Nei giorni scorsi sono andato avanti nella lettura di “Una teoria della giustizia” di Rawls leggendone ben due capitoletti.
Il primo, l’ho letto l’altra settimana, è intitolato “53. Il dovere di rispettare una legge ingiusta”.
È una questione molto attuale visto che le leggi ingiuste di questi tempi pullulano.
In realtà Rawls, come spesso fa, quando la questione diventa spinosa (e interessante) dice che non riguarda la “teoria della giustizia” ma, per esempio, “la teoria politica” ed evita di approfondire.
In questo caso la precondizione dell’obbedienza è che il governo sia giusto ovvero, in prima approssimazione, che agisca in buona fede. Il governo giusto cerca, magari non sempre riuscendovi, di fare il bene della popolazione. Poi, ma questo è un concetto che emerge soprattutto nel capitolo successivo che ho letto oggi, il governo basato su una maggioranza deve rispettare varie libertà fra cui quella politica, di parola, di associazione etc. Per come l’ho capita io deve esservi la possibilità di un cambiamento di maggioranza o della sua volontà.
Ammesso che il governo sia giusto allora si deve obbedire anche alle leggi che riteniamo ingiuste «a condizione che esse non superino certi limiti di ingiustizia.» (*1)
Di nuovo qui Rawls è estremamente vago e dà evidentemente per scontato che si sappiano riconoscere detti limiti. Io credo che in questo caso Rawls abbia in mente il caso teorico (che dovrebbe però essere sempre tenuto a mente) in cui la maggioranza, tramite il governo, cerchi di opprimere una minoranza.
Ma tornando a noi, ovvero nell’Italia del 2023, la questione è piuttosto semplice: il nostro governo non persegue il benessere della popolazione ma quello delle lobbi internazionali. La democrazia con le sue elezioni sono solo una foglia di fico dietro cui nascondersi: non c’è una vera opposizione quindi non c’è democrazia. La lenta (?) erosione di libertà e diritti è sintomatica della degenerazione politica.
In questo caso non solo il dovere morale di obbedire a leggi ingiuste (e lo saranno quasi tutte) è nullo ma è anche lecito, se costretti con la violenza, giurare di obbedire e poi non farlo (*2).
Il capitolo successivo, “54. Lo status della regola di maggioranza”, cerca di dimostrare che il governo di una maggioranza, pur non essendo l’ideale di giustizia, è la sua migliore approssimazione.
Leggendo queste pagine mi sono però un po’ distratto perché ho iniziato a rendermi conto di un grosso problema di fondo della teoria di Rawls.
La sua base è l’assemblea (posizione) originaria i cui membri hanno la caratteristica di essere soggetti al velo d’ignoranza. Ovvero non hanno la consapevolezza di chi siano effettivamente (il nobile non sa di essere nobile né il contadino di essere contadino).
In questa condizione Rawls opina che l’assemblea sceglierebbe principi (ma quindi anche istituzioni e simili) che non penalizzino nessuno proprio perché nessuno vuole rischiare di essere penalizzato: e da qui esce la sua teoria della giustizia basata sull’equità. In pratica i membri dell’assemblea originaria sono altruisti perché non sanno chi sono: è il velo d’ignoranza che permette la generosità verso i più deboli.
Un primo grosso problema è se un’istituzione progettata dall’assemblea originaria, che come detto prevede membri forzatamente altruistici, sia automaticamente la migliore anche per una società i cui singoli membri sono invece fondamentalmente egoisti.
In altre parole cosa ci assicura che il governo migliore stabilito dall’assemblea originaria sia il migliore, o almeno quello ideale a cui ispirarsi, anche per una società reale? (*3)
Si ha il problema di fondo che il politico ideale di Rawls governa cercando di massimizzare la giustizia nella società; nella realtà però i fini di un politico reale sono invece egoistici: prima cerca il bene per sé, poi per i suoi elettori (oggi per le sue lobbi di riferimento) e infine, il poco che rimane, per la società nel suo complesso.
Rawls si è quindi posto la questione sbagliata chiedendosi quale dovrebbe essere la forma di governo ideale stabilita dall’assemblea originaria affetta dal velo d’ignoranza. Avrebbe infatti dovuto chiedersi quale sarebbe la forma di governo ideale, stabilita dall’assemblea originaria affetta dal velo d’ignoranza, per una società i cui politici (ma ogni persona in realtà) non sono limitati dal velo d’ignoranza ma anzi sono individui massimamente egoistici.
Io credo che avrebbe ottenuto un risultato molto diverso perché sarebbe stato costretto a pensare non a un modello ideale ma a una soluzione concreta.
A un certo punto, non ricordo più il filo logico, Rawls accosta l’automatismo del libero mercato a una procedura legislativa.
Come sempre, appena ho un’idea, smetto di leggere e me l’appunto. In questo caso ho avuto un’intuizione, beh una domanda in effetti, molto importante: «[KGB] sarebbe possibile estendere in qualche modo il meccanismo del libero mercato alle decisioni politiche in generale, avere cioè una politica che si autoregoli?»
Mi chiedevo cioè, senza aver formulato alcuna ipotesi sul come (*4), se fosse possibile costruire un sistema in cui la politica funzioni come l’economia di mercato, ovvero venga stabilita autoregolandosi da sola in base al comportamento dei singoli cittadini.
Rawls pochi paragrafi dopo mi risponde così: «Perciò, nonostante certe somiglianze tra il mercato e le elezioni, il meccanismo di mercato e la procedura legislativa ideali sono diversi in punti cruciali. Essi mirano a raggiungere scopi diversi: il primo quello dell’efficienza, il secondo, se possibile, quello della giustizia.» (*5)
E poi: «Il mercato consente una serie di sottili aggiustamenti graduati in risposta all’equilibrio globale delle preferenze e alla relativa prevalenza di certe esigenze. Nella procedura legislativa ideale non c’è nulla che corrisponda a ciò.» (*6)
Quindi Rawls distingue l’efficienza del mercato dalla giustizia che dovrebbe essere lo scopo ultimo della politica. Non so, forse da un punto di vista puramente teorico ha ragione e i due aspetti sono inconciliabili fra loro.
Eppure io, una decina di anni fa ormai (nel 2014), arrivai a formulare un’ipotesi di forma di governo che si proponeva due obiettivi. Da questa teoria/intuizione nacque poi il sottocapitolo [E] 11.2 “Efficienza e giustizia”.
Essendo io una persona non votata alla teoria per se stessa (teoresi) ma alla finalità pratica, cercando di formulare un modello di forma di governo, non mi accontentai della sola “giustizia” ma volli affiancarvi anche l’“efficienza”. Alcune ipotesi concrete le formulo in [E] 18.5 “Sintesi: schema di base per una nuova democrazia”: chi fosse curioso può andare a leggere direttamente!
Non so: io non sono così negativo come Rawls e ho la sensazione che, anche solo esplorare in tale direzione, possa comunque portare a idee costruttive. Vedremo: datemi qualche anno di tempo per ragionarci a tempo perso!
Conclusione: per quanto mi trovi spesso in disaccordo con l’approccio super teorico di Rawls non posso non riconoscerne la profondità del pensiero. Un libro pesante da leggere ma utile.
Nota (*1): tratto da “Una teoria della giustizia” di John Rawls, (E.) Feltrinelli, 2021, trad. Ugo Santini, pag. 336.
Nota (*2): del resto, lo spiegava nel capitolo precedente, qualsiasi giuramento estorto con la violenza (idem col ricatto o le minacce), o quando non si è nel pieno controllo delle proprie capacità, è nullo.
Nota (*3): ho la sensazione che nei capitoli precedenti Rawls abbia “dimostrato” che anche una società reale approverebbe i principi stabiliti dall’assemblea originaria: ma passando da principi astratti a concetti più complessi come può essere una forma di governo la situazione si complica e dubito che l’equivalenza sia dimostrabile.
Nota (*4): magari è una domanda oziosa perché non esiste una soluzione pratica per far regolare automaticamente la politica all’agire (non al voto) della popolazione…
Nota (*5): ibidem, pag. 344-345.
Nota (*6): ibidem, pag. 346.
alla prima stazione
1 ora fa
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