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mercoledì 20 ottobre 2021

Ho sbagliato?

[E] Attenzione! Per la comprensione di questo pezzo è necessaria la lettura della mia Epitome (V. 1.8.0 "Verdepasso").

Più procedo nella lettura di The framers’ coup di Michael J. Klarman e maggiore è la sensazione di aver inteso male il vero valore della Costituzione americana (fine XVIII secolo).

Non è questione da poco perché, come ho scritto nell’Epitome, faccio coincidere la nascita della democrazia moderna proprio con la stesura della costituzione degli USA.

La mia intuizione originale (diciamo di due anni fa o giù di lì) basata su poco e nulla era che la sua novità fosse dovuta al fatto che non l’avessero scritta dei parapoteri ma degli uomini che veramente volevano realizzare una società libera e democratica.

Poi ho seguito, con grande attenzione, il corso su YouTube della professoressa Freeman e questo mi ha fatto leggermente “raddrizzare” il tiro: i parapoteri esistevano già nelle colonie americane ma con la sostanziale differenza, rispetto ai corrispondenti europei, di essere di uno o due ordini di grandezza meno potenti: vari accenni mi avevano fatto ipotizzare che i loro epomiti locali ([E] 6.2 e 6.3) coincidessero in buona sostanza con quelli assoluti del resto della società: in altre parole che i ricchi e potenti americani avessero gli stessi ideali e principi del resto della popolazione.
Inoltre vi era stato sicuramente l’effetto unificatore della guerra di indipendenza contro il Regno Unito: come spiego in [E] 3.5 eventi che coinvolgono gran parte della popolazione hanno il potere di alterarne gli epomiti, ovvero il peso dei valori e dei principi: gli ideali per cui si combatte e si muore acquistano grande forza per tutta la popolazione e non è facile poi abbandonarli come se non fossero validi (*1).
Tutti questi fattori sommati insieme, supponevo, avevano portato a una Costituzione che, diversamente dalle imitazioni europee, era decisamente più democratica.

Poi però ho iniziato a leggere The framers’ coup dove emerge chiaramente che i Padri Fondatori (PF) erano, prevedibilmente, tutti ricchi e molto istruiti e, soprattutto, che complessivamente non avevano alcuna fiducia nella capacità politica della popolazione comune.
Già durante i primi capitoli questa tendenza era chiaramente emersa da numerose citazioni (*2) ma ora sono arrivato a un capitolo intermedio dove vengono tirate le prime somme e dove vengono riportate vere e proprie parole di disprezzo verso la democrazia.
Durante la lettura avevo avuto la netta sensazione che il timore verso la democrazia fosse paternalistico: nel senso che i PF vedevano la gente comune come incapace di scegliere il meglio per il proprio bene. Ma emerge chiaramente che tutta l’architettura delle nuove istituzioni, a partire dal senato (un organo di secondo livello) e dallo stesso presidente col suo potere di veto, era stata pensata per poter imbrigliare eventuali legislazioni troppo democratiche proposte da un Congresso di elezione popolare.
Una costante sconcertante di molti dibattiti e che attraversa trasversalmente i diversi schieramenti (nord/sud e grandi/piccoli stati) è la vera e propria ossessione per il denaro cartaceo: una misura che avrebbe dato sollievo al popolo ma penalizzato i possessori del debito, ovvero i ricchi e ricchissimi di cui, in genere, facevano parte i PF.
In pratica la costituzione fu la proposta meno democratica a cui i vari delegati riuscirono ad arrivare tenendo presente lo scoglio della sua ratifica che avrebbe dovuto essere popolare.

È interessante notare che le costituzioni delle diverse ex colonie, nel decennio circa fra la fine della guerra e l’approvazione della nuova costituzione, erano decisamente più democratiche.
Ricordo che la Freeman citò anche uno stato che per qualche anno concesse addirittura il voto non solo a tutti gli uomini liberi ma anche alle donne!

Per far capire di cosa sto parlando traduco al volo un frammento del testo: «La struttura della rappresentatività prevista dalla Costituzione federale si discostava significativamente dai meccanismi esistenti nella maggior parte degli stati che avevano elezioni annuali, piccole circoscrizioni, alternanza obbligatoria delle cariche, e (spesso) era previsto l’obbligo del rappresentate di seguire specifiche istruzioni provenienti dalla sua circoscrizione. (*3)» (*4)

Una delle problematiche fondamentali che affronto nell’Epitome è quella del rapporto fra potere delegato e potere rappresentato la cui essenza è la legge della rappresentatività ([E] 5.4): in pratica gli obiettivi fra potere delegato e rappresentato divergeranno quanto più le cinque “Condizioni di Rappresentatività Imperfetta” sono realizzate.
La condizione due è: «Lungo mandato dei membri del gruppo delegato: più è lunga la durata del mandato e maggiore sarà l'identificazione di ogni delegato nel gruppo dei delegati e, di conseguenza, la volontà con cui ne perseguirà gli specifici scopi, potenzialmente diversi da quelli della difesa degli interessi dei rappresentati.»
Mentre la tre è: «Scarso controllo dei rappresentati sui delegati: se tale controllo è grande allora i delegati saranno maggiormente forzati a tutelare gli interessi dei rappresentati. La forza di tale controllo la si può valutare in base alla frequenza e alla capacità dei rappresentati di incidere sul gruppo dei delegati.» con la nota «Tale influenza può variare in base a molti elementi. Per esempio: la possibilità di nominare o rimuovere membri del gruppo delegato; scavalcarne o annullarne le decisioni (tramite referendum nel gruppo rappresentato); la durata del mandato dei rappresentanti; il numero di elettori per rappresentante.»
Insomma il controllo popolare sulla politica era molto più stretto e, quindi, efficace: il risultato è che i governi dei singoli stati molto spesso andavano incontro alla volontà popolare: cosa che, come spiegato, terrorizzava i PF.

C’è però da dire che all’epoca il termine democrazia aveva ancora la patina di significato negativo che già Aristotele gli aveva dato: il governo dei “peggiori” contrapposto a quello dei “migliori” cioè degli aristocratici.
È insomma possibile che quando i delegati discutevano di democrazia avessero in mente la sua degenerazione in un populismo rozzo e ignorante ma che essi, nella loro essenza fossero invece democratici nel senso moderno del tempo.
Mi è tornato a mente che anche la Freeman all’inizio del suo corso invitava a non equivocare sui termini che hanno cambiato significato nel tempo e, mi pare, “democrazia” era proprio uno di questi.

Chiaramente un’idea migliore me la farò andando avanti nella lettura anche se dovrò stare attento a non farmi condizionare troppo, per quanto possibile, dall’interpretazione di Klarman che, ricordo, non è uno storico ma un giurista (specializzato sulla costituzione americana).

Le implicazioni sulle democrazie attuali sono notevoli: queste sono le versioni peggiorate di un modello già nato volutamente castrato oppure no?

Mi resta quindi il dubbio su come leggere la costituzione americana: è il massimo esemplare di struttura democratica o è invece il minimo di democrazia che si poteva concedere al popolo in maniera che l’approvasse?
Probabilmente, come al solito, la verità è una via di mezzo: ho la sensazione che l’interpretazione di Klarman sia troppo estrema e negativa. Vero è che, in quanto a potere popolare, è un passo indietro rispetto alle costituzioni già esistenti nei singoli stati.

Vabbè, mi sto ripetendo: spero di riuscire a chiarirmi le idee nel prosieguo della lettura…

Conclusione: ho notato che fra i miei libri ne ho un altro sulla costituzione americana. Me lo regalò la mamma una trentina di anni fa, non so perché...

Nota (*1): questo vale per circa una generazione, ossia circa 25 anni.
Nota (*2): il libro è tutto costruito su citazioni documentate dalle numerose minute dell’assemblea di Filadelfia.
Nota (*3): ho dovuto tradurre con questa brutta perifrasi “instruction of rapresentatives”…
Nota (*4): tratto da The framers’ coup di Michael J. Klarman, (E.) Oxford university press, 2016, pag. 245.

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