Aiuto!
Improvvisamente mi ritrovo con troppe cose da scrivere tutte insieme!! E so già che se non le scrivo tutte subito poi ne scorderò qualcuna…
Allora provo a comprimere qui tutto insieme sebbene la compressione, ovvero la sintesi, non sia il mio forte (*1).
Per prima cosa ieri ho letto un nuovo sottocapitolo di “Una teoria della giustizia” di Rawls: il 19° intitolato “Principi per individui: i doveri naturali”.
Sarà che era un po’ che non lo leggevo ma devo ammettere di averci capito meno del solito. In particolare non mi è chiara la differenza fra “obbligo” e “dovere”. La mia “sensazione” è che Rawls abbia fatto questa divagazione sollecitato da un tizio che infatti ringrazia nelle note: ma credo che non sia niente di fondamentale ma solo una precisazione per palati filosofici sopraffini capaci di seguirla (*2).
Quello che CREDO di aver capito io: il dovere naturale è ciò che intuitivamente ci si aspetta che sia ovvero dei doveri istintivi, al di là di qualsiasi accordo sociale, fra gli uomini. Gli esempi citati da Rawls: 1. aiutare chi si trova nel bisogno o in pericolo (senza però rischiare la propria vita o una parte significativa dei propri beni, vedi poi); 2. non nuocere agli altri; 3. non imporre sofferenze non necessarie (*3); 4. (?) il dovere di giustizia: ovvero sostenere le istituzioni giuste.
L’obbligo, e di questo sono poco sicuro, sembra invece qualcosa di stipulato fra individui e società: tutti i doveri naturali sarebbero quindi obblighi ma ci possono essere, per esempio, degli obblighi che sono tali in Italia e non nel Congo.
Interessante è un inciso finale in cui Rawls accenna alle azioni supererogatorie che grossomodo corrispondono agli atti di eroismo: ovvero quegli atti in cui il singolo liberamente decide di sacrificare se stesso o una parte consistente dei propri beni in favore di altri o della comunità.
Per la Chiesa tali atti sono propri dei santi e dei martiri e non vengono richiesti al comune fedele; anche per la morale di Rawls si tratta di azioni ammirevoli ma che la società non può in alcun modo imporre al singolo. Invece sono un punto debole dell’utilitarismo: infatti il sacrificio del singolo per aumentare il bene comune dovrebbe essere, in teoria, essere richiesto. Chiaro che i singoli a cui toccherebbe compiere il nobile gesto potrebbero non esserne troppo contenti…
Insomma, nel complesso un sottocapitolo breve e secondario.
Poi ci sarebbe l’appendice degli anni ‘90 (*4) di Sartori: “IV - Il retto-pensiero”.
Il tema è attualissimo visto che alla fine Sartori intende con retto-pensiero quello che io chiamo pensiero maggioritario ed è comunemente noto come “narrativa dominante” o semplicemente mainstream. Ma prima di addentrarmi nei dettagli voglio evidenziare una sciocchezza: nelle prime due pagine Sartori cita quattro opere di quattro autori diversi e io le ho lette tutte: per la prima volta non mi sono sentito un totale ignorante!
Come (forse) ho già accennato Sartori ritiene particolarmente importante il “controllo” delle parole perché tramite esso è già possibile indirizzare fortemente la discussione (ma ancora più genericamente il pensiero).
Già chiamando “no-vax” chi è contro il verdepasso lo si pone in una situazione di inferiorità dialettica in cui si ha immediatamente da giustificare il “no” del loro epiteto; discorso contrario se fossero chiamati “pro-libertà”…
Sartori illustra poi un concetto interessante: l’aspetto negativo dell’ideologia quando essa sopravanza e si sostituisce alle idee, intese soprattutto come ragionamento autonomo.
Se l’ideologia rimpiazza il pensiero diventa una formula vuota a cui si obbedisce al di là del buon senso e della logica: è qualcosa che si considera vero non perché sia tale ma perché si è deciso a priori che debba esserlo. Le idee invece presuppongono il dibattito, il confronto, perché nessuno parte con la presunzione di possedere già la verità.
Cito un paragrafo di Sartori: «S’intende che i nomi “cattivi” che dicono male di qualcosa o qualcuno, sono parte integrante del vocabolario e sono tanti antichi quanto è antica la parola. Ma non si era mai inteso – quantomeno tra esseri pensanti che professano di pensare – che fossero sostitutivi dell’argomento che li giustifica.
Se il professor Bigio diceva del collega Biagio “è un porco”, Biagio era in diritto di chiedere perché: “porco” andava spiegato. Per l’homo ideologicus non è così: l’epiteto esonera dall’argomento. La squalifica ideologica è gratuita: non deve essere spiegata, non occorre che sia motivata. L’ideologismo dà certezza assoluta, e quindi non richiede prova, non presuppone dimostrazione.» (*5)
Chiaro il legame fra propaganda, che fornisce un’ideologia, intesa come ricostruzione della realtà, a cui credere ciecamente.
Siccome sono in modalità “estrema sintesi” non aggiungo altro ma passo all’ultimo filosofo di cui volevo scrivere oggi: il professor Zhok.
Da un po’ non vedevo i suoi pezzi su FB (ormai lo sospendono arbitrariamente: viva la libertà d’espressione) e quindi ho controllato su Telegram se aveva recentemente pubblicato qualcosa.
Ho trovato un articolo decisamente interessante: Il massacro di Bucha, i camion di Bergamo e il Metaverso su Sfero.me
L’articolo è suddiviso in tre parti: nella prima si evidenzia la partigianeria assoluta dei nostri media che mostrano un’unica verità; nella terza si afferma come la realtà mostrata dai media stia diventando sempre più importante, spesso sostituendosi alla realtà concreta, e che ad avvantaggiarsene, guarda caso, sono i controllori dell’informazione ovvero i grandissimi poteri economici globali.
Ovviamente tutte opinioni che condivido e che anch’io ho già espresso in più occasioni. È invece nella seconda parte che ho trovato un elemento inedito che, come vedremo, riecheggia il pensiero di Sartori. Zhok infatti afferma che quando si affronta un argomento ci facciamo influenzare dai nostri pregiudizi: ciò non è un problema di per sé e, anzi, è nella natura umana interpretare un fatto inquadrandolo nella propria concezione del mondo. Il problema si ha se non si rimane aperti ad alternative ma ci si accontenta assoluta certezza nella propria verità: se insomma, come scherzava Sartori, si appartiene alla razza dell’homo ideologicus. Ma forse è meglio se cito direttamente Zhok: «È importante notare come il problema non stia nel fatto che vi possa essere un pregiudizio morale iniziale quando ci si approssima ai fatti. Questo accade quasi sempre e di per sé non impedisce l’accertamento della verità. No, il punto qualificante è che questo momento iniziale sia posto anche come momento finale: l’interpretazione pregiudiziale è anche tassativamente quella definitiva, e non è ammesso sia diversamente. Non c’è spazio per nessuna procedura di accertamento, non c’è spazio per nessun processo di ricerca della verità, e anzi, la richiesta stessa che un tale processo venga avviato è presentato come un’offesa, un’aggressione, una forma di lesa maestà.»
Conclusione: vabbè, volendo comprimere troppo ho fatto un po’ torto a tutti. Oltretutto l’accenno al sottocapitolo di Rawls è collegato solo molto indirettamente con le riflessioni seguenti: tutta la propaganda, l’ideologismo, il pensiero unico alla fine permettono che vengano accettate delle misure criminali, addirittura contro i doveri naturali dell’uomo, come il verdepasso: e questo si inquadra in un’ottica di totale decadenza dell’occidente (vedi la mia Epitome) in cui il potere politico, in accordo col potere economico, deforma la realtà per imporre una propria visione della realtà strumentale a imporre decisioni che andranno completamente contro l’interesse della democratastenia.
Nota (*1): noto adesso l’assonanza fra “compressione” e “comprensione”. Non so se sia casuale ma in effetti, per capire un qualcosa, bisogna passare prima attraverso un processo di riduzione e sintesi che ne faciliti l’assimilazione. Da indagare.
Nota (*2): e come se a me un ipotetico lettore mi ponesse una domanda molto specifica su un sottocapitolo della mia Epitome: io, ben felice di rispondergli, aggiungerei un paragrafo o due per inquadrare e chiarire la questione, ma per la maggior parte dei lettori sarebbe un qualcosa in più, una specie di superfetazione.
Nota (*3): spero di non apparire pedante ma il verdepasso, ormai svuotato di giustificazioni sanitarie, equivale all’imporre a un buon numero di persone delle sofferenze inutili consistenti nel non godimento di vari diritti e libertà. Per questo motivo il verdepasso è criminale.
Più in generale qualsiasi discriminazione arbitraria (compreso il comune “razzismo”) equivale all’imporre una sofferenza inutile e quindi va contro uno dei fondamentali doveri naturali dell’uomo: evitare di provocare sofferenze inutili al prossimo.
Nota (*4): per distinguerla da una seconda appendice aggiunta nell’edizione del 2007.
Nota (*5): tratto da “Democrazia cosa è” di Giovanni Sartori, (E.) RCS, 2007, pag. 288.
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