Ogni tanto, nei titoli e non, mi diverto a inserire delle battute che solo io e poche altre persone possiamo capire. Il titolo “Puericultura” è uno di questi casi: la parola mi suona buffa già di per sé...
Innanzi tutto mi fa venire in mente una serra con tanti piccoli bambini piantati in lunghi filari che vengono amorevolmente annaffiati da premurose maestre. Ma il vero aspetto umoristico è la totale incongruenza fra KGB e i bambini.
Ho già accennato (vedi Problema infantile) al problema di non sapermi relazionare/comunicare con i bambini (specialmente se, diciamo, minori di 6-7 anni): probabilmente perché a quell'età ero già molto atipico (vedi la serie “KGB le Origini”) e non riesco a riconoscermi o a interpretare individui che non sanno esprimersi a parole e che sembrano non capire le mie (*1)...
Ecco, nonostante sia ben conscio di questo mio limite, non esito a scrivere un post intitolato “Puericultura”! Io sto ridacchiando: anche i miei lettori dovrebbero farlo...
Bando alle ciance...
La teoria di oggi l'ho elaborata molto recentemente, circa un mese fa, mentre conversavo con un mio sub-cugino (*2) della sua esperienza educativa.
L'idea base è molto semplice: la scuola pone il grosso del suo sforzo educativo nell'insegnare delle nozioni ma, nella formazione delle persone, ciò che conta non è solo il bagaglio di informazioni più o meno approfondite che ci portiamo dietro.
In particolare riflettevamo che la cosa più importante (e difficile) della vita è prendere le proprie decisioni ma, paradossalmente, la scuola non insegna niente al riguardo!
Si dà per scontato che ogni individuo sia in grado di fare le proprie scelte e che, in pratica, non ci sia niente da insegnare.
A mio avviso non è così: la capacità di effettuare delle scelte dipende notevolmente dalla natura individuale ma può e dovrebbe essere insegnata.
Quello che succede è che molti giovani, per tutta l'infanzia e il periodo scolastico, non prendono nessuna decisione significativa. Poi improvvisamente diventano maggiorenni e talvolta finiscono all'università: a quel punto, se magari sono lontani da casa, si ritrovano con un'inaspettata libertà. Ma la libertà è strettamente legata alla responsabilità e questa, a sua volta, impone alle persone di prendere decisioni importanti.
Ecco quindi che molti giovani, che fino a pochi anni prima avevano sempre avuto qualcuno che decideva per loro, si trovano improvvisamente a dover fare delle scelte importantissime con la beffa di non essere assolutamente abituati a farlo.
Insomma è come se si presentassero a un esame fondamentale senza aver mai aperto libro: quello che sanno della materia, ovvero del “prendere decisioni”, lo conoscono indirettamente magari dall'aver osservato i propri genitori.
Spesso quindi, nel tentativo di fare la scelta giusta, cadono nell'errore di prendere la decisione che si immaginano i loro genitori prenderebbero al loro posto: questo è ovviamente sbagliato!
Primo non è facile per un figlio indovinare e conformarsi ai supposti desideri dei propri genitori e, secondo, anche il migliore dei genitori non conosce le aspirazioni più segrete dei propri figli e quindi, anche con il massimo impegno, non potrebbe mai prendere la scelta migliore in loro vece.
Più in generale non sanno individuare i propri obiettivi (o magari non hanno il coraggio di inseguirli, soprattutto se in contrasto con la volontà dei genitori) né quali sforzi/sacrifici sono disposti a fare per ottenerli. Nei casi più sfortunati, nonostante la buona volontà, si ritrovano a lambiccarsi il cervello su falsi problemi basandosi su ipotesi errate: un totale disastro!
Ovviamente non tutti i ragazzi si trovano in questa situazione!
Molto dipende anche dal carattere individuale: c'è chi “nasce” sapendo cosa vuole e passa l'infanzia a “lottare costruttivamente” con la volontà dei propri genitori per cercare di raggiungere i propri obiettivi. Quando queste persone raggiungono l'agognata “libertà” hanno almeno già fatto un po' di pratica nel prendere le loro decisioni e quindi, affrontano questa fase della vita con un notevole vantaggio.
Probabilmente anche avere dei fratelli maggiori può aiutare i minori a rendersi conto con un certo anticipo dei problemi (libertà=responsabilità=decisioni=problemi) che si troveranno ad affrontare: quanto questo possa influenzare i figli minori dipende dalle singole sensibilità ma, sicuramente, non è un effetto trascurabile. Essere il primogenito (*3) è più difficile che essere un secondogenito perché si è i primi a sperimentare sulla propria pelle le novità che il tempo e la società ci impongono.
Quindi cosa dovrebbero fare la scuola e i genitori?
Io affronterei il problema del “prendere decisioni” come se fosse una vera e propria materia. Insegnerei quindi sia la teoria che la pratica.
La teoria consiste nell'insegnare ai bambini/ragazzi che si è responsabili di sé stessi, che bisogna capire cosa si desidera realmente e che bisogna decidere come cercare di ottenere quello che si vuole senza aspettarci che altri risolvano i nostri problemi.
Nella pratica farei prendere ai bambini/ragazzi più decisioni possibile: inizialmente scelte poco significative che non producano serie conseguenze ma, via via, sempre più importanti.
Soprattutto sarebbe bene non cercare di proteggere i figli dalle loro cattive scelte perché, come sempre accade, è dai propri errori che si traggono gli insegnamenti di maggior valore...
Conclusione: sul come i genitori e la scuola dovrebbero agire avrei ancora molto da scrivere ma non voglio dilungarmi troppo. Se qualcuno è interessato mi faccia sapere che magari ci scriverò sopra un secondo post...
Nota (*1): Soprattutto mi cadono le braccia quando mi accorgo che mancano di logica elementare. Tipo, io spiego: “guarda non inserire il dito fra i raggi della ruota perché se giri il pedale la ruota si muoverà e ti farai male al dito!” e il bambino inserisce prontamente la manina fra i raggi della ruota cercando contemporaneamente di attivare il pedale....
Insomma, forse dovrei limitarmi a dire “Se dito qui {indicando i raggi della ruota} allora bua!” ma il concetto del pedale mi sembra importante: a me a quell'età sarebbe importato saperlo... Probabilmente, come ho scritto, il problema è proprio questo: io ero un bambino atipico fin dalla prima infanzia...
Nota (*2): Il termine sub-cugino è un mio neologismo e indica la relazione fra una persona e i figli di un suo cugino. Qualcuno mi voleva far credere che questa parentela si indicasse con il termine bis-cugino ma tale parola non evidenzia l'asimmetria della relazione. Quindi i figli dei miei cugini sono da me definiti sub-cugini mentre io, modestamente, sono il loro master-cugino!
Nota (*3): Questo è a maggior ragione vero per i cosiddetti “figli-unici” ai quali manca la possibilità di rispecchiarsi nei fratelli minori. Intendiamoci lo scambio di esperienza fra fratello minore e maggiore non è paritetico ma, diciamo, 80% dal fratello maggiore al minore e il 20% in direzione opposta. Ma il 20% è comunque meglio di 0!
Il post sentenza
5 ore fa
Cosa sei disposto a pagare per ottenere cosa?
RispondiEliminaQuesto è, semplicemente, un tabù, 'na cosa fassista, nella società dell'anti-puericultura del diritto a tutto.
UUiC
Beh, in questo caso in effetti è proprio un'equazione difficile da bilanciare: sicurezza assoluta (ovatta) per i bambini/giovani che però produce adulti non sempre maturi da una parte oppure rischio "reale" (chiaramente piccolissimo ma presente) con però giovani adulti e quindi docietà più matura.
EliminaCapisco che la sua osservazione è però più generale e come tale mi pare corretta...