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domenica 3 settembre 2023

Sulle relazioni

Oggi sono andato avanti col libro di Rogers “On becoming a person” e mi sono quasi convinto a leggerlo tutto: come (forse) sapete non si tratta di un libro che avevo deciso di leggere ma mi era stato prestato da un’amica…
Il motivo di questa decisione è piuttosto intuitivo e credo dipenda dalla sensazione non solo di intelligenza ma anche di onestà dell’autore che mi incuriosisce a scoprirne le teorie (*1).

Siccome il libro non è mio e non lo posso scarabocchiare con le mie note, sono costretto a mettere nero su bianco i miei commenti prima che me li dimentichi!

Al momento sono all’inizio del terzo capitolo e Rogers si prefigge di illustrare come deve essere la relazione fra psicoterapeuta e paziente che, in realtà, non è un caso a parte ma solo una di tanti tipi di relazioni costruttive, dove cioè c’è la crescita di almeno una delle parti coinvolte (per esempio la relazione fra madre e figlio).

Prima di scendere nei dettagli della sua esperienza personale Rogers (che aveva già accennato alla fine del capitolo precedente) fa una panoramica delle ricerche sull’argomento. Chiaramente, visto che “On becoming a persone” è del 1961, si tratta di ricerche piuttosto datate ma ciò non significa che siano superate.

Per motivi diversi mi hanno colpito due particolari ricerche.
La prima riguarda la fabbricazione artificiale della relazione che, come si intuisce, oggigiorno non sarebbe probabilmente considerata etica (e infatti anche Rogers mi sembra storca un po’ il naso)!
In pratica lo psicoterapeuta durante le sedute dà segnali di assenso (dicendo “Bene”, “hmhm” o semplicemente annuendo) quando il paziente dice specifiche parole: in breve, senza accorgersene, il paziente impara a usarle più spesso per ottenere l’approvazione del proprio terapeuta.
Mi ha colpito perché dimostra quanto sia pateticamente influenzabile l’animale umano: sapendo che segnali così impercettibili vengono colti inconsciamente dalla mente umana diviene allora facilmente comprensibile come la persuasione dei media, specialmente della televisione, sia quasi violenta in confronto.
Pensate all’effetto che devono avere, anche su chi pensa di non esserne influenzato, quelle tribune dove 9 ospiti su 10 sono tutti di un’opinione (quella sostenuta dalla narrativa dominante) e schierati contro il solo che la pensa diversamente. Immaginate come i “cervellini” degli spettatori associno, al di là della bontà degli argomenti, l’approvazione del gruppo e quindi della società, all’opinione della canizza ovvero a quella contraria al pensiero minoritario.
Credo che il motivo per cui riesco a pensare con la mia testa, in maniera mi sembra equilibrata, dipenda non solo dalla mia natura ma anche dal fatto che da anni evito di guardare la televisione.

Il motivo per cui la seconda ricerca mi ha colpito è invece più semplice e divertente.
La ricerca in questione cercava di valutare l’efficacia terapeutica di tre diversi tipi di approccio medico-paziente.
Ora non ricordo quali fossero esattamente questi diversi approcci (essenzialmente perché Rogers non li descrive e quindi rimangono dei nomi vuoti) ma quello di efficacia minore se non nulla è basato sulla teoria dell’apprendimento. Questo approccio (Rogers lo descrive poi) consiste in tre fasi: 1. individuare ed evidenziare i comportamenti non soddisfacenti; 2. esplorare oggettivamente le ragioni che portano a questi comportamenti; 3. stabilire abitudini alternative più efficaci e soddisfacenti.
Quello che mi diverte è che questo approccio razionale è quello che istintivamente adotto io: se un amico si presenta da me con un problema non riesco a dargli un conforto morale e psicologico (cioè non do pacche sulle spalle e non mi viene di dirgli, con voce rotta dall’emozione, “Oh! come mi dispiace!”, “Stai facendo il massimo”, “Ammiro la tua forza d’animo”, che magari potrebbero anche essere emozioni reali) ma semplicemente cerco operativamente di capire come stanno le cose e di trovare una soluzione efficace: esattamente come nell’approccio basato sulla teoria dell’apprendimento menzionato qui sopra!
Ho comunque un’osservazione seria anche riguardo questo spunto: io credo che l’efficacia di tale approccio dipenda dalla persona coinvolta: se è logica e razionale come me probabilmente apprezzerà un rapporto di questo genere: il problema è che la maggior parte delle persone non è come me e, per questo motivo, l’approccio è generalmente fallimentare.
In altre parole però la “colpa” dell’inefficacia non sarebbe nel tipo di relazione in sé ma nella persona a cui è applicato.
Poi è chiaro che, a seconda delle situazioni e del momento, anch’io (e quindi suppongo le persone come me) preferirei un rapporto, diciamo, più emotivo ma, tanto per quantificare, nel corso di questi anni ho sentito 9 volte su 10 la mancanza di mio zio Gip (probabilmente un INTP come me) per confrontarmi con lui sulle questioni più disparate (storia, filosofia, geopolitica etc.); e invece solo 1 volta su 10 di mia mamma e la sua approvazione assoluta e irrazionale.

Insomma il mio dubbio è che queste ricerche citate da Rogers abbiano il difetto di trascurare il tipo psicologico del paziente: secondo me gli esiti potrebbero essere molto diversi ripetendo esattamente gli stessi esperimenti ma suddividendo i risultati in base alla psicologia dei pazienti.

Conclusione: piccolezze oggi ma mi sembravano comunque degne di menzione...

Nota (*1): sensazione interessante perché, anche se non credo che ne scriverò in questo pezzo, alla base di una buona relazione vi è la franchezza e l’onestà (in effetti ne ho scritto in Un libro dubbio)

2 commenti:

  1. > da anni evito di guardare la televisione.

    Ottimo.
    Siamo almeno in due.
    Non vale solo per TV ma ora anche per la rete, cinema, libri.
    Evitare di cacciare cacca, rumore, nella mente.
    (pare che blogger sia tornato capace di riconoscere la mia identità quando commento da furbofono).
    Buondì

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  2. Siamo più di due: io ne conosco molte persone che hanno smesso di guardare la televisione. Per completezza aggiungo che non guardo neppure i quotidiani in linea. Ah! soprattutto è importante uscire da FB: dà solo l'illusione di permetterti di diffondere le tue idee mentre in verità si limita a profilarti e a tenerti in comunicazioni con gruppi molto specifici di persone.
    Per non parlare del tempo che perdevo a sfogliare oziosamente la mia bacheca o a scrivere commenti, magari anche intelligenti, che nessuno avrebbe letto.

    Sono contento che abbia ritrovato se stesso! ;-)

    Da un punto di vista grafico è più gradevole vedere il quadratino colorato del profilo piuttosto che il grigio dell'anonimato... :-)

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