[E] Per la comprensione completa di questo pezzo è utile la lettura della mia Epitome (V. 1.3.2 "Westernheim").
Le mie letture si sono ulteriormente frammentate: dovrei decidermi a concentrarmi su singoli libri per finirli e invece ne inizio di nuovi…
Le novità sono “Scritti Politici 1” di Gramsci, scaricato da Liber Liber, e “The house of souls” di Arthur Machen: del secondo ho già scritto (v. La follia del panico) ma del primo no.
Ancora non ho letto moltissimo di “Scritti politici 1” ma ho già iniziato a farmi un’idea del suo autore: Gramsci mi è sembrato molto intelligente e di ottima cultura, lo si capisce bene non solo dalle sue analisi generiche, spesso profonde, ma anche da come valuta gli intellettuali suoi contemporanei: dà l’idea di capirli perfettamente e di individuarne chiaramente i limiti. Ovviamente me ne manca la riprova ma mi stupirei se non fosse così: è una sensazione molto netta…
Curiosa, almeno per me, è anche la sua vera e propria fede nel socialismo: perché non è la fede equilibrata che vede pregi e difetti ma quella del fanatico che, di fronte a qualche incongruenza, chiude gli occhi e si convince di aver visto qualcosa di completamente diverso.
Lo trovo buffo: in una persona stupida lo troverei triste ma in una chiaramente così intelligente mi fa sorridere…
Il libro che sto leggendo è una raccolta di brevi articoli (un altro merito di Gramsci è di non essere prolisso e di andare dritto al punto) pubblicati su riviste e giornali. L’argomento è vario, ovviamente sono a sfondo politico e, dato il periodo, il 1916, spesso affrontano il tema della guerra.
Dovrei rileggermi l’articolo su Mussolini (direttore de Il Manifesto) e fautore dell’entrata in guerra dell’Italia mentre Gramsci è per la neutralità: di solito, come ho scritto, Gramsci è molto chiaro ma in alcuni casi, evidentemente quando lo vuole, riesce a velare bene il proprio pensiero. Nel pezzo in questione ebbi la sensazione che cercasse di giustificare la posizione di Mussolini ma, come detto, dovrei rileggerlo con maggiore attenzione…
Proprio ieri sera ho letto un articolo attualissimo sui “giornali borghesi” che, ovviamente fanno l’interesse dei borghesi e sono contro i lavoratori. Se sostituite a “giornali borghesi” i “media tradizionali”, a “borghesi” i “parapoteri” e a “lavoratori” la “democratastenia” avete esattamente il mio pensiero. Beh, una parte di esso: essenzialmente la scarsa inattendibilità dei media ([E] 9.5).
E in effetti ho scelto di leggere proprio “Scritti politici 1” perché sapevo che vi avrei trovato tale articolo di cui, infatti, cito un frammento come epigrafe al capitolo sulla comunicazione dell’Epitome.
Ma l’articolo successivo, “Uomini o macchine?”, sull’istruzione era totalmente inaspettato e, anche qui, sono rimasto piacevolmente sorpreso dall’inaspettata convergenza di idee. Il ruolo dell’istruzione è spesso sottovalutato e ci si dimentica che la mentalità delle generazioni future è forgiata nella scuola.
L’articolo prende lo spunto da una riunione sui programmi per l’insegnamento professionale tenuto fra socialisti e alcuni rappresentanti della maggioranza.
Gli esponenti del governo (non so quale fosse al momento, ma immagino i liberali, quindi rappresentanti degli interessi degli industriali italiani) sono per una scuola professionale che si concentri a insegnare agli studenti come lavorare, tralasciando le materie più umanistiche e formative.
Sicuramente i liberali del 1916 avrebbero apprezzato molto la riforma della “Buona scuola” di Renzi che va proprio nella direzione di preparare gli studenti al lavoro (sottopagato).
Nella seconda parte di La falsa medaglia avevo scritto:
«Ma veniamo alla pubblicità di cui volevo scrivere.
Si tratta di una pubblicità “progresso” il cui motto è “Scuola e Lavoro sono due facce della stessa medaglia". Mi ha stupito perché mi è parso uno slogan adatto alla riforma della “buona scuola” ideata dal precedente governo...
Scuola e lavoro sono certamente collegati fra loro: quello che non condivido è che siano visti come le due facce di una stessa medaglia, ovvero senza lasciare spazio ad altri aspetti. È una semplificazione troppo grossolana e, come tale, errata (non escludo possa essere, nella terminologia della mia Epitome, una distorsione fuorviante; v. [E] 2.3).
La scuola è sicuramente utile per poi lavorare ma indirizzare e preparare al lavoro non dovrebbe essere l'unico scopo, e neppure il principale, dell'istruzione.
Se la scuola fosse solo l'altra faccia del lavoro allora, per coerenza, andrebbero abolite le materie “inutili” come, ad esempio, latino, greco, educazione musicale e artistica; e anche si dovrebbe ridurre l'italiano all'essenziale capacità di leggere e scrivere: dimenticare tutta la poesia e pure la prosa antica. La storia poi a che serve? Meglio sostituirla con il riassunto dei telegiornali che ci informano esattamente di tutto quello che dobbiamo sapere: calcio, moda, spettacolo e quel pizzico di politica che ci dice che tutto va bene, che abbiamo più di quanto meritiamo e che non dobbiamo quindi lamentarci...
Lo scopo precipuo della scuola deve essere invece quello di formare gli individui, rendere gli studenti delle persone libere e capaci, in grado di pensare con la propria testa e mature: non preparare dei tecnici che possano poi divenire gli ottusi e ingenui operai e impiegati di domani, con conoscenze strettamente limitate a effettuare il proprio lavoro ma senza aprirgli altri orizzonti di idee e ideali.
Invece la tendenza sembra proprio essere questa: considerare gli studenti semplicemente come la forza lavoro del futuro, che sappia fare solo il proprio lavoro, senza aspirazioni o alti ideali, e che si accontenti di essere pagata il meno possibile.
Questa è in effetti la “buona scuola”: non però per gli studenti ma per i parapoteri ([E] 4.1) economici!»
Scusatemi la lunga citazione autoreferenziale ma era un concetto unico ed è molto più chiaro ripresentarlo nella sua interezza.
Ma veniamo alle argomentazioni di Gramsci (*1).
Inizialmente egli cita il compagno Zini:
«La corrente umanistica e quella professionale si urtano ancora nel campo dell’insegnamento popolare: occorre riuscire a fonderle, ma non bisogna dimenticare che prima dell’operaio vi è ancora l’uomo, al quale non bisogna precludere la possibilità di spaziare nei più ampi orizzonti dello spirito, per asservirlo subito alla macchina»
Poi spiega che ancora il socialismo non ha una posizione univoca su come debba essere l’insegnamento; prosegue poi con un elogio della meritocrazia per gli studenti: all’epoca solo i ragazzi più benestanti potevano proseguire gli studi superiori mentre i “proletari”, indipendentemente dalla loro intelligenza e predisposizione allo studio, erano costretti a fermarsi alle elementari.
Gramsci scrive quindi: «La cultura è un privilegio. La scuola è un privilegio. E non vogliamo che tale essa sia. Tutti i giovani dovrebbero essere uguali dinanzi alla cultura.»
Se vogliamo tale affermazione è ancora attuale se sostituiamo alle “scuole superiori” l’università.
Poi prosegue spiegando meglio: «Il sacrifizio della collettività è giustificato solo quando esso va a beneficio di chi se lo merita. Il sacrifizio della collettività perciò deve servire specialmente a dare ai valenti quella indipendenza economica, che è necessaria per poter tranquillamente dedicare il proprio tempo allo studio e poter studiare seriamente.»
Ma sono le conclusioni finali di Gramsci quelle più vicine al mio pensiero: «La scuola professionale non deve diventare una incubatrice di piccoli mostri aridamente istruiti per un mestiere, senza idee generali, senza cultura generale, senza anima, ma solo dall’occhio infallibile e dalla mano ferma. Anche attraverso la cultura professionale può farsi scaturire, dal fanciullo, l’uomo. Purché essa sia cultura educativa e non solo informativa, o non solo pratica manuale. Il consigliere Sincero, che è un industriale, è troppo gretto borghese quando protesta contro la filosofia.»
E la chiusura del suo articolo sembra quasi una parafrasi della mia: ovviamente sostituendo “industriali” con “parapoteri”!
«Certo, per gli industriali grettamente borghesi, può essere più utile avere degli operai-macchine invece che degli operai-uomini.»
Conclusione: la riforma del sistema scolastico, ironicamente battezzata come “La Buona Scuola”, ha sicuramente fallito il suo obiettivo peggiorando di molto la qualità dell’istruzione. Fortunatamente esistono ancora dei “buoni libri” che ne evidenziano chiaramente le contraddizioni involontarie o, più probabilmente, gli obiettivi non apertamente dichiarati.
Che la scuola dovesse formare individui liberi e capaci era già noto almeno dall’inizio del XX secolo: nell’attuale involuzione democratica ci si è opportunamente dimenticati di questa verità.
Nota (*1): tutte le seguenti citazioni sono tratte da “Scritti politici 1” di Antonio Gramsci, tratto dall’omonimo e-book pubblicato su Liber Liber e curato da Paolo Spriano.
L'esempio di Benjamin Franklin
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