Oggi ho proprio voglia di scrivere! Avrei una miriade di piccole idee, ideali per singoli corti o per un unico pezzo che le raggruppi insieme, e per due pezzi un po’ più impegnativi: oggi scriverò uno di quest’ultimi e, se avrò ancora voglia, mi porterò avanti scrivendo altro materiale.
Dunque ieri ero da mio padre e, annoiato, ne ho approfittato per dare un’occhiata a FB (che ultimamente guardo un paio di volte la settimana). Un mio amico (tendenzialmente contro i vaccini) aveva condiviso un articolo/intervista che mi è parso molto interessante: L’immunologa Maria Luisa Villa fa a pezzi la retorica del “castigatore di somari” di Burioni da InfoSannio.Wordpress.com
Il titolo e la foto allegata (che mostra un Burioni dall’aria non troppo sveglia) sono fuorvianti: l’intervento dell’immunologa è infatti molto equilibrato: non entra nel merito dell’utilità/rischio dei vaccini ma si limita a esprimere forti dubbi sull’efficacia di un certo stile di informazione di cui Burioni è forse l’esponente più noto; quindi lo critica ma di sicuro non lo fa “a pezzi”!
Nell’articolo sono esposte numerose considerazioni interessanti:
1. l’atteggiamento prevalente fra coloro che propugnano la diffusione dei vaccini ricorda lo scientismo, ovvero della scienza vista come unica fonte di verità e con gli scienziati loro sacerdoti. È una concezione vecchia, da inizio XX secolo, e che già Nietzsche (diversi decenni prima) aveva anticipato e debitamente schernito…
Ormai sappiamo che la scienza non detiene la verità assoluta: una verità scientifica di oggi potrebbe essere vista domani come un’ipotesi ingenua e fuorviante (*1). La scienza è oggi consapevole della propria fallacia e per questo non erige muri assoluti e invalicabili ma è invece confronto e dialogo.
Poi esistono discipline in cui è più o meno facile assodare la verità: nella matematica la verità sta tutta nella correttezza di una dimostrazione ed è quindi banale verificarla; altri campi, come la medicina, sono più incerti e talvolta la verità impiega decenni per farsi valere.
2. l’approccio di alcuni scienziati che si presentano dicendo “la verità è una sola ed è questa; chi la mette in dubbio è un oscurantista” (di cui sembra che Burioni sia il paradigma) è, per quanto visto, non corretto e superato, un atteggiamento tipico appunto dello scientismo.
3. alcune decisioni non spettano alla scienza ma alla politica: la scienza può fornire gli elementi e i dati su cui riflettere ma non può dire “bisogna fare così perché cosà è sbagliato”: gli scienziati non possono decidere per tutti (di nuovo scientismo).
4. questo stile comunicativo non sembra particolarmente efficace nel convincere chi non si fida dei vaccini. Inoltre l’atteggiamento del muro contro muro forza la polarizzazione anche di chi avrebbe obiezioni e dubbi sui vaccini anche legittimi: perplessità che col dialogo potrebbero essere magari facilmente chiarite ma che invece vengono snobbate. Chi non si conforma totalmente al pensiero unico (alla verità unica dello scientismo) viene automaticamente etichettato come “no-vax”: la stessa sorta potrebbe paradossalmente toccare anche all’IMMUNOLOGA intervistata come lei stessa ammette!
5. la scienza viene oggi usata come fosse una clava nell’agone politico.
Cosa mi è piaciuto di questa intervista?
Molti aspetti che io avevo magari solo intuito sono qui espressi molto chiaramente.
1. Sul pericolo delle presunte “verità” scientifiche mi ero già espresso riportando l’esemplare caso di Hegsted: la “scienza”, nascondendo la pericolosità degli zuccheri, ha contribuito per decenni a provocare milioni di morti (infarti e simili) e solo recentemente si è scoperto che la verità era stata volutamente (per interessi economici) nascosta. Per i dettagli rimando direttamente a La parabola di Hegsted.
2. Mi mancava la definizione di “scientismo”: concettualmente ci ero già arrivato ma questa etichetta mi sarà molto utile…
3. Il complesso rapporto fra scienza e verità l’ho sfiorato in 17.2 della mia Epitome: ma sicuramente nelle prossime versioni approfondirò questo concetto (*2).
4. Anche sulla polarizzazione controproducente causata dall’acceso dibattito sui vaccini e sui dubbi più o meno legittimi avevo già scritto in: Sigarette e vaccini (del 2014) e Il vero pericolo dei vaccini (del 2015).
5. Il rapporto fra politica e scienza l’ho invece affrontato solo perifericamente nel mio ghiribizzo ma nell’Epitome vi dedico l’intero capitolo 17.3 “L'uso strumentale della scienza”: inutile dire che, come si intuisce dal titolo, mi trovo di nuovo d’accordo con la dottoressa.
Per completezza aggiungo che un altro amico mi ha condiviso il collegamento al seguente articolo: Quello che i critici di Burioni non hanno capito della divulgazione scientifica di Andrea Grignolio su Wired.it
Per ragioni che spiegherò poi non sono riuscito a finire di leggerlo ma, da quel che ho capito, si concentra su quello che nell’intervista sullodata ho chiamato il punto numero 4: ovvero sull’efficacia della comunicazione “stile Burioni”. Da quel che ho capito (ripeto: non ho finito di leggere l’intero articolo) l’autore, adducendo un cospicuo numero di recenti ricerche, ritiene che la comunicazione aggressiva e apodittica sia invece efficace: forse non su tutti ma almeno sulle persone incerte sulla bontà dei vaccini (oltre, ovviamente, su quelle già favorevoli e che, anzi, lo diverranno ancora di più).
Il motivo per cui non ho finito di leggere l'articolo è che le premesse su cui si basano le argomentazioni dell’autore sono dei riferimenti a degli articoli/saggi/ricerche scientifici che non vengono però minimamente riassunti: chi li conosce sa di cosa si parla, chi non li conosce si ritrova a dover prendere le affermazioni seguenti per buone.
Probabilmente al “target” a cui è destinato questo articolo sta bene così ma personalmente preferisco il linguaggio più semplice dell’immunologa che mi permette di seguire il suo filo logico di pensiero senza nasconderlo dietro un muro di riferimenti.
Detto questo ritengo però molto plausibile l’argomento di Grignolio sull’efficacia della “comunicazione-Burioni” nel persuadere gli incerti.
Esso però non mi convince: il motivo è che tale sistema urta la mia morale.
Nei miei articoli, per quel poco che valgono, non cerco mai espedienti stilistici per convincere i lettori delle mie idee/verità: non mi interessa infatti che altre persone semplicemente la pensino come me ma vorrei invece che, valutando con la propria testa le mie argomentazioni, arrivassero poi a trarne le proprie conclusioni.
Mi pare invece che la “comunicazione-Burioni” convinca sì ma tramite una sorta di coartazione: più per intimidazione, per il non voler essere additati come “somari”, piuttosto che per reale comprensione.
Sapere senza capire è il guscio vuoto della verità: non porta a una crescita interiore e ha quindi scarso valore. Ho la sensazione che la persona convinta con questi metodi sia come una banderuola al vento, pronta quindi a cambiare il proprio orientamento alla prossima folata di idee che l’investirà.
Il vero sapere, come scriveva Plutarco, non equivale a riempire un secchio ma all’accendere un fuoco. Questa conoscenza, anche se fosse la verità, diviene, parafrasando John Stuart Mill, solo un vuoto dogma.
Insomma la tecnica di “comunicazione-Burioni” mi sembra un metodo di eterodirezione paternalistico, dove chi sa, o meglio chi presume di sapere, vuole scegliere per gli altri cosa sia giusto e bene. È insomma la tipica morale del fine che giustifica i mezzi: la morale utilitaristica che, immagino, fosse vicina e cara ai seguaci dello scientismo ma che, nella sua essenza, come mi pare abbia ben spiegato Kant, è inumana.
Insomma, indipendentemente dalla sua efficacia, non mi pare giusto (e nel medio/lungo termine neppure utile) usare la “comunicazione-Burioni”. È infatti sbagliato, anche solo implicitamente sostenere, un ritorno allo scientismo che, come detto, è ormai per la stessa scienza un anacronismo.
Il pericolo potenziale è più sottile: credere ciecamente nella scienza, che è di per sé amorale (cioè priva di morale; v. [E] 17.2), può portare a ritenere giusto anche ciò che non lo è.
Sarebbe, per capirci, sostenere oggi che la Bibbia vada interpreta letteralmente equivale anche a sostenere che la Terra fu creata circa seimila anni fa e che è al centro dell’universo, che le malattie sono inviate da Dio per punire i peccati degli uomini, etc. In altre parole una premessa errata potenzialmente (e anzi spesso) porta a conclusioni errate.
Conclusione: scusatemi per la mia divagazione finale vagamente epistemologica e, forse, un po’ fumosa...
Nota (*1): tempo fa mi capitò di dare un’occhiata a un testo scientifico degli anni ‘20 in cui nello spazio non c’è il vuoto assoluto ma l’“etere”…
Nota (*2): per la cronaca la revisione del capitolo 17 è sulla mia lista delle cose da fare ormai da molto tempo...
L'esempio di Benjamin Franklin
7 ore fa
Nessun commento:
Posta un commento