Ho approfittato di essere senza Internet per leggere un po’ di più: in particolare ho terminato le vite parallele di Aristide e Catone narrate da Plutarco.
Proprio Catone mi ha fatto uno strano effetto e non saprei come giudicarlo: in verità credo che lo stesso Plutarco non l’abbia capito e che quindi, proprio per questo, non sia riuscito a chiarirne le contraddizioni.
Prima però voglio riassumere il poco che sapevo di Catone, ovvero vaghi ricordi scolastici:
1. Catone era detto il “censore” perché “criticava” i costumi dei suoi concittadini…
2. Catone ripeteva sempre “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere distrutta).
3. Catone diceva di avere molti figli perché mangiava parecchio cavolo.
4. Una mia amica mi aveva soprannominato Catone a causa, credo, di una mia certa intransigenza morale.
Partiamo proprio da questi punti: beh, il 4 non riguarda Catone ma me: però mi aveva portato a immaginarmi la figura di Catone come moralmente ineccepibile invece, come vedremo, non è così; il punto 2 è confermato anche da Plutarco mentre l’1 è decisamente più complesso: il ruolo di “censore” era una carica ufficiale che dava il potere di vegliare sulla moralità dei funzionari pubblici, senatori compresi, e se ritenuti non all’altezza, rimuoverli dal loro ufficio: Catone usò e forse abusò di tale potere; infine del punto 3 Plutarco non dice niente: i figli (almeno i maschi) furono solo un paio di cui il più giovane avuto però in tarda età: non vi è traccia del “cavolo” (tale aneddoto lo devo aver letto nella Settimana Enigmistica vari decenni fa!) ma Catone scrisse un trattato sull’agricoltura quindi, forse, tale credenza proviene da lì.
Di sicuro Catone fu onestissimo, soprattutto nella gestione della cosa pubblica, fu severo, non solo con gli altri ma soprattutto verso se stesso («In oltre diceva… ...pentirsi in tutta sua vita di tre peccati soli: d’aver fidato un segreto alla moglie, di essere andato per mare ove poteva a piedi andarsi, e di essere stato un giorno intero senza far nulla.»(*1)), se non abile fu sicuramente coraggioso in guerra distinguendosi in Spagna e in Grecia, fu estremamente eloquente e numerose sono le sue sentenze famose («D’un nemico suo che menava vita disonesta ed infame dir soleva: - La madre di costui quando domanda a Dio di lasciare il figliuolo vivo sopra la terra, crede non pregare, ma maledire.» (*1) «E ingiuriato un giorno da uno di vita lasciva e corrotta, rispose: - Non è pari la contesa, tu te ne se’ usato d’ascoltare con pazienza, e dire con prontezza le villanie: là dove a me noia è il dirle, e avvezzo ad ascoltarle non sono.» (*1)) e, infine, fu parco di costumi, accontentandosi sempre di un tenore di vita modestissimo.
Questi sono le caratteristiche positive di Catone che, se non le conoscevo, mi è stato facile crederle.
Ma Catone aveva anche dei difetti: era avarissimo e impietoso con i propri schiavi che, quando ormai erano vecchi e improduttivi, vendeva per poco denaro; si vantava pubblicamente di se stesso e della propria condotta («E Catone, non mai scarso predicatore delle sue laudi, non ebbe vergogna d’usare palese vanto… ...dicendo, che chi ‘l vide allora cacciare e ferire i nemici potrà essere testimone che non di tanto è debitore Catone al popolo romano, di quanto è il popolo a Catone.» (*1)); seminava zizzania fra i propri schiavi (di cui non si fidava) per tenerli divisi e, quando poteva, li puniva sempre davanti a tutti (anche con la morte) per dare l’esempio; l’acrimonia verso Scipione l’Africano e la sua famiglia non è comprensibile e sarebbe potuta costare la vittoria su Annibale.
È difficile conciliare insieme questi diversi aspetti della personalità di Catone e infatti Plutarco nemmeno ci prova.
Personalmente non riesco a capire come una persona intelligente (lo si capisce dai suoi detti e dalla sua eloquenza) moralmente retta (dallo stile di vita sempre sobrio) poi possa vantarsi pubblicamente di sé ed essere privo di pietà umana: è una contraddizione…
L’unica ipotesi che riesco a fare si basa sull’origine non nobile ma popolare/contadina di Catone e quindi povero in gioventù visto che lavorava la terra insieme ai suoi schiavi.
Io credo che quella di Catone non fosse propriamente moralità ma amore fanatico verso le tradizioni romane (e infatti nutriva, se non disprezzo, almeno sospetto verso i greci e la loro cultura): rispetto ai suoi contemporanei doveva essere un uomo del passato che viveva ancora come i genitori o i nonni dei senatori del tempo. Sicuramente intelligente era però ossessionato dalla ricchezza («[Catone] diceva non esser atto da uomo, ma da vedova donna lo scemare il patrimonio. Ma quel detto di Catone fu ancora più duro quando ardì di nominare uomo meraviglioso, divino e d’alta gloria degno colui che fece aggiunta al patrimonio maggiore, che non fu la paterna redità.») (oltretutto fine a se stessa visto che non l’ostentava in alcun modo) e per questo profuse grande impegno per accrescere quella della propria famiglia: ad esempio diversificando i suoi investimento e spostandoli dall’agricoltura (sempre in balia del clima) ad altre attività più redditizie.
Non so, forse verso gli Scipioni c’era un’invidia per le origini nobili e antiche della loro famiglia: proprio loro, che più degli altri avrebbero dovuto rappresentare la tradizione romana, non lo facevano adeguatamente suscitando così il disprezzo di Catone… (una mia ipotesi, così per dire...)
Sì, credo che l’unica chiave di lettura plausibile possa essere solo questa: Catone non aveva un’alta moralità ma solo un amore fanatico per la tradizione: quando la seconda si sovrapponeva alla prima faceva allora apparire Catone come uno stoico ma, quando ciò non avveniva, i limiti morali del censore apparivano evidenti.
Nel paragone finale fra Aristide e Catone il secondo esce sconfitto e, quasi, Plutarco lo dileggia («E qui domanderei io volentieri Catone: se le ricchezze si cercano per goderle, perché ti vanti d’averle grandi, quando picciole ti bastano?» (*1)).
Ah! Nella vita di Catone è citato anche il “famoso” Carneade! Plutarco lo descrive come un accademico giunto a Roma come ambasciatore degli ateniesi insieme a Diogene: abilissimo nel parlare attira l’interesse e la curiosità dei giovani romani e, proprio per questo, Catone si adopera per rispedirlo in patria il prima possibile! («[Catone, riguardo l’ambasceria di Carneade e Diogene] convenirsi pertanto il più tosto che poteano deliberare, e risolvere di loro, acciò tornati alle loro scuole disputino co’ fanciulli greci; e’ giovani romani intendano all’obbedienza delle leggi e magistrati, come prima facevano.» (*1))
Conclusione: devo farmi cambiare soprannome!
Nota (*1): citazioni tratte da Le vite parallele di Plutarco, (Ed.) Salani, 1963, (trad.) Marcello Adriani.
Il figlio della Concetta
6 ore fa
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