Oggi ho finito di leggere “QED” di Richard P. Feynman: mi era stato consigliato da un amico e io mi sono fidato…
QED sta per “Elettro Dinamica Quantistica” e l’autore è un premio Nobel per la fisica molto famoso (citato più volte da Sheldon in “The Big Bang Theory”!). In teoria il libro vorrebbe rendere accessibile al grande pubblico la fisica quantistica pur rimanendo estremamente accurato nella descrizione dei procedimenti matematici usati per calcolare le diverse interazioni fra le particelle (ovviamente eliminando tutti i dettagli delle formule). Per esempio per indicare la formula della probabilità che un elettrone si sposti da A a B nello spazio-tempo scrive semplicemente E(A,B) e analogamente, per un fotone, F(A,B).
Sfortunatamente il libro, che in teoria sarebbe stato di mio grande interesse, mi ha deluso.
Chiaro che non mi interessavano i dettagli delle formule, che comunque non sarei stato assolutamente in grado di capire, ma arrivato al terzo dei cinque capitoli (basati su altrettante lezioni universitarie adattate poi a una conferenza su cinque giorni) mi sono reso conto che l’astrazione con cui Feynman descrive la fisica quantistica non è né carne né pesce. Essa diviene rapidamente troppo complessa per poter essere seguita senza sforzo (ovvero senza prendere appunti e senza aiutarsi con carta e penna per tracciare vettori e grafici vari) contemporaneamente va a nascondere i concetti di fondo (seppur con tutte le incertezze di un campo ancora non del tutto compreso, anzi!).
Questo libro può essere utile solo a degli studenti universitari con già un’infarinatura di fisica quantistica per prepararli al corso vero e proprio: non per niente, alla fine, il libro è basato sulle lezioni, suppongo introduttive, tenute dallo stesso professor Feynman all’università.
È un libro che lascia con l’amaro in bocca per la sensazione di aver perso tempo a leggerlo: a meno che non si confonda con conoscenza l’aver imparato un minestrone di termini come quark, mesoni, spin, colore, sapore, bosoni, biscioni e coglioni. Certo adesso “so” che protoni e neutroni sono fatti di tre quark ma già non mi ricordo i relativi dettagli, comunque inutili in quanto fini a se stessi.
La vera conoscenza la si ottiene di striscio, è accennata qua e là, magari inserita in varie battute (Feynman era famoso per il proprio umorismo e abilità di comunicatore).
Le MIE sensazioni (Feynamn non ha affermato esplicitamente niente di quanto segue: è principalmente il frutto della mia fantasia e intuizione!) sono le seguenti:
- C’è un errore e una difficoltà di prospettiva nello studio della QED: intuitivamente cerchiamo di riportarla alla “nostra” fisica fatta di corpi solidi con precise proprietà.
- In realtà è la “nostra” fisica a essere una conseguenza, una specie di effetto collaterale, della QED.
- Già chiamare le “particelle” con tale nome, ovvero “piccola parte”, come fossero granellini piccolissimi, è fuorviante: sono altro, cosa non so, unità di energia condensate insieme.
- Anche il semplice “movimento” è un concetto che mal si adatta a queste particelle che, per esempio, possono “muoversi” anche indietro nel tempo. (O forse questa idea che possano muoversi indietro nel tempo è solo frutto del miraggio di una teoria inadeguata a spiegare un certo fenomeno osservato).
- E tutti i fenomeni in cui queste particelle ne emettono spontaneamente di diverse? Ci sembra un evento strano e misterioso perché nel “nostro” mondo non vediamo accadere niente di ciò: da una autovettura non vediamo spuntare all’improvviso un motorino! Ma in realtà dovremmo entrare nell’ordine di idee che la “normalità” è quella delle particelle e non la nostra.
- Non so se riesco a spiegarmi: si tratta di sensazioni elusive… La realtà è quella della fisica quantistica, noi siamo solo un effetto collaterale. Nelle particolari condizioni in cui ci troviamo (intendo sulla Terra) il 99% della “realtà” è determinato solo dalle interazioni fra fotoni ed elettroni (beh, senza considerare la gravitazione che all’epoca in cui il libro è stato scritto, 1985, non era stata ancora integrata nella fisica quantistica (*1)). Ma cambiamo le condizioni e tutto sarà diverso.
- Anche il concetto di tempo e spazio sono forse solo degli effetti collaterali? Possibilissimo: magari hanno senso nella nostra realtà quotidiana, ma non in assoluto. Ma allora perché misurare le particelli secondo dimensioni che hanno senso nel “nostro” mondo? E se nell’infinitamente piccolo avessero significati diversi o ce ne fossero altr che neppure immaginiamo?
Mentre scrivevo questo pezzo mi è venuta in mente una domanda bizzarra: come si applica l’entropia a, per esempio, un singolo protone. Secondo Feynamn, SE ho capito bene, si tratta di tre quark tenuti insieme da dei gluoni che continuamente vengono assorbiti ed emessi dai quark cambiandone il colore secondo certe regole che già non ricordo più. Cosa succederebbe, dico, a un protone lasciato solo nell’universo? Un giorno i gluoni smetterebbero di venire emessi? I protoni si frammenterebbero nei loro tre quark? O tutto esploderebbe in una specie di “big bang”? O magari il tempo non esisterebbe perché “effetto collaterale” di altre particelle? In tal caso magari i quark sarebbero legati perennemente insieme dai gluoni “congelati” in delle specie di filamenti immobili? Va bene: solo una mia curiosità estemporanea.
Conclusione: comunque leggendo il libro mi sono sentito fremere. Non potevo fare a meno di provare la voglia di rimettere “a posto” tutta questa teoria confusa e incerta! Da bambino, probabilmente affascinato dal mito di Einstein, sognavo di diventare un fisico ma poi, per una specie di stupido senso del dovere, decisi di intraprendere la carriera universitaria che garantiva le migliori prospettive lavorative.
Che stupido che fui: che senso ha avere un lavoro che si odia? Si ottiene solo una vita avvelenata. Molto meglio sarebbe stato inseguire i miei sogni anche al rischio di divenire un fisico disoccupato! (*2)
Nota (*1): CREDO che il famoso bosone di Higgs, scoperto/trovato solo nel 2012, sia appunto uno dei legami fra gravitazione e QED. Ma è un mio vago ricordo: il libro ovviamente non ne parla.
Nota (*2): Altro elemento importante che probabilmente condizionò la mia decisione fu che all’epoca non mi ritenevo particolarmente intelligente: sì, sapevo di essere più intelligente della media, ma pensavo di non esserlo abbastanza per fare lo scienziato di professione. Col senno di poi temo di essermi fortemente sottovalutato!
alla prima stazione
1 ora fa
Nessun commento:
Posta un commento