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venerdì 1 novembre 2019

La follia del panico

Sempre da mio padre, sempre con la tastiera “cattiva”…
Quindi anche oggi scriverò un pezzo semplice, non impegnativo. Avevo pensato a una nuova puntata della serie sui Mongolini: sono facili da scrivere e, almeno per me, divertenti… però mi richiedono molto tempo visto che devo rileggere quasi tutti i pezzi di un trimestre…

Allora ho pensato a un corto che però so già che diventerà un “medio”, ovvero un pezzo normale ma un po’ più breve…

Ho iniziato a leggere il libro elettronico (scaricato dal progetto Gutenberg) “The house of souls” di Arthur Machen.
Machen fu uno scrittore inglese (1863-1947) specializzato nel genere fantastico: io lo conosco perché è considerato un'importante fonte d’ispirazione per Lovecraft. Tempo fa rilessi (e, credo, ne detti notizia anche su questo ghiribizzo) “Il gran dio Pan” che dovrebbe essere la sua opera più famosa.
L’elemento innovativo de “Il gran dio Pan” è la realtà parallela, invisibile alla nostra, dalla quale arrivano contaminazioni che sconvolgono il nostro mondo quotidiano.
E questo è un tema molto caro a Lovecraft che vede, dietro la nostra realtà, un mondo indifferente all’uomo, governato dai Grandi e dagli Altri Dei la cui sola consapevolezza della loro esistenza può portare alla follia.

Tutto questo per dire che “Il gran dio Pan” è un’opera importante il cui elemento centrale è una diversa concezione della realtà. Lovecraft, che in parte si ispira a Machen, sta venendo pienamente apprezzato a un secolo di distanza: in pratica dopo ben 3-4 generazioni!
Che dite, è possibile che “Il gran Dio Pan” fosse stato pienamente apprezzato quando fu pubblicato per la prima volta nel 1916?

Nella lunga introduzione a “The house of souls” Machen ripercorre la sua carriera e si diverte a riproporre le recensioni de “Il gran dio Pan”. Le ricopio qui di seguito traducendole per comodità:

“Non è per colpa del signor Machen ma della sua sventura che la sua storia psicologica dell'orrore ci faccia tremare per le risate e non per il terrore.” - Observer

“La sua storia orrorifica, ci dispiace dirlo, ci lascia piuttosto freddi e il nostro corpo rifiuta fermamente di farsi venire la pelle d’oca.” - Chronicle

“La storia orrorifica non impaurisce” - Sketch

“Temiamo che l’autore sia solo riuscito a rendersi ridicolo.” - Manchester Guardian

“Raccapricciante, spettrale e noioso” - Lady’s Pictorial

“Un incoerente incubo di sesso… ...che condurrebbe presto alla follia se non contenuto… … innocuo a causa della sua assurdità” - Westminster Gazette

Ma questa è la conclusione di Machen: “And so on, and so on. Several papers, I remember declared that “The great God Pan” was simply a stupid and incompetent rehash of Huysmans’ “La-Bas” and “A Rebours”. I had not read these books so I got them both. Thereon, I perceived that my critics had not read them either.
Tradotto: “E così via e così via. Ricordo che molti giornali dichiararono che “Il Gran Dio Pan” fosse semplicemente una una stupida e incompetente rielaborazione di “La-Bas” e “A Rebours” di Huysmans. Io non avevo letto questi libri così li presi entrambi. Sulla base di ciò mi resi conto che neppure i miei critici li avevano letti.”

Con la sua battuta finale Machen ovviamente intende dire che i critici non avevano capito la sua opera: non avevano colto infatti tutta la dimensione fantastica della realtà parallela e l'inquietudine del sapere che quello che consideriamo realtà è invece solo apparenza.
Curiosamente le stesse critiche vennero mosse a Lovecraft dai suoi contemporanei: troppo materialisti per immaginare l’esistenza di un’altra realtà invisibile oltre a quella quotidiana.

La conclusione che possiamo trarre dalle critiche al capolavoro di Machen è che in genere gli spunti di genialità non vengono né capiti né apprezzati dai contemporanei. Ricordo un aforisma del tipo: “Chi scrive per i propri contemporanei disperi di essere ricordato”: lo scrittore che insegue i gusti del proprio tempo difficilmente vi aggiungerà qualcosa di significativo e, per questo, sarà dimenticato.
In realtà non è un concetto nuovo: il Leopardi nelle “Operette morali” scriveva le stesse cose. Il grande pubblico non è in grado di capire il genio e, siccome era ottimista, precisava che invece i pochi intelletti superiori in grado di comprenderlo l’avrebbero comunque ignorato perché gelosi…

Conclusione: è inutile denunciare la follia del proprio tempo perché essa è la normalità dei contemporanei.

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