante per chi mi commenta saltuariamente… quindi magari potrei organizzarmi con file parallele in base a chi mi scrive? Come detto ci devo pensare per valutare i diversi pro e contro…
Se stabilirò una politica di gestione ufficiale dei commenti ovviamente ne scriverò qui sul ghiribizzo.
Conclusione: ci sarebbe forse da scrivere, sempre nell’ottica di inquadrare bene le mie priorità, su perché scrivo su questo sito e con quali obiettivi ma immagino sia meglio legarlo a un pezzo su Rogers…
In definitiva in questo pezzo ho voluto chiarire che sono lento a rispondere perché ci tengo a farlo “bene”. Mi dispiace lasciare le risposte ai commenti “indietro” ma ho razionalmente stabilito che hanno una priorità più bassa rispetto ad altre attività ricreative...
giovedì 15 febbraio 2024
Insegnare e imparare
Bellissima giornata anche oggi: ho letto abbastanza e bene!
Anche oggi voglio scrivere di “On becoming a person” di Rogers. Ho letto un capitolo atipico di poche pagine: “13. Personal Thoughts on Teaching and Learning”.
Nell’introduzione Rogers si dice molto sorpreso del clamore che suscitò il suo discorso (di cui il capitolo è la trascrizione) a un convegno sull’insegnamento incentrato sugli studenti.
Come al solito il mio interesse nel capitolo era nel tentativo di trovarvi spunti per il problema che mi sta più a cuore: come convincere il prossimo delle nostre idee?
Del resto insegnare equivale un po’ a convincere lo studente della nostra verità…
Beh, sì, non è la stessa cosa ma ci sono delle vaghe analogie.
In realtà il clamore provocato è comprensibilissimo dato che in pratica afferma che insegnare è completamente inutile!
Secondo Rogers o gli studenti non imparano niente o imparano nozioni vuote o, talvolta, capiscono male (perdendo di vista la propria esperienza)!
Ma quando allora gli studenti possono imparare qualcosa?
Attraverso la ricerca e lo studio personale. E questo tipo di esperienza non può essere comunicato.
Che lo voglia ammettere o meno secondo me Rogers qui ha voluto essere provocatorio nella maniera in cui ha estremizzato la sintesi della propria pratica di insegnamento.
Io credo che il punto sia sempre lo stesso: come la guarigione deve partire dal paziente stesso, così l’apprendimento “vero”, non il riferimento puramente mnemonico, deve partire dallo studente.
Lo studente deve porsi davanti alla materia con la propria mente attiva: si deve porre domande, dialogare col testo (o l’insegnante) per comprenderlo in profondità. Imparare non è riempire un secchio ma accendere un fuoco…
Ecco come Rogers impara: «Io credo che una delle migliori maniere, sebbene molto difficile, per imparare sia abbassare le mie difese, il mio scetticismo, almeno temporaneamente, e cercare di capire la maniera on cui l’altro vede e percepisce la propria esperienza.
Un’altra maniera per imparare è elencare le mie incertezze, per cercare di chiarire i miei dubbi, e così avvicinarmi al significato che la mia esperienza sembra in verità avere.» (*1)
In altre parole immedesimarsi con l’autore del testo e leggere attivamente ponendosi domande con lo scopo non di assimilare passivamente delle nozioni ma semmai espandere la propria conoscenza.
Giudicate voi se la mia interpretazione delle parole di Rogers vi sembra credibile: guarda caso è infatti la maniera in cui io mi pongo nei confronti dei libri che leggo: mi immedesimo nell’autore e mi pongo domande…
E tornando alla mia domanda iniziale, ovvero come sia possibile far cambiare idea al prossimo, sembra non vi sia risposta. Se il nostro interlocutore non ci ascolta con mente aperta è tempo perso cercare di convincerlo di qualcosa: anche se abbiamo la logica e i fatti dalla nostra parte non serve a nulla. Il cambiamento di opinione deve nascere spontaneamente dall’interno della mente dell’altro: non può essere imposto dall’esterno.
Poi, se ben ricordo il mio libro di psicosociologia, ci sono metodi per convincere temporaneamente gli altri: ma si tratta di trucchi che, appunto, hanno solo un effetto temporaneo mentre a me interesserebbe far capire le mie idee non ingannare il prossimo per avere ragione sul momento…
Ricollegandomi a quanto scritto ieri sembra che possa aiutare costruire un rapporto emotivo col nostro interlocutore in cui si dimostra di capirlo e di apprezzarlo pur rimanendo sinceri: ma questo è più un qualcosa di necessario (beh, diciamo utile) ma non di sufficiente per essere convincenti. E comunque questo tipo di rapporto lo si può costruire solo confrontandosi di persona e col tempo non scrivendo un pezzo su un ghiribizzo come questo…
Conclusione: mi chiedo dove entri il carisma (menzionato dal libro di psicosociologia) in tutto questo. Probabilmente la persona carismatica ispira fiducia e, contemporaneamente, ci si convince che ci capisca, magari non siamo sicuri di piacergli ma lo vorremmo e questo ci rende più ricettivi alle sue parole...
Nota (*1): tradotto al volo da “On becoming a person” di Carl Rogers, (E.) Robinson, 2004, pag. 276-277.
Anche oggi voglio scrivere di “On becoming a person” di Rogers. Ho letto un capitolo atipico di poche pagine: “13. Personal Thoughts on Teaching and Learning”.
Nell’introduzione Rogers si dice molto sorpreso del clamore che suscitò il suo discorso (di cui il capitolo è la trascrizione) a un convegno sull’insegnamento incentrato sugli studenti.
Come al solito il mio interesse nel capitolo era nel tentativo di trovarvi spunti per il problema che mi sta più a cuore: come convincere il prossimo delle nostre idee?
Del resto insegnare equivale un po’ a convincere lo studente della nostra verità…
Beh, sì, non è la stessa cosa ma ci sono delle vaghe analogie.
In realtà il clamore provocato è comprensibilissimo dato che in pratica afferma che insegnare è completamente inutile!
Secondo Rogers o gli studenti non imparano niente o imparano nozioni vuote o, talvolta, capiscono male (perdendo di vista la propria esperienza)!
Ma quando allora gli studenti possono imparare qualcosa?
Attraverso la ricerca e lo studio personale. E questo tipo di esperienza non può essere comunicato.
Che lo voglia ammettere o meno secondo me Rogers qui ha voluto essere provocatorio nella maniera in cui ha estremizzato la sintesi della propria pratica di insegnamento.
Io credo che il punto sia sempre lo stesso: come la guarigione deve partire dal paziente stesso, così l’apprendimento “vero”, non il riferimento puramente mnemonico, deve partire dallo studente.
Lo studente deve porsi davanti alla materia con la propria mente attiva: si deve porre domande, dialogare col testo (o l’insegnante) per comprenderlo in profondità. Imparare non è riempire un secchio ma accendere un fuoco…
Ecco come Rogers impara: «Io credo che una delle migliori maniere, sebbene molto difficile, per imparare sia abbassare le mie difese, il mio scetticismo, almeno temporaneamente, e cercare di capire la maniera on cui l’altro vede e percepisce la propria esperienza.
Un’altra maniera per imparare è elencare le mie incertezze, per cercare di chiarire i miei dubbi, e così avvicinarmi al significato che la mia esperienza sembra in verità avere.» (*1)
In altre parole immedesimarsi con l’autore del testo e leggere attivamente ponendosi domande con lo scopo non di assimilare passivamente delle nozioni ma semmai espandere la propria conoscenza.
Giudicate voi se la mia interpretazione delle parole di Rogers vi sembra credibile: guarda caso è infatti la maniera in cui io mi pongo nei confronti dei libri che leggo: mi immedesimo nell’autore e mi pongo domande…
E tornando alla mia domanda iniziale, ovvero come sia possibile far cambiare idea al prossimo, sembra non vi sia risposta. Se il nostro interlocutore non ci ascolta con mente aperta è tempo perso cercare di convincerlo di qualcosa: anche se abbiamo la logica e i fatti dalla nostra parte non serve a nulla. Il cambiamento di opinione deve nascere spontaneamente dall’interno della mente dell’altro: non può essere imposto dall’esterno.
Poi, se ben ricordo il mio libro di psicosociologia, ci sono metodi per convincere temporaneamente gli altri: ma si tratta di trucchi che, appunto, hanno solo un effetto temporaneo mentre a me interesserebbe far capire le mie idee non ingannare il prossimo per avere ragione sul momento…
Ricollegandomi a quanto scritto ieri sembra che possa aiutare costruire un rapporto emotivo col nostro interlocutore in cui si dimostra di capirlo e di apprezzarlo pur rimanendo sinceri: ma questo è più un qualcosa di necessario (beh, diciamo utile) ma non di sufficiente per essere convincenti. E comunque questo tipo di rapporto lo si può costruire solo confrontandosi di persona e col tempo non scrivendo un pezzo su un ghiribizzo come questo…
Conclusione: mi chiedo dove entri il carisma (menzionato dal libro di psicosociologia) in tutto questo. Probabilmente la persona carismatica ispira fiducia e, contemporaneamente, ci si convince che ci capisca, magari non siamo sicuri di piacergli ma lo vorremmo e questo ci rende più ricettivi alle sue parole...
Nota (*1): tradotto al volo da “On becoming a person” di Carl Rogers, (E.) Robinson, 2004, pag. 276-277.
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